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24 December 2013
Letter from Lhasa, number 338.
Pennacchi fasciocomunista
Letter from Lhasa, number 338.
Pennacchi fasciocomunista
Letter from Lhasa, number 338. Pennacchi
fasciocomunista
by Roberto Abraham Scaruffi
Pennacchi, A., Il fasciocomunista. Vita scriteriata di
Accio Benassi, Mondadori, Milano, Italy, 2003.
(Pennacchi 2003).
Antonio Pennacchi
Il libro è
gustosissimo e lo si legge d’un fiato. Il protagonista ed i protagonisti
passano attraverso ambienti e sigle restando sempre gli stessi, o mutando
secondo loro dinamiche individuali, come sempre succede alle persone reali e
nella vita reale.
L’ambientazione
storica è perfetta. L’autore l’ha vissuta in prima persona ed ha ricontrollato
tutto con precisione.
Quando l’autore si
concede delle generalizzazioni sistemiche dice delle verità [poche] sulla
storia come è, pur tacendo – del resto non è il tema del libro – altri aspetti
essenziali che permetterebbero al lettore di capire davvero. Finché c’è da
buttarla su “servizi deviati” che sono terrorismo di Stato segreto per cui
venduto alla gente come deviato pur essendo agli ordini istituzionali, o sul
“regime DC”, o su un Brandilari che passa a Berlusconi, anzi a CL-Formigoni, o
su CC che ti tendono un’imboscata per ammazzarti e che poi ti finiscono pur
ferito, o le allusioni sui capi venduti [sul MSI e su Servire il Popolo, non sul PCI – facile ammazzare i morti!],
l’autore è intellettualmente spregiudicato, o così si vende. Manca tutto il
resto. Insomma, come ‘spregiudicatezza’ s’arrabatta. Non importa.
Questo non può
dirlo e neppure accennarlo. La DC è la DC perché gli inglesi hanno creato un
loro PCI per controllarla, dato che non si fidavano del Vaticano. I partigiani duri
e puri sono balle di regime, alias dell’Impero, come la era quella
del PCF “partito dei fucilati”. Qualcuno le ha create e diffuse per ragioni
imperiali. Chissà se gli scappa, o forse lui li ha conosciuti così, ma questi
partigiani duri e puri lui li rappresenta come degli aristocratici
arricchiti e benestanti. No, gli è scappata, sennò ci avrebbe lavorato di più
su quest’aspetto. Racconta quello che ha visto e non si rende conto che i
‘rivoluzionari’ partigiani, alias
collaborazionisti anglo-americani, erano in genere solo fascisti passati al
servizio dei vincitori anglo-americani, loro collaborazionisti, e che avrebbero
voluto arraffare di più. Dopo esserti sentito onnipotente e coperto dai
vincitori prossimi od in arrivo, magari fatichi a fare l’impiegato delle Poste
od ad insegnare un una scuola media, se non hai qualche altro sfogatoio
psicologico ed esistenziale. I ‘grandi’ movimenti di contestazione se li creano
gli Imperi per demolire gli altri, oltre che per loro terrorismo di Stato
interno, ed infatti si traducono poi in sfasci ulteriori, di lungo periodo, di
molti degli Stati già più deboli. Italiozia ne sarebbe un ottimo esempio, anche
per romanzi come questo, ad avere presente questa chiave interpretativa.
L’autore la butta sulla vita che continua e sulle masse che alla fine seguono i
più forti. In sottofondo, la rimesta colla filosofia fasulla delle rivoluzioni
tradite e dei rivoluzionari illusi dal destino avverso degli opportunisti
predominanti. No, non è questione di bombe per dare a bere gli opposti
estremismi e ristabilire il controllo sulle masse. Primo le rivoluzioni non
esistono, se non come rappresentazione ex-post falsa di operazioni di potere.
Il controllo sulle masse non è mai allentato, neppure quando sembra si
ribellino. Le ribellioni sono sempre guidate da chi ha potere. Secondo, il
ribellismo, creato da centri imperiali ed interni, non è stato combattuto bensì
interiorizzato dallo Stato italiota che lo ha usato per salti qualitativi nello
sfascio sistemico, come voluto da centrali imperiali. Terzo, il terrorismo di
Stato non è usato per restaurare l’ordine. Bensì il disordine è creato ed usato
per dispiegare il terrorismo di Stato [per combattere un nemico, devi prima
creartelo! – no, non può dirlo sempre l’abbia capito: sono operazioni sia
culturali, che finanziarie, che militari prima la creazione del terrorismo nero
e poi di quello rosso, così come la loro soppressione successiva] mentre le
politiche reali di sfascio vengono occultate proprio tramite il teatrino
militare e magari pure da fiumi di soldi che arrivano a tutti ...finché tutto
non traballa e comincia ad implodere. Troppo per un Pennacchi che si muove su
luoghi comuni di finta spregiudicatezza ottimi per non inimicarsi nessuno e
continuare a vendersi come intellettuale di sinistra. Sennò non lo
pubblicherebbero. Neppure a Mondadori. La dittatura Quirinale-Mediobanca [dal
23/05/1992], che subentra al golpismo ‘andreottiano’ (un golpismo burocratico
militare coi CC ed altri come bracci armati sistemici [con supporto
berlingueriano-PCI]), un Savoia eletto Presidente per due mandati e mille altre
cose sono oltre lo spazio temporale del romanzo ed, in parte, pure oltre la
data di stesura e pubblicazione. Del resto se l’autore avesse capito le
dinamiche reali e dato ai lettori strumenti per comprenderle, non lo avrebbero
pubblicato. Né si può pretendere da un Pennacchi quello che non può comunque
dare.
Non che uno
scrittore debba lanciarsi in proclami ideologici. Beh, lui lo fa qua e là.
Vogliamo solo dire che il sottofondo della sua apparente spregiudicatezza di
pensiero è solo un solido conformismo di regime. Di quelli che ti dicono che si
deve essere aperti a tutte le esperienze, e poi te lo sbattono in quel posto se
non ti sei accorto che baravano e dunque non ti sei sottratto. Non tutti
possono essere il Leopardi dello Zibaldone.
Il romanzo resta
ottimo. Il ritmo è sostenuto. La narrazione sempre avvincente. La scrittura
scorre perfetta. Il tutto è verosimile dunque vero (ineccepibile da un punto di
vista storico, almeno dal punto di vista dei fatterelli), una possibile verità.
Ciò non per sminuirlo ma anzi per affermare che la narrazione è solidamente
realistica o reale. Le tipologie ambientali e caratteriali che descrive senza
affettazioni, illusioni, né moralismi sono quelle. Del resto, lui le conosce
per esperienza diretta. Nel romanzo sta parlando di sé. Italiozia, e non solo,
è geneticamente e solidamente ‘fasciocomunista’. Ciò vale sia per quelli che
stanno a guardare che per quelli che si mettono in mezzo. Alla fine, dipende
solo dalle circostanze.
Pennacchi, A., Il fasciocomunista. Vita scriteriata di
Accio Benassi, Mondadori, Milano, Italy, 2003.
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