Letter from Lhasa, number 302. Se volete scrivere, fatelo!
by Roberto Abraham Scaruffi
Roberto Cotroneo
Il libro, ora in
distribuzione gratuita in file .pdf, è un utile testo per vedere che cosa si
insegni, o taluni insegnino, nel campo, cosa gli allievi, o taluni allievi, si
facciano insegnare e, magari, per cercare di riflettete su cosa non fare, pur
insegnato e consigliato da esperti.
Non è affatto
vero che si scriva necessariamente per gli altri. Si scrive perché si scrive e
le ragioni possono essere le più differenti. Per esempio, nella scrittura come
auto-terapia, la terapia è insita nella scrittura non nel fatto di essere o meno
letti. Si interpretano personaggi, si vivono situazioni, come fossero reali, si
sceglie cosa interpretare e vivere. Queste esperienze, pur solo simulate,
possono cambiare la personalità nella direzione voluta dall’autore.
Comunque, se
potete, scrivete in modo da potervi piacere ed ammirare, e da farvi piacere ed
ammirare mai qualcuno vi leggesse.
L’immaginarsi un
pubblico, od averlo, anche se limitato, come accade in siti e forum letterari,
è un limite gravissimo perché non siete più liberi di scrivere come volete e vi
chiedete costantemente come quel vostro critico od ammiratore reagiranno. Il
vostro mondo viene chiuso e condizionato da chi vi ha apprezzato o disprezzato.
Non scrivete per
gli altri, anche quando abbiate un pubblico. Scrivete per voi, senza dover
compiacere nessuno. ...A meno che non siate editorialisti del Corsera per cui vi pagano perché
piaciate al committente e perché trasmettiate i contenuti vuole trasmettiate e
nel modo stabilito. A volte, per immaginarvi quello che potrebbero pensare di
voi un paio di lettori attivi ve ne precludete milioni silenti.
Scrivete per voi
stessi. Cancellate il pubblico, quando scrivete. Intanto, se trovate un
editore, vi fa riscrivere e banalizzare tutto da altri. Vi rovina quello che
avete scritto secondo un presunto gusto di un immaginario lettore medio. Se
pubblicate da voi in siti dove ciò si può fare gratis, anche quando si voglia
vendere l’opera, vi evitate di farvi rovinare il frutto del vostro lavoro.
Si suppone
ovviamente che sappiate usare dei codici espressivi ed in modo che un lettore
più o meno capisca almeno la lettera di quello avete scritto. Se vi capite voi,
è possibile vi capiscano pure gli altri, altri comunque da sopprimere dal
pensiero nel momento della scrittura. Anche se scrivete diari sperate nessuno
mai legga, vi capirete, se mai li rileggerete, solo se sono scritti secondo un
qualche criterio standard. Un po’ di scienza (cultura, istruzione) non guasta
mai. Grammatica e sintassi si possono violare, ma quando le si sappiano maneggiare.
A volte si
sentono persone che dicono di avere idee ma necessitano chi le scriva loro. Non
sono sicuro che la cosa funzioni. Se non siete capaci di usare la
punteggiatura, a cominciare dai punti, idem le maiuscole, avete bisogno di una
maestra o di un maestro. Il linguaggio degli sms, o molto linguaggio usato
on-line, non va bene per farsi comprendere davvero. Spero che taluni scrivano
strambo per atteggiamento. Ma sospetto che molti proprio non sappiano scrivere.
Tutto cambia se
siete una penna in affitto per cui dovete scrivere secondo un contratto formale
o meno. In tal caso, scrivere per un padrone che deve essere soddisfatto del
vostro lavoro.
Se scrivete per
piacere, per necessità psicologica, scrivete dunque per voi e solo per voi. Il
pubblico non esiste. Anche se scrivete per diventare qualcuno, chi vi dice che
un certo supposto gusto medio porti più lettori del vostro estro originario?
Cotroneo scrive
per sedurre il mondo, dice lui. Speriamo lo abbia sedotto. Chissà quale sia la
via per sedurlo meglio. Non abbiamo ricette. Qualunque cosa vogliate fare,
cercate la vostra via. Scienza dello scrivere, alias tecnica, e cultura certo non guastano mai. Anzi, possono solo
aiutare.
C’è anche chi
scriva più libri di quanti ne abbia mai letti. Non so se qualcuno dicesse che
Montanelli fosse di quella categoria, sebbene una generale cultura umanistica e
di vita certo non gli mancasse. Non tutto è necessariamente libresco, così come
l’arte della parola non è necessariamente scritta. Guardate un D’Alema che mi
sembra parli in modo più o meno corretto. Non ha letto nemmeno i libri
pubblicati col suo nome come autore (glieli hanno scritti altri), e di livello
culturale deve essere piuttosto bassino anche se si fa credere un pozzo di
scienza. E voi volete farvi problemi a cominciare a scrivere, se ne avete
voglia, perché magari maneggiate poco la lingua e pure altre cose?! Esiste
anche il learning by doing che non
sarebbe altro che una forma dell’apprendere facendo. Non è che se vi inventate
di scrivere di filosofia impariate la filosofia ma magari imparate a, o
migliorare nello, scrivere.
L’ansia della
pagina bianca. Se avete delle cose da dire, vengono giù, parola dopo parola,
riga dopo riga. Potete poi ampliarle o ridurle. Inutile, quando non si padroneggi
ancora l’arte, imporsi di scrivere poche righe o migliaia di pagine. Un
racconto od un pensiero può essere cortissimo o lunghissimo. Non potete sapere
cosa uscirà fuori quando vi avventuriate nell’arte dello scrivere. Vi sono cose
lunghissime che sono indigeribili. Quello che produrrete dipenderà da quello
potrete e vorrete. Se proprio non sapete cosa scrivere, lasciate perdere.
Magari leggete o pensate. Non che le sue cose siano antitetiche. Verrà fuori,
poi, qualcosa che possiate gettare su un pezzo di carta, ...ormai su un video
(in realtà sul disco fisso) di computer o simili.
Scrivere troppo
non è un difetto. Se un giorno siete in vena creativa e scrivete per ore, od
anche di più, non c’è nessuna ragione di fermarvi perché il tempo è scaduto, se
avete la possibilità di continuare. Bene darsi degli obiettivi minimi, non dei
limiti massimi. Strafare non è un difetto. C’è chi scrive opere a getto, in
pochi giorni. Tutti di tanto in tanto possiamo averne l’impulso. Fatelo!
Quando avete
delle idee, mentre state scrivendo altre cose, o siete occupati in altro,
buttate giù appunti. Se non lo fate, rischiate di dimenticarvene. Una cosa è
scrivere senza avere necessariamente una struttura predeterminata. Ma quando la
struttura scaturisce, segnatevi dei possibili paragrafi o capitoli o parti, e
nel punto in cui vorreste inserirli. Se fate un sogno e vi sembra utile od
importante, buttatelo giù subito. Dopo, ve lo sarete dimenticato per sempre.
Non è affatto detto che il metodo da ragioniere di Moravia fosse il migliore.
Scrivete quanto volete e pure in stato semi-ipnotico.
Usate le buone
idee altrui. Ma voi siete voi. Non dovete sottomettervi a limiti. Evitate
possibili difetti, non i pregi.
Rileggete e
correggete quando ne sentite il bisogno. A volte non serve, altre è utile per
continuare meglio.
C’è chi ha
bisogno di concentrazione e silenzio, e chi di stimoli, oppure l’uno o l’altro
a seconda dei momenti. Musica, audio, televisione, film sullo stesso schermo in
cui state scrivendo, se ne sentite il bisogno. Meglio vi sentite, meglio
scrivete.
ESERCIZIO.
Iniziate a scrivere. Se non vi viene nulla, cominciate scrivere cose senza senso. È egualmente
ottimo.
Una trama
narrativa? Un racconto può svolgersi in tanti modi. Meglio le banalità della
vita quotidiana e cose fanta che quelli che si immaginano il segreto
[impossibile] che farebbe crollare la chiesa romana. Sfidate pure l’impossibile
ma non le sue banalizzazioni. Anche lì, non è affatto detto. Esistono tante di
quelle sciocchezze in circolazione che magari è quella la via per divenire
famosi e far soldi. Tentate quel che preferite.
Si può anche
partire con varie storie che poi possono fondersi. Così come si può partite con
una storia da cui scaturiscano poi opere differenti. Non è affatto detto che si
debba scrivere una cosa alla volta.
Inutile fingere
conoscenze che non avete. O ve le fate, od evitate di bluffare. Romanzi
storici, ed ambientazioni in luoghi o contesti che non conoscete, richiedono
studio.
ESERCIZIO.
Immaginate una storia con conoscenze non avete e fate una ricerca su quello che
dovreste studiare per poterla scrivere.
Come si inizia
una storia? Consultare varie opere, vari inizi. Poi fate come credete. Iniziate
subito e senza tante storie. Se invece ne siete capaci, non è che i
preliminari, quando evitino ogni affettatezza, non siano ottimi e gustosi.
Lessi da qualche parte che “Era una notte buia e tempestosa” era l’inizio
peggiore per un romanzo. Perché mai? Se fosse stata illuminata e tranquilla? O
se si fosse raccontato che lui o lei procedevano nel buio e tra scrosci di
pioggia e fulmini?
Non avete mai
bisogno di un vero inizio. Come non vi necessita una vera fine. Le conclusioni
aperte sono le migliori. Neppure una assoluta linearità tra inizio e sviluppo
ha alcuna imperiosità. Anzi, la vita scritta, la narrazione, avvince di più con
imprevisti.
ESERCIZIO.
Scrivete di preliminari di sesso, o di qualunque altra cosa (un dolce, un
concorso, un evento di qualunque genere). Ma al momento di passare dai preliminari
alla consumazione, ecco che il tutto viene interrotto da un altro evento. Può
essere l’inizio di un romanzo, come può essere un corto racconto e sé stante.
Le descrizioni
possono essere un rapido, sintetico e completo schizzo. Ci si può soffermare
sui dettagli (possibilmente non con l’affettatezza falsa di un Eco) e sulla
stessa descrizione costruire storie. Come si possono usare tecniche differenti.
A differenza del
film, dove tutto deve essere formalmente perfetto, completo, nella parola scritta
gran parte è lasciato all’immaginazione del lettore. Certo, essa va stimolata
da chi scrive. Nel film, lo spettatore vede tutto e non coglie quasi nulla. Nel
racconto, il lettore costruisce di suo, aiutato dalla parole dell’autore.
Il film impone
cosa immaginarsi. La scrittura lascia molto al lettore.
ESERCIZIO.
Descrivete quello che c’è a 20'000 metri di profondità, un dialogo tra due
astronauti abbandonati su Marte, e quello che si possono dire un minatore
congolese ed un accademico cinese.
I dialoghi veri
sembrano finti, se trascritti? Non ne sono sicuro, se trascritti nel modo
giusto. Ed allora al cinema?
I dialoghi
possono essere scarni oppure con descrizioni di contorno che portino meglio il
lettore nella situazione. Si può usare anche la forma indiretta, quella senza
le virgolette, dove si racconta quello che i personaggi si dicono. Si possono
combinare le varie opzioni.
ESERCIZIO.
Scrivere il dialogo tra uno statista che ordina di commettere un massacro e un
agente segreto che rifiuta. Potete sia usare le virgolette che riportare quello
si sono detti. A voi la scelta.
Digressioni di
primo e di secondo grado, queste ultime interne alla storia oppure secondo
logiche in qualche modo esterne.
In pratica, con
la digressione di primo grado, ci si ferma e si approfondisce un aspetto che si
sarebbe anche potuto tralasciare. Una piccola storia nella storia. Un
approfondimento.
Le digressioni di
secondo grado sono inframezzi più netti, anche lunghissimi, che magari si
riannodano alla fine, o dopo, giustificandosi nella interezza del racconto. Il
lettore viene trasportato altrove pur non dimenticando, riprendendo più avanti,
di che si stava parlando prima. Magari il lettore si chiede dove si voglia
andare a parare e poi si aspetta che, se si parla per pagine e pagine di altro,
il cambio di argomento abbia un qualche senso, e deve ben averlo.
La digressione di
primo grado integra e magari pure ventila la narrazione. Quella di secondo
grado è un blocco apparentemente separato che poi trova una sua giustificazione
narrativa.
Può essere uno
dei tanti modi di dire cose interessa dire, anche se sembra non c’entrino
nulla. Ad uno può interessare farsi una tirata politica. Ad un altro può
piacere lanciarsi in ragionamenti filosofici, scientifici od esistenziali.
ESERCIZIO. In una
descrizione di aperitivi inserire una digressione di primo grado. Poi
cominciare a parlare a lungo di ravioli e ‘giustificate’ infine questa
digressione di secondo grado nel racconto sugli aperitivi.
Gli stili sono un
po’ come i cappelli di Edward de Bono. Si può usare sempre lo stesso. Meglio se
se ne usano differenti a seconda delle situazioni o delle necessità.
Come già
suggeriva il Leopardi, quanto più tutto scivola con naturalezza, tanto più ciò
è prodotto di lunghi studi ed applicazioni. Quando vi sono inciampi,
incertezze, goffaggini, l’autore non è ancora sufficientemente formato, se mai
si formerà compiutamente.
Lo stile è
qualcosa di più o differente, trasmettendo stati d’animo e valori. Al limite,
esso può determinare accettazioni o reiezioni da comunità di intellettuali e
scrittori. Può essere elemento di identificazione come di discriminazione. Un
autore può usare stili differenti tratti da altri autori o movimenti o contesti
etc., come può avere proprie marcate caratteristiche.
Gli stili sono
differenti modi di scrivere, anche usi differenti di parole differenti.
Confrontate come parlino dei muratori e degli avvocati. Per quanto nulla sia
mai troppo originale sotto il sole. Può capitare di curiosare in fornite
biblioteche e di scoprire un autore che pensiamo essere noi stessi, per come
scrive, mentre altri non ci inducono neppure un po’ a tale identificazione.
Ecco che sono stili differenti.
Forse difficili
da definire, si riconoscono subito stili, marchi, differenti. La cosa si
complica con le traduzioni, dove lo stile del traduttore si combina variamente
con quello dell’autore, o viene da esso sostituito. Per questo, v’è chi
sostiene che si debbano leggere gli autori solo in lingua originale.
ESERCIZIO.
Descrivete brevemente un incidente stradale, mettendovi, uno dopo l’altro, i
cappelli del depresso, dell’allegro, dell’invidioso, del pietoso, del
minimalista (elementare, asettico), del realista socialista sovietico o
para-sovietico, e dell’ottimismo yankee. Gli ultimi due potrebbero forse essere
identici, a seconda di come lo scrittore se li immagini. Si confrontino poi gli
stili dei 7 differenti pezzi.
Parlate,
scrivete, di quello conoscete o potete conoscere, o studiare con cura. Se v'è
qualcosa non conoscete e ne volete parlare, dovete prima apprenderla e ben
padroneggiarla. Inutile mettere in bocca ad un personaggio disquisizioni, anche
semplici, di equazioni differenziali, se conoscete appena la tabellina fino a
10x10. Inciampereste subito.
Ancora più
complicato andare indietro nel tempo e pretendere di inserire riferimenti di
cui non siete per nulla sicuri o che neppure immaginate. O si studia tutto con
cura, e nei dettagli, come fa un Eco, anche se poi lui non grandeggia come
narratore, o meglio lasciar perdere.
ESERCIZIO.
Scrivere un racconto su un matrimonio azteco.
La temporalità
della narrazione la decide l’autore. Può raccontare al presente, come di eventi
che si stiano svolgendo mentre li riporta, o come di una storia passata. In un
caso o nell’altro, o come terza opzione, ci si può anche muovere su tempi
differenti. Pur raccontando al presente, può essere inevitabile riferirsi ad
eventi passati.
L’uso dei tempi
grammaticali richiede tecnica. Meglio che sappiate usarli ma anche abusarli.
Participi passati o passati remoti? Anche solo da ciò nascono stili differenti.
Purché posizioniate la vostra narrazione nel tempo, ed il lettore capisca, non
è affatto detto che non si possa usare il presente sia per il passato che per
il futuro.
ESERCIZIO.
Raccontare al presente un matrimonio inca in cui l’autore/autrice sia lo sposo
o la sposa. Riscriverlo poi come narrazione di un evento passato.
Siate voi, ogni
volta che potete, il protagonista e viviate voi quello che raccontate. Nel
romanzo non avete limiti. Potete fare quello che volete. Non raccontate cose da
voi fatte e per cui potrebbero incriminarvi. A qualcuno è successo. Raccontate
e fate di peggio, semmai, ma solo nella narrazione.
Potete usare la
prima o la terza persona. Se non vi piace, o se il contesto non lo rende
possibile, parlate di vite altrui, senza identificarvi.
Ovviamente, non
pagare mai per pubblicare un testo. Vedete cosa racconta Cotroneo.
Il business delle
case editrici è una lotteria. Sono sempre alla ricerca di autori, anche se ora
le nuove tecnologie stanno cambiando tutto, ...i modi, non che necessitino di
autori. Ricevono masse immense di proposte/testi. Sono come quei selezionatori
di CV che ne ricevono 500 per un posto e devono estrarne, in cinque minuti,
cinque o dieci per approfondire che contengano ed eventualmente convocare
qualcuno dei candidati per la decisione finale. Spesso scelgono pure la persona
sbagliata ma, alla fin fine, se la fanno sembrare giusta se proprio non entri
in rotta di collisione inevitabile con le esigenze dell’impresa.
Se un editore vi
sceglie, quello che poi pubblica sarà una cosa differente. Taglia e magari
riscrive tutto. Cotroneo dice che in Italia non succede. Non siatene troppo
sicuri, ma può essere che abbia ragione dato che lui ha pubblicato con editori.
Molto tempo fa,
in una piccola esperienza non retribuita, io mi sono visto il raccontino
tagliato, eppure era tutto vero anche se poteva sembrare inverosimile, o forse
non fu capito quel che avevo scritto. Fu tuttavia rimaneggiato con tagli solo
perché qualcuno o non capiva ad una lettura frettolosa o gli sembravano cose
troppo stravaganti.
Non essendo nella
vostra testa, dunque nella vostra logica della narrazione, se intervengono lo
fanno secondo supposte convenienze loro. Magari fila tutto, ma al censore una certa
cosa non piace.
Gli editori fanno
rileggere il tutto (non solo per la correzione ortografica), per cui non siate
sicuri di nulla. Il ‘censore’ non capisce, od una cosa non gli piace, per cui
la taglia o la riscrive. Magari voi ci tenevate ed il lettore avrebbe
apprezzato quel che voi avevate scritto.
Esiste anche un
altro aspetto. Se qualcuno viene pagato per revisionare un testo, deve poi
dimostrare di essere intervenuto su di esso. Se è pagato tanto, lo riscrive
tutto. Se è pagato poco, dà qualche botta occasionale. Oppure esistono
politiche aziendali per cui si riscrivono i testi o si aggiustano solo.
Contratto di
pubblicazione. Voi firmate. Loro firmano. Vi pubblicano. Però vi trovate pubblicata,
col vostro nome, una cosa che non sentite più vostra a seguito dei loro
interventi.
Cosa diversa è se
voi avete il pieno controllo del testo e loro si limitano ad indicarvi quello
che non si capisce, che non scorre, od uno stile tutto da rivedere. Ma se voi
firmate che poi loro pubblicano quel che vogliono, di vostro può restarvi solo
il nome su un’opera loro. Certo, se vi rende, la cosa può anche lasciarvi
indifferenti.
Con internet è
tutto differente.
Potete scrivere
senza intenzione di far soldi, o non subito. Per cui pubblicate su un vostro
sito, anche gratuito. Pubblicate quel che avete scritto, subito, senza
burocrazie. Potete correggerlo o ritirarlo, se mai vi gira farlo. Potete
pubblicarlo su vostri siti (per esempio un blog ma usato come raccolta di
racconti, saggi, opere anche lunghe), così come potete pubblicarlo, in
contemporanea, su siti letterari gratuiti. Ve ne sono. Non è detto che lo
leggano centinaia, migliaia o milioni di persone, ma anche pubblicato da un
editore, sono pochi poi gli autori di massa. Moltissimi sono pubblicati tanto
per pubblicare e le copie stampate ritornano in gran parte invendute.
Potete scrivere
sperando di far soldi. Vi sono siti dove, senza costi, potete pubblicare
subito, stabilire o viene definito un prezzo, chi vi vuole leggere paga. Voi
avete la vostra percentuale. Invece che essere stampato e distribuito il libro,
vi è solo una pubblicazione elettronica cui provvedete direttamente, senza
burocrazia e senza costi. In alcuni casi, il lettore può volere la copia
cartacea che, da parte di alcuni siti/imprese, viene stampata ed inviata ad
hoc, con prezzo ovviamente considerevolmente più alto che per il solo file.
Se vi fate un
nome, magari vi leggeranno milioni. Sennò solo qualche volenteroso. Come già
detto, non è che con un editore tradizionale sia diverso, a meno che non decida
di investire massicciamente in promozione su di voi. I libri di narrativa sono
comprati perché se ne parla et similia,
gli altri idem in un modo o nell’altro (o perché hanno qualche accredito: un
certo editore, una certa collana scientifica), non perché il lettore li scopra
in uno scaffale. In quest’ultimo modo, ne potete vendere cinque, dieci o
qualche decina.
Se un editore vi
pubblica, già è un problema/caso/fortuna che arriviate a trovarvi il libro in
vetrina nella sua rete di librerie, se è un editore con librerie. La maggior
parte dei libri viene pubblicata per andare “al macero”, che magari significa
entrare nel giro dei bancarellai che comprano quasi per nulla libri che
venderanno dopo venti anni per quattro soldi. Già va bene se vi pagano o vi
pagate una presentazione con pasticcini, dove vendete cinquanta copie a
cinquanta conoscenti, se avete una rete di conoscenti. Sarà un caso se ne
venderete altre, se è solo narrativa. Soprattutto oggi, con quello che si può
leggere on-line senza pagare nulla.
Gli Umberto Eco
sono operazioni commerciali indipendentemente dal valore intrinseco dell’opera.
Ve ne sono di meglio che non vendono nulla solo perché nessuno investe in
pubblicità, inclusa la pubblicità sottile come quotidiani e riviste che ne parlino.
Penserete mica che ciò avvenga per caso?
I meccanismi
della pubblicità in tutte le sue forme, premi letterari inclusi, sono governati
in gran parte od in toto dal mercato editoriale. L’essere stato scelto da un
editore, se non vi fa grandi pubblicità per farvi vendere milioni di copie, non
vi garantisce di più che provvedere alla pubblicazione diretta ed immediata su
questi siti commerciali ma per voi gratuiti. Il lettore paga a loro che vi
accreditano la vostra percentuale.
Scoprite e
verificate i vari siti. Ve ne sono alcuni grandi e rinomati in inglese, e che
pubblicano anche in altre lingue, ma anche altri altrove.
Ve ne è almeno
uno in italiano che fa le stesse cose, ma prima pretende di leggervi (cosa che
richiede mesi), per cui seleziona chi pubblicare o meno. Non è garanzia di
qualità. Si complicano solo la vita e la complicano allo scrittore o scrivente.
Evitate chi crea ostacoli. Se scrivete un pastone illeggibile, sarà il mercato
stesso a scartarvi, o lo stesso editore on-line vi escluderà se avete
pubblicato x e y invece di un testo più o meno leggibile.
Le maniere per
farsi un nome, dunque per poter interagire profittabilmente con l’industria
editoriale (sia tradizionale, o para-tradizionale, che on-line), sono varie,
complesse e spesso aleatorie. Certo, se siete professore universitario siete in
partenza meglio piazzato che se siete un muratore magari coltissimo e con studi
in varie università di paesi differenti. ...Solo in partenza. Poi non è detto.
Farsi un nome non
ha necessariamente connessione con la vostra qualità o prolificità. Non è
neppure necessariamente connesso al numero di ricorrenze sul motore di ricerca
di google.
Mi sono trovato
ad avere sui 5 milioni di ricorrenze (con nome e pseudonimi). Poi, a seguito di
un qualche cambio di algoritmi di google, sono crollate. Dopo, con piccole
risalite, stanno riavvicinandosi ai 3 milioni, ...salvo nuovi cambi,
‘depressivi’, degli algoritmi di google che possono abbattere anche
drasticamente il numero di ricorrenze. Infatti, alcuni giorni ad alcune ore si
decurtano di un 80% per poi risalire ai livelli usuali. Ricorrenze non
significa pezzi pubblicati. Vi sono meccanismi proliferativi per cui ogni cosa
pubblichiate, anche poche parole di un commento, viene variamente intercettata
e riprodotta. Per esempio, voi pubblicate un testo e le vostre ricorrenze
balzano di qualche migliaio. Oppure restano ferme, anche a seconda di come un
certo sito venga considerato dagli algoritmi di google.
Milioni di
ricorrenze non significa essere “un nome”, cosa che chi scrive non è
(credo...), intendendosi con “nome” un qualche pubblico ed universale
riconoscimento in qualche campo, campo con risonanza. Sennò, in piccoli ambiti,
non è difficile auto-fabbricarsi come “nomi” o come piccoli guru. Ve ne sono a
bizzeffe. Se vi basta...
Molti ambiscono
ad essere “autori/scrittori riconosciuti”. La cosa può essere interpretata in
vari modi. Vi sono associazioni di scrittori, i taluni paesi, che vi ammettono,
previo pagamento, se avete avuto almeno un libro pubblicato da un qualche
editore. Per altri, sentirsi riconosciuto può essere avere avuto qualche libro
pubblicato da una casa editrice per cui con, inevitabilmente, qualche positiva
recensione da parte di qualcuno che non vi ha letto, recensione che vi viene
fatta avere (come incoraggiamento) dall’editore e che voi vi incorniciate.
Salendo, “essere
riconosciuto” significa essere richiesto. Pubblicare, vendere, essere
conosciuti e riconosciuti almeno in alcuni ambiti ufficiali o para-ufficiali,
ricavarci un “salario” od anche più. È questione di auto-promozione e
promozione.
Probabilmente
esistono tonnellate di consigli su come arrivare a ciò. Procurateveli, se credete.
Seguiteli o non seguiteli... Buona fortuna!
ESERCIZIO FINALE.
Iniziate a
scrivere e pubblicate subito senza curavi, poi, di adulatori né di invidiosi od
accidiosi. Scrivete dove vi torna meglio e con che vi torna meglio anche se, in
epoca di computers... tra l’altro utilissimi, con internet, non solo per
pubblicare gratis (per chi vi legge, non solo per voi), o dove chi vi legge
deve pagare, ma per controllare informazioni di ogni genere vi possono servire
mentre scrivete.
Datevi degli obiettivi
minimi di lavoro, ma non dei limiti massimi. Non è una colpa scrivere migliaia
e migliaia di parole in un giorno, se se ne ha la pulsione, e senza
preoccuparsi di orari e di pasti.
I tempi della
correzione, e delle integrazioni ed estensioni (o tagli), variano da persona a
persona. Magari, scrivete più testi nello stesso tempo e ciascuno con ritmi
differenti. Magari, ora avete più voglia di produrre, ora di leggere e
studiare. Usate anche più di un word processor, nel caso non abbiate un
correttore ortografico su quello preferito. Ve ne sono di gratuiti e con
opzioni di correzione ortografica, per quanto possiate preferirne uno non
gratuito, magari senza la vostra lingua di scrittura, per il lavoro quotidiano.
Usare, nella
revisione, un correttore ortografico non vi evita di controllare la sintassi, non
vi passa i neologismi cui magari non volete rinunciare e che confermate pur
formalmente errori, ma almeno vi evitate un mucchio di sviste banali.
Anche se scrivete
solo per voi stessi, non siate tolleranti né soddisfatti di cose potete capire
solo voi o di cose potete trovare belle solo voi. I periodi siano più corti, o
meno lunghi, che possibile. Se sono lunghissimi e troppo faticosi, per quanto
vi appaiano “intelligentissimi”, frammentateli senza ritegno in frasi
leggibili. Non nuocerà alla complessità del pensiero. Lo renderà almeno
accessibile.