09 October 2012

Letter from Lhasa, number 285.
La scoperta dell’alba


Letter from Lhasa, number 285. La scoperta dell’alba
by Roberto Abraham Scaruffi

Veltroni, W., La scoperta dell’alba, Rizzoli, Milano, Italy, 2006. 
(Veltroni 2006).
Walter Veltroni


Il testo è dell’ordine del 28’000 parole. Il libro è intenso e scorrevole, ottimo per lo schermo, non necessariamente come racconto o romanzo. Sullo schermo le immagini attraggono lo spettatore, mentre il lettore è obbligato al ritmo della parola. Sullo schermo, le immagini rimpiazzano trame sconclusionate che, al contrario, nello scritto, restano lì, non disattivate.

Il protagonista è un quarantenne (anche se non torna con l’età della moglie e la connessa età della figlia down) che lavora all’Archivio di Stato dove è immerso tra diari di persone qualunque. Quando era tredicenne, il padre, preside di facoltà, un giorno, una domenica, fa la valigia di nascosto e sparisce. Poi, telefona per dire che aveva bisogno di stare solo ed è in viaggio. Ma non ricompare più. 

Su questo punto, la storia non è né abbastanza realistica né abbastanza fantastica. Come suo solito, l’autore evita le complicazioni. È un ultra-semplificatore. Le complicazioni sarebbero anche ricchezza letterario-psicologica. Non sa muoversi a questo livello. Resta a quello sicuro delle descrizioni dei luoghi. Rimane bloccato ad andare oltre.

Chissà come ha potuto fare l’amministratore, se non riesce a vedere le connessioni delle cose, gli aspetti amministrativi. Eppure, è uno che i fatti suoi li sa fare. È non è che Italiozia abbia dei corpi amministrativi cui basti dire quel che si deve fare, e lo facciano e con efficienza. Sarà stato un politico da comizio, e da stampa e propaganda. Eppoi avrà tirato a campare coperto dalle Polizie Segrete CC quirinalizie che hanno nelle liste di quelli da coprire, oltre che di quelli da colpire. Sennò, si può immaginare come abbia amministrato, gestito, uno con immagini puramente fumettistiche della realtà.    

...Un preside di facoltà che doveva uscire col figlio e che all’improvviso sparisce. Era essere il marzo 1977. Fuga non preparata. Come vive? Come vive la famiglia? Come ha regolato le cose colla facoltà che presiedeva da un paio di mesi? Non è che si possano mandare certificate medici all’infinito. Già può essere complicato, fuori città o fuori Stato, anche inviarne il giorno dopo. Nessuno che ne abbia mai saputo nulla? ...Uno che se ne va perché aveva bisogno di stare solo ...all’infinito. Altra cosa, se ne fosse semplicemente andato di casa per vivere altrove e continuare a lavorare alla facoltà. L’autore evita sempre questi terreni. Vola tra realtà senza esser capace di costruire connessioni plausibili. Poi, si scopre perché è fuggito ma la cosa resta ancor meno plausibile.   

Ed ecco che il figlio tredicenne del fuggitivo, ora divenuto grande, il protagonista, viene improvvisamente attratto dalla casa del fine settimana dell’infanzia, ora abbandonata, acquistata dal padre nel 1968. Vi si reca. Il telefono è staccato ma lui riesce alla fine a telefonare varie volte a sé stesso quando aveva tredici anni e proprio mentre il padre sta fuggendo. Si finge uno zio dagli Stati Uniti. L’adulto telefona al bambino. Finzione o invenzione legittima. Comunicazione della stessa persona ognuna delle quali in tempi differenti, dunque tra due persone in tempi differenti, distanti. L’adulto lo sa. Il bimbo non lo sa perché immagina di ricevere queste telefonata dal suo stesso tempo, non dal futuro.   

Assieme, il bimbo e sé stesso ora adulto, indagano, per quel che possono sulle ragioni della sparizione del padre, forse sentitosi nel mirino (ipotizzano) come il collega aveva sostituito come preside, ucciso da terroristi, forse (si dicevano) a causa di un basista, loro giovane collega ritenuto, da vari indizi (o calunnie), all’origine della cosa ed in contatto con giovani estremisti di area sospetta. L’adulto si incontra anche con la figlia dell’ucciso, che già aveva incontrato da piccolo a ridosso dell’evento.

Anche qui, l’autore sceglie l’ipotesi più banale di quello successe in Italiozia: il terrorismo indipendente, quando era, anche se hanno fatto di tutto per oscurarlo, dipendentissimo, una creazione e manipolazione (etero-direzione non che fossero, nelle stragrande maggioranza, ‘al soldo di’) delle Polizie Segrete CC ed altre ‘andreottiane’. Veltroni vede quello che hanno avuto l’interesse far vedere, inventare: quello che ti segnala e la banda che esegue. In realtà, quando l’obiettivo non era gradito ai manipolatori di Stato, sapevano ben come operare. Cosi come sapevano come orientare verso chi gradivano e volevano colpito o liquidato. Ci sono operazioni politico-istituzionali dietro al terrorismo, incluso il ‘grande segreto’ del 1978. Se non liquidato, Moro sarebbe divenuto Presidente della Repubblica. Quante volte ve l’hanno detto? Perché lo tacciono? Idem tutto il resto. Gli obiettivi casualmente scelti e senza che lo Stato ne sapesse nulla sono una leggenda. Qualcuno, secondario, può essere sfuggito, ma non se gli esecutori erano organizzazioni di un minimo di consistenza, dunque infiltrate, o con sistemi di informazioni o falle varie... Hanno fatto poi un pubblico patto: non vi ammazziamo, per quanto possibile, ma, in genere, vi arrestiamo e basta, ed, in un modo o nell’altro, poi uscite tutti senza clamori, ...purché vi facciate la parte degli indipendenti ed infine sconfitti. Veltroni banalizza, mistifica, anche come scrittore, rimuove.   

Poi, il protagonista, mentre ha questo legame telefonico con sé stesso nel passato, rintraccia ed incontra chi ha sparato in quell’occasione. Scopre così che il mandante è il padre, colui che ha rimpiazzato l’ucciso come preside della facoltà prima di sparire, e che lui e la ragazza sparò si amavano. Per cui, il padre sparisce per la fifa di essere scoperto. Anche qui, l’autore getta la cosa e la lascia lì. Non la costruisce in modo plausibile e profondo. Non dà vita alla sua creazione. Anzi, la banalizza. Il professore, addirittura capo colonna, che fa ammazzare il collega attivando un gruppo di fuoco. Scoprono il gruppo di fuoco ma non lui.

Veltroni non ha idea come funzionino le cose. O lo sa, e sé lo nega e lo tace. Per cui, inventa senza basi. Il tutto resta tra l’improbabile e l’impossibile. Anche solo per farlo vivere come giallo, l’autore avrebbe dovuto curare i dettagli delle interazioni, cosa che non fa mai.


Veltroni, W., La scoperta dell’alba, Rizzoli, Milano, Italy, 2006.