Letter from Lhasa, number 284. Noi
by Roberto Abraham Scaruffi
Veltroni, W., Noi, Rizzoli, 2009.
(Veltroni 2009).
Walter Veltroni
Tre citazioni di
autori come ad appropriarsi di una supposta scienza esterna e farsene belli.
Una dedica “A Vittorio Foa” (perché non ad un altro od a nessuno?). Nei
ringraziamenti, alla fine, nel file .pdf, il racconto dell’idea del libro
venutagli a Cracovia quando, con alunni delle scuole di Roma di un viaggio ad
Auschwitz, si erano intrattenuti con sopravvissuti, e la dedica del libro pure
a loro (sia ai sopravvissuti che ai ragazzi). Una lunghissima lista di
ringraziamenti. Quanti obblighi che si hanno quando si è importanti! In tutto
ciò, Veltroni non esce mai dall’ovvio.
1943 L’estate, a parte qualche ridondanza retorica, ha ritmo. È
serrato ed avvincente. Vi sono precisione storica e capacità narrativa.
In 1963 La primavera, l’incedere è meno
serrato, per quanto sostenuto ed interessante. È che il Veltroni politicante
(uno dei tanti scrittori servili e luogocomunari avrebbe fatto lo stesso) deve
incensare il tutto di retoriche resistenzialiste, equilibrate e moderate
ovviamente!, e di sensati inni al progresso del momento (qui il 1963), o
immaginandosi un pubblico di piccolo-borghesi ...o, se non si prefigurava lettori
specifici, immaginandosi sé stesso od Il Partito lo avrebbe poi giudicato anche
dalle sue operare letterarie.
La filosofia
veltroniana è semplice. Se perdi e ti fanno il culo è solo colpa tua.
...Giusto! ...Ma non dire che sono venuti a liberarti! I nuovi occupanti erano
solo dei burattini forzosamente coscritti agli ordini di oligarchie
prosperavano e prosperano sulla guerra. Sennò nessuno si sognava di andare a
fare la guerra per il mondo per ‘liberare’ il prossimo. Non è che facessero i
liberatori dell’umanità, come si vede ogni giorno nel mondo. Ma Veltroni è
così. Deve seguire sempre i conformismi imperiali. Gli manca la dimensione
storica, la cultura, delle cose. Quello che, con luogo comune, lui attribuisce
‘alle dittature’, lo si ritrova dappertutto. Non può dirlo. Si è pre-censurato,
lobotomizzato, reso cieco per essere accettato.
La sequenza di
questa parte (1963 La primavera) è
tipicamente cinematografica. Per una banale viaggio in auto Milano-Roma, ai due
protagonisti ne capitano di tutte. Potevano entrare nel casello più prossimo a
Milano ed uscire in quello più prossimo a Roma... Nei film, mai nulla è così
semplice. Veltroni concentra avvenimenti, accadimenti. Patetico il gerarca che
tradito, nel 1943, poi telefona al padre dalla Spagna per perdonarlo e
coinvolgerlo, come autista di consegne in Italia, nella sua impresa di
trasporti, ed il padre che muore sotto casa accasciato sul clacson un giorno al
ritorno da uno di quei viaggi.
...Suspense
cinematografica. La moglie malata che lui sta raggiungendo a Roma per vedere se
sia guarita e pronta per essere riportata a Milano, sparisce mentre padre e
figlio maggiore stanno raggiungendo Roma. Appunto, capitano tutte a loro in
quel banale viaggio in Volkswagen.
Il suo
filosofeggiare su Dio sono davvero quattro cazzatelle da sacrestia. Banale e
risibile quel: ‘Anche Dio può perdere.’ ...Se tale è il livello dei suoi
personaggi, cioè dell’autore... Veltroni non conosce il dubbio. Risolve sempre
tutto con vaneggiamenti che sembra suonino bene. Ed il bimbo che, al livello di
quelle sciocchezze, conclude che, ad (lui dice ‘durante’) Auschwitz, Dio
pregasse... Aspettava chi vincesse?! ...Al peggio non v’è mai limite.
Ecco che ritrovano
la moglie-madre fuggita, che si rianima quando il marito le fa vedere un
ritratto lui le aveva fatto quando si erano conosciuti nel 1943. Pennellate
strappalacrime per una immaginaria sotto-storiella a lieto fine.
In 1980 L’autunno, siamo al figlio Andrea,
il figlio del bimbo del 1943, quell’Andrea ancora bimbo nel 1963, che sta
chiedendo ad una lei, la moglie, perché lui non le basti. La prole si
restringe. 3 nella famiglia del 1943, due in quella del 1963, 1 ora (‘prodotto’
durante un’occupazione d’università).
Ed ecco che
Veltroni, ligio impiegato di partito, deve fingere che le persone abbiano idee.
Mentre di solito vi sono solo circostanze. Guadate lui... Per cui, lui
imbastisce dialoghi sulla sua ortodossia. In fondo, la politica gli ha dato da
mangiare e pure in abbondanza. Coi soldi ti danno pure la linea.
Famiglia in crisi.
Lui che fa il cronista a salario da fame per qualche radio di movimento. Lei
che guadagna bene come pubblicitaria. Figlio undicenne che sa tutto ma loro si
illudono di tenerlo lontano dai loro problemi. Lei che non sopporta più il marito
ma che, per ora, invece che trovarsi altri, si è trovato uno psicoterapeuta.
Lui che vorrebbe tutto fosse come prima e che non si capacita che lei si sia
stufata.
Intanto il padre,
il bimbo del 1943, poteva non ricevere una lunga lettera strappalacrime da un
bimbetto che aveva incrociato dopo il bombardamento alleato di Roma e che aveva
scaricato ad un prete, restando pentito di averlo ‘abbandonato’? Non, non
poteva. La riceve. Lunghissima. E con seguiti ulteriori. Veltroni ha sempre
bisogno di far chiudere i cerchi, di far incontrare e rincontrare i suoi
personaggi.
La moglie del bimbo
del 1943, Giuditta Anticoli, effettivamente esistette, ma nata il 20 luglio
1936, deportata ad Auschwitz e mai tornata. Idem i familiari. Nessuna clemente
famiglia romana la ospitò per sottrarla alla deportazione. ...Quella di
Veltroni sarà un’altra... I tedeschi avevano liste dell’anagrafe, per cui
andavano ad indirizzi precisi... Non è che trovassero ‘gli ebrei’ per strada,
come nei film. Ma ai Veltroni fa sempre comodo tacere i dettagli. Si etichetta
il male e si srotola tutto da solo.
Dei 1024 ebrei di
Roma deportati il 16 ottobre 1943, ne tornarono 16. Altrettanti furono
arrestati dopo, a Roma. La RSI esisteva già. In precedenza erano stati
liquidati, a Roma, i CC, almeno quelli, molti, che non erano confluiti nella
GNR.
Senza cooperazione
italica nessuno poteva avere le liste degli ebrei italici, la stragrande
maggioranza dei quali riuscirà comunque a sopravvivere coperta e a non essere
deportata o ammazzata in loco, sebbene nelle statistiche sulla questione si
debba considerare che la macchina tedesca dello sterminio opera nelle aree non
ancora occupate dagli alleati. Dove si fideranno dei rabbini, non avranno molte
possibilità di sopravvivenza.
Per cui, gli ebrei
italici sopravvissuti sono meno se si considerano quelli in pericolo, non
coloro che erano magari al sud già occupato dagli alleati. Nel Regno d’Italia,
le persecuzioni non si erano tradotte in sterminio. Nel Regno d’Italia, gli
ebrei, di qualunque nazionalità formale fossero, erano protetti rispetto alla
macchina tedesca di deportazione sterminio. Mussolini (quello del Regno
d'Italia) si inframmetteva, dove fossero in pericolo. La RSI è uno Stato
fantoccio.
Eppure, nonostante
tutti questi pentiti e convertiti del dopoguerra, qualcuno (un impiegato, un
dirigente) dà le liste dell'anagrafe ai tedeschi, invece di farle sparire. Non
che fosse semplice. La realtà non è mai eroismo cinematografico. Eppure...
Erano solo fogli... Anche all'estero, c’è dove cooperano e dove non cooperano
con la macchina del concentramento e sterminio. Basta dire di sì e far sparire
le liste. Quando i tedeschi chiedono il
pegno di oro, a Roma, è chiaro che è l'estorsione prima di deportarli. Chi si
illude li sta ad aspettare, sebbene anche lì non è che fosse sempre facile
fuggire. Eppure, sempre meglio in marcia per il fronte e fuori Roma, che stare
ad aspettare lo sterminio quasi sicuro.
Ovviamente,
Veltroni, lui che pretende conoscere il bene ed il male, non può dirvi che
Megele passò al servizio anglo-americano e che continuò i suoi esperimenti
negli USA, negli UK ed in giro per il mondo, ovunque i nuovi padroni gli
offrissero possibilità. Lui vi parla di quello cattivo. Sapete come siano gli
‘specialisti’, anche ‘criminali di guerra’. Un po’ se li sono presi gli
anglo-americani. Altri i russi... Così va il mondo. Non può esservi spazio per
ciò nelle sue storielle strappalacrime da vecchio scribacchino di partito. Lui
stesso, avessero vinto gli altri, sarebbe oggi ardentemente nazifascista.
Tra mellifluità ed
ortodossie varie (Veltroni non potrebbe mai lavorare di vera introspezione,
nell’analisi dell’altro), ecco che si arriva alla suspense finale di questa
parte. Suspense che chiude. Dove inizia l’azione, Veltroni tronca. Troppo
pericoloso. E se poi qualcuno presenta come suo qualche pensiero od espressione
non eterodossa di un personaggio? Tronca e poi, in altra parte del libro, ti
dice veloce come s’è conclusa la cosa.
I figli dei bimbi
del 1943 si ritrovano uno radiocronista di sinistra più o meno ortodossa e
l’altro... Ecco il fratello maggiore, il radiocronista, trova la voce del
fratello minore in una rivendicazione della Walter Alasia ed altri indizi in
effetti lo riconducono ad un assassinio proprio sotto casa sua, sua di lui
fratello maggiore. Dato che lui, il fratello maggiore, Andrea, si era espresso,
a caldo, con toni feroci su quell’assassinio, di cui era stato più o meno
testimone, riconosciuto il fratello, che pur nega, che fa? ...Lo denuncia? Scopriamo
poi che lo avrà fatto e già se ne hanno rapidi preliminari.
Oh, che caso. Di lì
a pochi giorni, ecco che negli USA viene ucciso John Lennon. Su tutto ciò, dopo
molto tempo di separazione di fatto, lui e la moglie, bellissima e sanamente
cinica, si fanno una sana scopata. Veltroni butta proprio tutto in politica, o
quel che a lui sembra politica. Che c’entra? Lei ha disgusto di lui, ma...
Veltroni è un familista... Dopo di lui lei non avrà più nessuno di suo, solo
chiavate da qualche settimana in continua successione.
Oh, sempre il caso!
...Quel pomeriggio, alla radio, in una specie di dibattito BR sì-BR no, ecco che il fratello Alberto telefona confessandosi
come il protagonista della rivendicazione. A quel punto non basterebbe la
retorica. Occorrerebbe analisi dei personaggi e delle loro interazioni. Troppo
rischioso, anche ad esserne capaci. Meglio passare ad una nuova parte del
libro.
Ed ecco una nuova
parte, la finale, 2025 L’inverno. Qui
ci sono i bimbi del 1980. Anzi, il bimbo di quella famiglia Noi, Luca, che ha
fatto in tempo a sposarsi, fare una figlia ed andarsene via di casa. In questa
parte, il lettore apprende che poi Alberto si è fatto dieci anni. Se l’è cavata
bene anche se aveva solo curato l’inchiesta e la rivendicazione dell’omicidio.
Cosa da ergastolo, soprattutto di quei tempi. Naturalmente perdona ed anzi
ringrazia tutti di averlo denunciato.
Questa parte
finale, nella parte futuristica è costruita come per uno schermo, ottima per
farvi un film, dove le immagini catturino l’attenzione dello spettatore. Per il
resto, è un misto sdolcinato nostalgico. Precisamente quello che l’autore
voleva trasmettere. Fede positivistica nel progresso e nostalgia per quello che
si perde. ...Non è che sia così semplice.
Ad ogni parte di questo
libro, il ritmo declina rapidamente, per lasciare spazio a visioni desolate,
dove diversi mondi coesistono, ma senza suscitare mai veri dubbi allo
spettatore ...perché se il censore ti mette nel mirino poi uno come vive.
Grandezza per chi coesista con le censura esplicita. Fariseismo per chi conti e
si conti di operare in una inesistente libertà. Se ad un lettore non piaci...
Ma se la macchina di partito, comunque ora si faccia chiamare, ti mette di
mezzo per qualche eterodossia in relazione alle sue idiosincrasie ed ai suoi
stereotipi...
Veltroni, W., Noi, Rizzoli, 2009.