29 December 2006

Lettera da Lhasa numero 41. Sun Yat-sen / 孫中山 e la continuazione repubblicana del tradizionale razzismo xenofobo esasperato cinese

Lettera da Lhasa numero 41. Sun Yat-sen / 孫中山 e la continuazione repubblicana del tradizionale razzismo xenofobo esasperato cinese. Notazione linguistica
by Roberto Scaruffi

È a giusto titolo che Sun Yat-sen / Sun Chung-shan / 孫中山 [Sūn Zhōng-shān] (1866-1925), è assunto come padre sia della Repubblica di Cina [RdC] che della, di fatto, sua continuazione e rafforzamento, la Repubblica Popolare Cinese [RPC]. Sun Yat-sen non innova la tradizione politica cinese. Anzi, riafferma e rafforza il tradizionale razzismo xenofobo esasperato del pensiero politico e della pratica corrente cinese. Razzismo xenofobo esasperato pressoché identico nella RPC, in quella che tuttora si definisce la RdC, così come in tutti coloro si definiscano cinesi [cinesi, nel senso di appartenza alla “nazione cinese”].

Tutti i razzismi sono così. Non vogliamo demonizzarne uno. Semplicemente ora parliamo di un travisamento linguistico compiuto da questo e per questo. Tutti i razzismi sono creazioni della psiche. La psiche s’inventa una nazione d’appartenenza. La propria nazione dev’essere superiore alle altre, se non altro perché è la “nostra”. Ecco lì il razzismo. Certo, esiste anche il razzismo del non credere a nulla forse, del “tutti siamo gli stessi”, o del rifiutare identità. Non lo so. Non vogliamo addentrarci in tale ambito dove è troppo facile il pensiero circolare ed in cui non vi sono, forse, vere soluzioni, vi sia mai qualche vero problema le richieda.

Ci limitiamo qui ad una notazione linguistica sui tre principi del popolo di Sun Yat-sen. Esistono delle ragioni, certo, per cui sull’uno o sull’altro dei tre principi del popolo / 三民主義 [sān mín zhǔyì] [*], 民族主義 / [mín zú zhǔyì], 民權主義 / [mín quán zhǔyì], 民生主義 / [mín shēng zhǔyì], siano diffuse traduzioni del tutto fantasiose.

Abbiamo omesso, per ora, la traduzione dei tre principi, 民族主義 / [mín zú zhǔyì], 民權主義 / [mín quán zhǔyì], 民生主義 / [mín shēng zhǔyì], perché è proprio a livello di traduzione che si fanno, talvolta, i giochi più fantasiosi. Nel cinese, le regole sulla relazione sostantivo-aggettivo sono le stesse che nell’inglese. L’aggettivo, o una forma considerata aggettivale, precede il sostantivo. Quanto ai caratteri cinesi, ogni carattere ha un suo signicato. Nella pratica contemporanea, esistono parole sia d’un carattere che di due, o anche di più per taluni concetti od espressioni. Nella traduzione, talvolta sono nostre parole che necessitano di più caratteri cinesi, altre volte sono caratteri cinesi che possono necessitare di nostre espressioni anche complesse. La lingua cinese è una lingua del potere centrale, dunque un lingua di censura e d’autocensura, una lingua che ti dice cosa e come devi pensare. Vi sono parole che non è solo che non siano conosciute, ma che proprio sono quasi vietate, per cui non davvero usate, dunque incomprensibili anche agli intellettuali (per esempio, la complessità della personalità è negata al suddito/schiavo considerato come insetto di cui il potere disponga a suo piacimento, dunque colpibile ed eliminabile senza grandi giustificazioni, e lo stesso potere non ha bisogno di complicazioni psicologico-linguistiche). Il potere centrale, quando ha bisogno d’una parola, il più possibile asettica, per caratterizzare qualche cosa, o l’introduce nell’uso o fa inventare il carattere se per caso non già esistente. Il cinese è da sempre la neo-lingua orwelliana. Se il potere non t’autorizza ad esprime qualcosa, è perché quel qualcosa non deve esistere, non esiste. In una lingua alfabetica ti inventi una parola. Anche in cinese puoi. Ma non puoi scriverla, dunque non la puoi diffondere né tramandare al di fuori di comunità linguistiche inevitabilmente ristrettissime, a meno di mettersi a scrivere in alfabeti che pur anche in cinese esistono al giorno d’oggi ma solo per ragioni fonetiche. In una lingua fondata sull’equivoco verbale, un uso occasionale e limitato d’una scrittura solo alfabetica porterebbe la mente, salvo evoluzioni future, a prendere in esame i caratteri, o le combinazioni di caratteri, con stesso suono oppure a non capire. È dal contesto, oltre che da chi usa il suono, che si suppone un suono corrisponda ad un certo carattere tra i vari possibili, dunque ad un significato. Mentre, in una lingua alfabetica, anche quando non si capisca, si può usare l’intuizione. Non nel cinese, lingua che rimuove il pensiero non autorizzato.

In un libro di lingua cinese, testo per stranieri, correntemente usato a Taiwan (Practical Audio-Visual Chinese, Level 2 - Part I, ISBN 957-09-1238-3, p. 257, libro di testo d’orientamento cino-unionista (la Grande Cina) [**], che naturalmente, come forse tutti i testi di lingue, di sicuro i cinesi, s’occupa pure d’indottrinamento dello studente d’altra lingua, racconta che 民族主義 / [mínzú zhǔyì] sono i “racial rights”, 民權主義 / [mínquán zhǔyì] i “political rights”, 民生主義 / [mínshēng zhǔyì] i “rights for life and the pursuit of happiness”. “民族主義 establishes equal rights to all races in the Chinese nation, and declares that Chinese citizens have rights equal to other citizens of the word. 民權主義 asserts that everyone has an equal right to participate in politics and the running of government. According to 民生主義 everyone should have equal access to daily necessities of life, including education, food, housing, clothing, transportation and recreation.”

La fantasiosa traduzione offerta da questo libro per stranieri colpisce subito per quel “rights”. Appena si conosca qualcosa di reale sulle Cine, diviene subito evidente come il concetto di diritto e di diritti sia del tutto estraneo alla mentalità ed alla pratica cinesi. Anzi i diritti e l’individuo, che solo sui diritti od almeno sulla loro presupposizione può farsi talvolta strada, proprio non esistono nelle Cine ed aree limitrofe e similari.

Tuttavia la vulgata sui tre principi è quella. Si veda la inevitabilmente causale rassegna (le fonti sarebbero troppe, anche solo su Internet), ora con presentazioni piatte e propagandistiche anche del contenuto reale dei tre principi, ora, invece, davvero pregevoli nella contestualizzazione ed esposizione degli stessi.

Qui, troviamo descritti i tre principi come i principi di nazionalismo, democrazia, benessere. E si conclamano pesanti influenze sia americane che confuciane nella loro elaborazione.
http://en.wikipedia.org/wiki/Three_Principles_of_the_People


Tre Principi del Popolo: Indipendenza nazionale, Potere del popolo (cioè democrazia) e Benessere del popolo (riforma agraria).”
http://it.wikipedia.org/wiki/Sun_Yat-sen


“Nazionalismo, Democrazia e Benessere del popolo.”
http://www.storiain.net/artic/artic6.asp


“"Tre principi del popolo" (indipendenza nazionale, ordinamento democratico, benessere della popolazione), [...]”
http://fad.sp.unipi.it/repository/Vernassa/2006_03_26_Appunti.doc


“I suoi Tre principi del popolo - nazionalismo, democrazia, socialismo [...]”
http://www.oikonomia.it/pages/giugno01/editoriale.htm


Nel 1905 a Tokyo Sun Yat-sen insieme ad altri aveva fondato la Lega che aveva come programma i tre principi del popolo: rovesciamento della dinastia Qing, fondazione di un regime repubblicano, perequazione dei diritti sulla terra.
http://www.cinaoggi.it/storia/articolistoria/shanghai-oppio.html


“Nel 1905 Sun Yat Sen fondò un’organizzazione segreta, il Tung meng hui con un programma basato sui tre principi del popolo: indipendenza del popolo, democrazia rappresentativa e benessere del popolo.”
http://web.tiscalinet.it/appuntiericerche/Storia/LaStoriaContemporanea.htm


“Uno strano nazionalista, invero: nel momento in cui la Cina era uno dei centri della dominazione imperialistica mondiale, riteneva che l’oppressione nazionale di cui erano vittime i cinesi fosse rappresentata dalla dinastia mancese, “straniera e barbara”, e non dalle potenze occidentali o dal Giappone. Ma anche uno strano democratico, che ispirava soprattutto a istituire in Cina uno “stato forte” controllato da un ristretto gruppo dirigente di “tecnici”. Ed uno strano rivoluzionario, infine, che guardò sempre alle masse “arretrate” con diffidenza, e non seppe mai superare la tecnica delle congiure di un esiguo gruppo di militanti.”
http://www.tuttocina.eu/Editoria/treprinc.htm


* I Tre principi popolari avanzati da Sun Yat-sen costituivano i principi e il programma della rivoluzione democratica borghese in Cina. Essi erano: nazionalismo, democrazia e benessere del popolo. Nel 1924 nel Manifesto del primo Congresso nazionale del Kuomintang, Sun Yat-sen diede ai Tre principi popolari una nuova interpretazione, attribuendo al nazionalismo il significato di lotta contro l’imperialismo ed esprimendo il pieno appoggio al movimento degli operai e dei contadini. In tale modo i vecchi Tre principi popolari si trasformarono nei nuovi Tre principi popolari con le tre politiche fondamentali: alleanza con la Russia, alleanza con il Partito comunista, appoggio ai contadini e agli operai. Questi nuovi Tre principi popolari con le tre politiche fondamentali divennero la base politica della cooperazione del Partito comunista cinese con il Kuomintang nel periodo della prima Guerra civile rivoluzionaria.
http://www.paolodorigo.it/MaoTseTung/01.pdf


“Nel suo primo programma a quattro punti, nel 1905, prima della “perequazione” c’erano, nell’ordine: scacciare i barbari manciù; restaurare la sovranità cinese; instaurare la repubblica. In questo momento il nazionalismo cinese più che antioccidentale era anti-manciù, contro la dinastia straniera. In seguito nella definizione su tre punti del Congresso del 30 gennaio 1924 i primi del Tre Principi del Popolo sono il nazionalismo e la democrazia. Il nazionalismo è nel frattempo passato da un’accezione anti-manciù ad una anti-imperialista.”
http://www.fondazione-einaudi.it/Download/lezione%20Stefanini%20e%202003.doc


“Finally, in 1911 the imperial dynasty was overthrown and the imperial system eradicated, under a revolution led by Sun Yat Sen, who founded the Kuomintang (KMT or Nationalist Party). Sun was from a modest peasant background, he spent many years living in exile in the West, in Hong Kong and in Japan, he became a Christian, and he obtained a degree in (Western) medicine. He was thus, in virtually all respects, the antithesis of the traditional imperial elite. He established what he termed his Three Principles of the People – nationalism, democracy and people’s livelihood – and sought to modernise and industrialise China, while restoring the sovereignty which had been so extensively constrained by Japan and the Western powers. Sun referred to China as a poly-colony, arguing that while it had not been colonised by any single power, as Britain in India or the Netherlands in Indonesia, it was instead exploited by all imperial powers, under a system of imperialist carve-up known as spheres of influence – a sort of imperialist gang bang.”
http://www.opendemocracy.net/people/article_275.jsp


“Sun's political philosophy was conceptualized in 1897, first enunciated in Tokyo in 1905, and modified through the early 1920s. It centred on the Three Principles of the People ( or san min zhuyi): "nationalism, democracy, and people's livelihood." The principle of nationalism called for overthrowing the Manchus and ending foreign hegemony over China. The second principle, democracy, was used to describe Sun's goal of a popularly elected republican form of government. People's livelihood, often referred to as socialism, was aimed at helping the common people through regulation of the ownership of the means of production and land.”
http://www.echeat.com/essay.php?t=29039


“The Three Principles are the core tenets of Sun Yat-sen’s philosophy that underpinned the 1912 Revolution in China. They also are the philosophical basis of the Kuomintang, the party he founded in 1913. The Three Principles are Chinese nationalism, democracy and economic equalisation.”
http://www.lowyinstitute.org/PublicationGet.asp?i=251


Three Principles of the People
Sun Yat-sen (1866-1925)

“Following China's war with France (1883-1884) I made up my mind to devote myself to the revolution. In 1895 I started the first insurrection in Canton and the revolution of 1911 culminated in the establishment of the Republic. Up to present the task of revolution, however, has not yet been completed. A span of thirty-seven years of my revolutionary work is to be chronicled by future historians from all manner of facts and incidents. An outline sketch is given below.
“Principles of Revolution
“The term Kemin, or revolution, was first used by Confucius. Incidents of a revolutionary nature repeatedly happened in Chinese history after Tang (founder of the Shang Dynasty, 1766 BCE) and Wu (founder of the Zhou Dynasty, 1122 BCE). In Europe revolutionary tides surged in the seventeenth and eighteenth centuries and they have since spread over the whole world. In due course they created republics; they conferred constitutions on monarchies. The principles which I have held in promoting the Chinese revolution were in some cases copied from our traditional ideals, in other cases modeled on European theory and experience and in still others formulated according to original and self-developed theories. They are described as follows:

“l. Principle of Nationalism
“Revelations of Chinese history prove that the Chinese as a people are independent in spirit and in conduct. Coerced into touch with other people, they could at times live in peace with them by maintaining friendly relations and at others assimilate them as the result of propinquity. During the periods when their political and military prowess declined, they could not escape for the time from the fate of a conquered nation, but they could eventually vigorously reassert themselves. Thus the Mongol rule of China (1260-1333 CE), lasting nearly a hundred years, was finally overthrown by Tai Tse of the Ming dynasty and his loyal follower. So in our own time was the Manchu yoke thrown off by the Chinese. Nationalistic ideas in China did not come from a foreign source; they were inherited from our remote forefathers. Upon this legacy is based my principle of nationalism, and where necessary, I have developed it and amplified and improved upon it. No vengeance has been inflicted on the Manchus and we have endeavored to live side by side with them on an equal footing. This is our nationalistic policy toward races within our national boundaries. Externally, we should strive to maintain independence in the family of nations, and to spread our indigenous civilization as well as to enrich it by absorbing what is best in world civilization, with the hope that we may forge ahead with other nations towards the goal of ideal brotherhood.

“2. Principle of Democracy
“In ancient China we had the Emperor Yao (2357-2258 BCE) and Emperor Shun (2258-2206 BCE) who departed from the hereditary system and chose their successors. We also had Tang and Wu who overthrew kingdoms by revolution. Preserved in our books are such sayings as: "Heaven sees as the people see"; "Heaven hears as the people hear"; "We have heard of a person named Zhou having been slain, we have not heard of a monarch having been murdered"; "The people are most important, while the king is of the least importance". All these sayings ring with democratic sentiments. Since we have had only ideas about popular rights, and no democratic system has been evolved, we have to go to Europe and America for a republican form of government. There some countries have become republics and others have adopted constitutional monarchism, under which royal power has shrunk in the face of the rising demand for popular rights. Though hereditary monarchs have not yet disappeared, they are but vestiges and shadows of their former selves.
“All through my revolutionary career I have held the view that China must be made a republic. There are three reasons. First, from a theoretical point of view, there is no ground for preserving a monarchical form of government, since it is widely recognized that the people constitute the foundation of a nation and they are all equal in their own country. In the second place, under Manchu occupation the Chinese were forced into the position of the vanquished, and suffered oppression for more than two hundred and sixty years. While a constitutional monarchy may not arouse deep resentment in other countries and can maintain itself for the time being, it will be an impossibility in China. This is from a historical point of view. A third reason may be advanced with an eye on the future of the nation. That in China prolonged periods of disorder usually followed a revolution was due to the desire of every insurgent to be a king and to his subsequent contention for the throne. If a republican government is adopted, there will be no contention. For these three reasons, I have decided for the republican form of government in order to realize the principle of democracy.
“My second decision is that a constitution must be adopted to ensure good government. The true meaning of constitutionalism was discovered by Montesquieu. The threefold separation of the legislative, judicial, and executive powers as advocated by him was accepted in every constitutional country in Europe. On a tour of Europe and America I made a close study of their governments and laws and took note of their shortcomings as well as their advantages. The shortcomings of election, for instance, are not incurable. In the past China had two significant systems of examination and censoring and they can be of avail where the Western system of government and law falls short. I therefore advocate that the examinative and censorial powers should be placed on the same level with legislative, judicial and executive, thereby resulting in the five-fold separation of powers. On top of that, the system of the people's direct political powers should be adopted in order that the provision that the sovereign power is vested in the people may become a reality. In this way my principle of democracy may be carried out satisfactorily.

“3. Principle of Livelihood
“With the invention of modern machines, the phenomenon of uneven distribution of wealth in the West has become all the more marked. Intensified by crosscurrents, economic revolution was flaring up more ferociously than political revolution. This situation was scarcely noticed by our fellow- countrymen thirty years ago. On my tour of Europe and America, I saw with my own eyes the instability of their economic structure and the deep concern of their leaders in groping for a solution. I felt that, although the disparity of wealth under our economic organization is not so great as in the West, the difference is only in degree, not in character. The situation will become more acute when the West extends its economic influence to China. We must form plans beforehand in order to cope with the situation. After comparing various schools of economic thought, I have come to the realization that the principle of state ownership is most profound, reliable and practical. Moreover, it will forestall in China difficulties which have already caused much anxiety in the West. I have therefore decided to enforce the principle of the people's livelihood simultaneously with the principles of nationalism and democracy, with the hope to achieve our political objective and nip economic unrest in the bud.
“To sum up, my revolutionary principles in a nutshell consist in the Three Principles of the People and the Five Power Constitution. Those who have a clear knowledge of the general tendency of the world and the conditions in China will agree that my views are practical and must be put into practice.

“From Sun Yat-sen, Fundamentals of National Reconstruction, (Taipei: China Cultura; Service, 1953), as excerpted in Mark A. Kishlansky, Sources of World History, Vol. 2 (New York: HarperCollins, 1995).”

http://www.oikonomia.it/pages/giugno01/classica.htm


“Il primo dei tre principi, che viene usualmente chiamato del "benessere del popolo" [...]
“Il secondo principio, che in Occidente si è voluto impropriamente chiamare "nazionalismo"12 , venne elaborato in maniera originale, tanto da distanziarsi sia dal concetto aulico ed aristocratico proprio della cultura tradizionale cinese13 , sia dall'idea di nazione elaborata dallo Chabod14 ed abbracciata dall'occidente. Per millenni in Cina si era affermata una concezione culturalista strettamente sinocentrica15 , in base alla quale non era il concetto di nazione a determinare le forme di aggregazione politica ma la tradizione confuciana, unica misura del livello di civiltà. Secondo questa ottica, la nazione raccoglieva il popolo e la classe dirigente alla quale spettava il compito di risvegliare la coscienza nazionale16 . Sun Yat-sen distingueva, inoltre, l'appartenenza etnica dalla nazione"17 , sostenendo che, in Cina, i due termini si sono sempre identificati tanto da non lasciare posto alle disparità18 . Il compito di ricostruire la Cina poteva poi essere intrapreso solo utilizzando la solida base del confucianesimo19 , portatore di valori inalienabili come la pietà, la fedeltà, la carità, l'altruismo, lo spirito pacifico, il distacco dal proprio interesse precedenti il diritto20 e capaci di condurre l'uomo ad agire secondo coscienza, a "fare per niente"21 .
“[...]L'itinerario da percorrere per recuperare l'identità nazionale passava per il terzo principio, il potere del popolo, cioè la "democrazia".”
NOTE 12..21
12 "Fin dai tempi antichi i cinesi hanno chiaramente distinto tra cinesi e barbari, ma la distinzione è più culturale che razziale [. . . ] quando i Mongoli e i Manciù conquistarono la Cina essi avevano già adottato in considerevole misura la cultura cinese; dominarono i cinesi politicamente ma vennero dominati culturalmente [. . . ] I cinesi non badarono molto alle distinzioni razziali [. . . ] Quando nel XVI e nel XVII secolo, per la prima volta i cinesi vennero in contatto con gli europei, essi pensarono che questi non fossero che dei barbari [. . . ] I cinesi cominciarono a turbarsi quando si accorsero che gli europei possedevano una civiltà elevata quanto quella cinese, sebbene di tipo differente." Fung Yu-Lan, Storia della filosofia cinese, Vicenza, 1975. , p. 149.
13 "L'appello nazionalistico percorrerà 70 anni di storia cinese, a tessere un'unità interna, per il resto compromessa in molteplici direzioni. Ma come ipotesi politica alternativa alla frammentazione provinciale e localistica e alle spaccature di classe resterà velleitario e più volte fallimentare [. . . ] i cinesi erano spinti a riconoscersi come nazione perché erano condizionati dalla dominante borghesia internazionale; ma nel loro paese mancava la base sociale capace di dare un contenuto effettivo a quel concetto, che restava puramente mitologico. E. Masi, Breve storia della Cina contemporanea, Bari-Roma, 1979, p. 32.
14 F. Chabod, L'idea di nazione, Bari, 1967.
15 "La Cina, nel corso della sua millenaria storia, non aveva saputo elaborare un concetto di nazione: la indubbia superiorità culturale di fronte ai popoli coi quali essa era entrata in conflitto o in contatto, aveva condotto questi ultimi ad un progressivo assorbimento [. . . ] che spesso si era concluso con un elevato grado di sinizzazione" in F. Pansieri Parolini, "Il concetto di nazionalismo nel pensiero e nell'azione di Sun Yat-sen", in Cina 12, cit. , p. 101.
16 Tali problematiche vennero approfondite da tutti quegli autori che, scrivendo sulla rivista "Gioventù nuova” (Xin Qingnian), parlarono di "Guo cui" intendendo, con questo termine che indica il distillato di riso molto puro, la quintessenza della nazione che nel popolo doveva ridestarsi al fine di "ottenere l'indipendenza dal dominio occidentale e liberarsi totalmente dalla dinastia mancese che aveva distrutto l'identità nazionale". Lo Kuang, Sun Yat-sen, Brescia, 1950, p. 33.
17 Per Sun Yat-sen l'appartenenza etnica "è un prodotto naturale, la nazione è una costruzione umana, formata da un legame politico il quale può essere creato e mantenuto dalla volontà umana". Lo Kuang, cit. , p. 34.
18 Sun Yat-sen sosteneva, coerentemente a ciò, l'uguaglianza tra le 5 popolazioni cinesi: han ren, mancesi, mongoli, hui min e tibetani. LO KUANG, cit., p. 42.
19 "Il Confucianesimo potremmo quindi chiamarlo la dottrina della vita umana, non secondo le nozioni della scienza empirica, ma secondo il rispetto della libera volontà umana [. . .]. Il Confucianesimo ha una parte metafisica, una parte morale, contiene nozioni religiose e nozioni politiche [. . .]" Lo Kuang, La sapienza cinese, Roma, 1945, pag. 2.
20 Tsien Tche-Hao, "La responsabilité civile délictuelle en Chine populaire", in Revue International De Droit Compare, 1967, pp. 875 e sgg.
21 Per una panoramica esaustiva del pensiero di Confucio: Feng Yu-Lan, cit. , Vicenza, 1975.
http://www.tuttocina.eu/Mondo_cinese/086/086_espo.htm


I "Tre principi del popolo"
“Accanto alla nuova strategia rivoluzionaria del partito, imperniata sull'alleanza con l'Urss e la collaborazione con i comunisti, Sun Yat-sen rivede e rielabora i principi ideologici - i Tre principi del popolo - alla base della sua azione: Nazionalismo, Democrazie e Benessere del popolo. Abbiamo visto come il principio del nazionalismo, prima inteso in senso esclusivamente anti-mancese e favorevole alla collaborazione con le potenze occidentali, sia successivamente declinato in senso anti-imperialista. Per lui la condizione della Cina non è quella di una normale colonia, ma è quella della ipocolonia: "è la colonia di tutti i paesi con i quali ha concluso dei trattati. Tutti i paesi che hanno sottoscritto dei trattati con la Cina sono i padroni della Cina. La Cina non è, dunque, la colonia di un paese, è la colonia di tutti i paesi. Non siamo gli schiavi di una paese soltanto, siamo gli schiavi di tutti i paesi". Il nazionalismo è l'unica via per portare il popolo cinese dalla condizione di "sabbia informe" a quella di una realtà compatta e coesa. Alla luce di questa premessa, la rivoluzione cinese, a differenza di quelle occidentali, non deve avere come obiettivo la libertà individuale. Anzi, quest'ultima deve essere sacrificata per la conquista della libertà della nazione: "Noi, invece, godiamo di troppa libertà: nessuna coesione, nessuna resistenza; siamo diventati come della sabbia agitata dal vento [...] Se in avvenire vorremo respingere l'oppressione straniera, dovremo battere in breccia la libertà individuale; dovremo formare un raggruppamento molto solido, come se aggiungessimo del cemento alla sabbia per creare una pietra". Per comprendere questa posizione dobbiamo tenere conto dell'attacco imperialista cui è sottoposta la Cina, della divisione interna, del clima da guerra civile, degli intrighi dei "signori della guerra": una situazione di instabilità e di anarchia confacente agli interessi imperialisti e che si doveva assolutamente superare.
“Anche per quanto riguarda la futura democrazia Sun Yat-sen precisa che sarà diversa da quella occidentale perché diversa è la storia della Cina. Di fronte al chiaro fallimento del governo rappresentativo instaurato dopo la rivoluzione del 1911, la Cina deve trovare una nuova via, non deve scimmiottare quanto fatto dagli occidentali e limitarsi a importare le loro soluzioni perché sarebbe una grave errore: "se vogliamo che la Cina progredisca e il nostro popolo viva nella sicurezza, dobbiamo applicare noi stessi la democrazia e cercare un nuovo metodo per realizzare i nostri ideali".
“Ma qual'è questa via? La soluzione di Sun Yat-sen mostra certamente forti implicazioni autoritarie. La stessa rivoluzione per consolidarsi ha bisogno di una fase iniziale di dittatura politica prima di introdurre una fase costituzionale. Ai suoi occhi il paese ha bisogno di un potere forte, di un governo che sappia agire in autonomia, con una sorta di mandato in bianco, per resistere all'imperialismo e restaurare dignità e ordine interno. Il popolo cinese, al quale devono essere riconosciuti i diritti politici senza distinzione di classe e censo, deve affidare il governo a uomini capaci - "i preveggenti" - e a specialisti dell'amministrazione e dell'arte di governare. È questa, ai suoi occhi, la soluzione che meglio si innesta nella tradizione sociale e politica del popolo cinese.
“In questo modo Sun sintetizza e semplifica la sua visione nelle conferenze di propaganda: "Nelle fabbriche soltanto il direttore dà ordini, gli azionisti esercitano il controllo su di lui. In una repubblica, gli azionisti sono i cittadini, mentre il presidente della Repubblica è il direttore. Il popolo deve considerare gli uomini di governo come degli specialisti". E ancora: "è il popolo che deve avere il potere in uno Stato, ma dal punto di vista della gestione governativa, il popolo deve affidare tale potere a specialisti dotati di potenza".”
http://www.storiain.net/artic/artic6.asp


“7. Nel 1905, a partire dalla vittoria giapponese contro i russi, prima riscossa extraeuropea contro una potenza colonizzatrice, Sun Yat-Sen cominciava ad elaborare i suoi tre principi del popolo: l'identità nazionale, i diritti, e la sopravvivenza, poi rielaborati nelle conferenze del 1924 [12]. Negli anni seguenti, il dibattito si arricchiva sulle colonne del giornale che preparava la rivoluzione nazionalista: il Min Bao. Più tardi, il crollo del Celeste impero, poi la Grande guerra e la rivoluzione russa arricchivano il pensiero di Sun di riflessioni sulle connessioni fra le diverse esperienze rivoluzionarie. Allo stesso tempo riportavano i suoi tre principi ad assimilarsi con tre vecchie conoscenze del pensiero politico occidentale: il nazionalismo, la democrazia, il socialismo. Nel testo del 1924, quando ancora il vecchio leader era alla testa del Kuomintang e manteneva vivo il rapporto con i comunisti, la riflessione si allargava alla triade ereditata dalla rivoluzione francese. Ma quella triade non andava bene: di libertà, intesa come rispetto delle potenzialità dell'individuo, ce n'era stata fin troppa in Cina. I cinesi erano «come la sabbia del mare»: ognuno sciolto da qualunque vincolo nei confronti degli altri. Si trattava al contrario di rafforzare i legami sociali, di trasformare quella sabbia in cemento. Anche di uguaglianza ce n'era stata troppa: era diventata appiattimento delle risorse individuali. Bisognava invece che emergessero i talenti, e che si restasse all'uguaglianza dell'accesso alla politica, cioè alla democrazia. La fraternità compare alla fine della trattazione del primo e più importante dei tre principi, il nazionalismo, quello che deve consentire la sopravvivenza del popolo cinese, minacciato secondo Sun addirittura di distruzione fisica dall'imperialismo occidentale e giapponese. Si lamenta la scomparsa dai templi della religiosità popolare di una delle due parole chiave della religione tradizionale cinese: chung, la lealtà. Rimane solo l'altra: hsiao, la pietà filiale. La fraternità è vista come una rielaborazione della tradizionale lealtà, iscritta nel culto degli antenati, e che ora non è dovuta più all'imperatore, il quale non c'è più, ma al popolo. La fraternità è l'equivalente del «vasto amore», l'«amore senza discriminazioni» col quale l'imperatore ricambia la lealtà del suo popolo [13]. Si potrebbe dire che ora il popolo deve a se stesso lealtà e amore, e che questa è per Sun Yat-Sen la trasposizione cinese della fraternità nazionale.
“Più avanti, discutendo il secondo principio, quello della democrazia, il pensiero di Sun si complica, e la traduzione nell'esperienza cinese dei tre principi della triade rivoluzionaria francese dà luogo ad alcune oscillazioni che dimostrano la sostanziale unità dei tre principi del rivoluzionario cinese, nonché il loro valore complessivo come programma di mobilitazione. La democrazia riassume in sé il principio nazionale. E' insieme libertà e uguaglianza, vita spirituale e materiale del popolo, che, secondo la tradizione confuciana, si trovano inscindibilmente legate. La democrazia è l'insieme di regole che permette al principio nazionale di svilupparsi in tutte le sue conseguenze; e in questo senso è l'equivalente della libertà della rivoluzione francese. Del resto il pensiero di Sun si fa oscillante. Il nazionalismo sembra la traduzione dell'uguaglianza, in quanto garantisce a tutti i cittadini pari diritti [14]. In realtà è l'unica forma di uguaglianza possibile, essendo esclusa l'uguaglianza naturale.”
NOTE 12..14
12- Sun Yat-Sen, I tre principi del popolo, a cura di E. Collotti Pischel, Torino, Einaudi, 1976.
13- Ibid., pp. 94 sgg.
14- Ibid., p. 152.
http://www.sissco.it/pubblicazioni/col_arch_stato/rivoluzioni/viola.htm


“Sun had presumably begun to write his Three Principles around 1919 in Shanghai, but the actual text available today came from his lecture notes, written in vernacular style, in 1924 when he reorganized the Guomindang in Canton. This paper gives an analysis of these principles and examines Sun's intention and the circumstance under which he wrote them. It is concluded that they are part of a Soviet-style propaganda machine which set out not only to exploit the political ignorance and complacency, but also to foster the nationalistic pride of the Chinese masses so that they can be betrayed later on by a one-party dictatorial government.”
[...]

The Principle of People's Rights
[...]
“In the PRINCIPLE OF PEOPLE'S RIGHTS, Sun Yatsen gave a lengthy lecture on the meaning of liberty and equality, quite contrary to what was asserted by George Mason in 1776. He held that the urgent need of China was not individual liberty. Such liberty, in Sun's view, is that only of the grains of sand on the seashore; it is of no value to revolution and national development. Sun also included in his lectures, a philosophical discourse that there are three classes of men formed by the nature-bestowed intellect and endowments of each individual. The men of the first class, Sun explained, might be called pre-seeing (xianzhi xianjue); they are the extremely intelligent people, they are the creators and the inventors. The men of the second class are called post-seeing (houzhi houjue); they can neither create nor invent, but they can follow and imitate; they are the promoters. The men of the third class are called non-seeing (buzhi bujue); although they are taught by somebody else, they can learn nothing, they can only act; they are the executors. The progress of things in the World, Sun claimed, is based upon execution, hence the responsibility of world progress rests upon the men of the third class.
[...]
“Sun believed that the reason Western democracies had not made much progress was that the people took a rebellious attitude toward their government, but Sun claimed he had found a way to solve that problem:
“European and American scholars have thought only of the theory that the people's attitude toward the government must change. But they have not yet found of what that change must consist. Since our revolution advocates the practice of democracy, I have found a solution to that problem : the solution which I offer appears for the first time in the world in the form of a scientific formula....Well, what is that method ? It is the theory of the separation of quan and neng. No scholars, whether European or American, have ever found that theory of the differentiation between guan and neng. (GFYJ, 276; d'Elia, p.348)
“The Chinese word quan could mean "rights" (quanli), "sovereignty" (zhuquan) or "power" (quanli) on the part of the people, and "authority" or "power" on the part of the government; while the word neng means "capacity" or "ability". [...]
[...]
“Obviously, the purpose of Sun's lectures on the Principle of People's Rights was to convince the Chinese people not to follow the Western path to achieve democracy but to accept his newly invented theory as a Chinese way to achieve the same goal by supporting a strong revolutionary government which he had just established in Canton - a government of one-party dictatorship , Soviet-style.
[...]
“[...] In a confidential report to President Coolidge, Schurman remarked on Sun's omnious personal qualities:
“(Sun) is so completely persuaded of the righteousness of any cause he had taken up that the end sanctifies any means he may adopt for its realization... Never was there a man... more ego-centric, more obsessed with the idea of personal importance and greatness.”
[...]

The Principle of People's Livelihood
“Sun Yatsen asserted that two methods would suffice to solve the problem of people's livelihood in China: (a) equalization of landownership, and (b) restriction of capitalism.”
[...]
“But several passages later, Sun declared that his "Principle of People's Livelihood is communism, it is socialism," explaining this blunt equation in the following passage:
“Thus, not only can we not say that communism conflicts with (my) Principle of People's Livelihood, but we must even claim (communism) as a good friend...”
[...]
“Whether Sun's economic principle is workable or not is not the subject of our concern here. But what strikes one most in reading his text is Sun's distorted view on the relationship between a representative government and its people as practiced in Western democracies. Whether Sun Yatsen was completely ignorant of the subject, or his intention was to deceive the Chinese people is a subject of interest for further inquiry.”

The Principle of Nationalism
[...]
“In his lectures on the Principle of Nationalism, Sun specifically declared that he opposed "harmonious cohabitation" of all ethnic races, but advocated instead a policy of "amalgamating" (ronghe) all ethnic groups into the Han to form a "great Chinese race" (da zhonghua minzu) (GFYJ, p.481)
“Sun's nationalism undoubtedly appeals to the Han peoples. But to the minority nationalities, who comprise only 5 percent of the population, the implication of amalgamating with the Han by political means rather than building a political structure to accommodate harmonious cohabitation is something that certainly reminds them of the old concept of a uniform and homogeneous Han China ruled by the Son of Heaven. Sun's nationalism is no longer adequate to meet the challenge of the inspiration and problems of China's minority nationalities in the 21st century.”

http://mcel.pacificu.edu/aspac/papers/scholars/Chen/chen.html


Prima di vedere la lettera del nome dei tre principi, e perché sosteniamo il loro stesso enunciato (民族主義 / [mínzú zhǔyì], 民權主義 / [mínquán zhǔyì], 民生主義 / [mínshēng zhǔyì]) sia stato talvolta fantasiosamente tradotto, vediamo una rapidissima contestualizzazione storica. Poi concluderemo con qualche notazione generale che, oltre a sollevare ed a lasciare aperti problemi sulla definizione esatta delle Cine e del loro pensiero e pratica politico-istituzionale, speriamo indulga perlomeno a intravedere perché in effetti le traduzioni correnti dell’enunciato dei tre principi non potevano essere esatte, non solo dal punto di vista letterale. Non si può tradurre ciò che in altra lingua non esiste. Sebbene si dovrebbe almeno cercare una traduzione formale di quello nell’altra lingua si vuole, almeno nella forma, dire.

La dinastia Qing (1646-1912), una dinastia manchu, e per questo ritenuta straniera dai cinesi han (alla fine la razza-razza che in Cina “non conta” in realtà conta lo stesso! ...vedremo, poi, in breve perché conta, pur “alla cinese”) tenta, attorno al 1895, una via per nulla stravagante per porre le condizioni per liberarsi dalla dominazione straniera, inglés in primo luogo, la via della modernizzazione militare. Con aiuti di area non inglés, con assistenza tedesca, si creano nuove e moderne unità militari. Si cerca anche di creare un’industria militare moderna. Le industrie militari più moderne saranno a Wuchang. Non sarà certo un caso che la sovversione si concentri proprio lì, e non certo con aiuti d’area non inglés. Sarà a seguito di azioni terroristiche in preparazione nelle concessione russa di Wuchang, con incidenti che porteranno allo loro scoperta, che provocheranno un’insurrezione militare a Wuchang. L’ammutinamento militare di Wuchang è del 10 ottobre 1911. Un caso. E neppure raro, in quei tempi. E tuttavia, attorno a quell’evento casuale, l’impero si dissolve. Ciò che significa che non esisteva già più da tempo, come vero Stato. Gli ammutinamenti si susseguono e tutto si sfalda. Le unità militari moderne attorno a cui l’impero cercava di restaturare l’indipendenza statuale sono le prime ad ammutinarsi perché in esse è profonda la penetrazione delle organizzazioni rivoluzionarie. Nel 1912, viene proclamata la Repubblica di Cina. La leggenda delle rivoluzione delle mafie anti-manchu, dunque autenticamente nazionale e senza l’influenza straniera, non reggerebbe ad alcuna seria ricerca storica in uno Stato dove intensa era la presenza inglés e para-inglés in intensi affari con le mafie locali, dunque coi poteri reali locali. Los ingleses, prima, hanno sfondato la Cina con l’oppio, poi imposto apertamente con le due guerre dell’oppio (1834–1843, 1856-1860) vinte da ingleses ed alleati, ed altri traffici e penetrazioni, poi con l’assalto all’Impero e la proclamazione delle Repubblica. E poi, ancora, demolendo la Repubblica a favore della Repubblica Popolare maoista.

Che Sun Yat-sen (12 novembre 1866-12 marzo 1925) fosse un autentico nazionalista sceso improvvisamente dal cielo per guidare la rinascita cinese proprio non sembra. All’età di 13 anni andò dal fratello ad Honolulu (Hawaii, USA) dove poté studiare in scuole ed università americane. Ritornato in Cina nel 1883, raggiunge presto Hong Kong dove nel 1892 si laurea in medicina. Fa pratica medica ad Hong Kong nel 1893. Nell’ottobre 1894 torna alle Hawaii dove fonda un’organizzazione rivoluzionaria cinese. Nel 1895, a seguito della sua attività rivoluzionaria e del fallimento d’un complotto aveva organizzato, deve riparare all’estero per i successivi 16 anni, dove continua a capeggiare attività sovversive. I soldi non venivano certo dal nulla. Fa molto romantico scrivere e leggere che vive 16 anni raccogliendo fondi per attività rivoluzionarie ed organizzandole. Tuttavia, nessuno dà soldi ad un fuoriuscito che non abbia adeguati accrediti, dunque che non sia in networks di potere presenti e futuri. Nel 1896, a Londra, venne attirato all’interno dell’Ambasciata cinese ed arrestato. Fu l’intervento inglese a farlo liberare.

Quello che succede nel 1911 è del tutto casuale e spontaneo nei suoi improvvisi sviluppi. L’Impero di disgrega ed affonda, non solo la dinastia manchu dei Qing. Alla notizia degli eventi, Sun Yat-sen torna subito in Cina dagli USA. Il 29 dicembre 1911, una riunione dei rappresentanti provinciali a Najing lo elegge Presidente provvisorio della Repubblica di Cina e dichiara l’1 gennaio 1912 come primo giorno del primo anno della Repubblica, di fatto l’era repubblicana cinese su cui è tuttora regolato il calendario della Repubblica di Cina. Il crollo dell’Impero è il crollo della Cina, che s’era già disgregata decennio dopo decennio, secolo dopo secolo, quando dei barbari, “gli stranieri”, s’erano mostrati tecnologicamente e militarmente superiori. La Repubblica è cosa da operetta. Si deve comprare il consenso comprando capi militari, capi militari che sono più forti di chi li vorrebbe comprare. Il generale Yuan Shikai / 袁世凱 viene eletto Presidente della Repubblica il 14 febbraio 1912 e giura il 10 marzo 1912. Poi si auto-proclamerà pure Imperatore. Nel 1913, il Kuomintang vince le elezioni, ma Yuan Shikai / 袁世凱 muove contro di esso e Sun Yat-sen deve riparare in Giappone. Nel 1916, Yuan Shikai / 袁世凱 muore. La Cina s’è, nel frattempo, frammentata di fatto in signorie provinciali [province cinesi, grandi e popolate anche quanto Stati europei] capeggiate di fatto da generali. Sun Yat-sen ritorna in Cina, a Canton, nel 1917 quando i capi militari del sud glielo permettono. Ecco la storia della Cina, del suo “nazionalismo” e, poi, anche del suo “comunismo” è quella. Sun Yat-sen opera dentro quella tragicomica storia reale. E così i suoi successori, pur antagonisti tra loro.

Veniamo ai tre principi del popolo, 三民主義 / [sān mín zhǔyì]. Questa è l’unica traduzione esatta. 三 [sān], tre. 主義 [zhǔyì], principio/i o -ismo. 民 [mín], popolo. Non sempre le altre, quelle di ciascuno dei tre principi.

Se prendiamo民X主義 / [mín X zhǔyì] abbiamo, in modo simile, principio X del popolo oppure X-ismo del popolo, salvo che 民 [mín], popolo, combinato col carattere che segue non formi una qualche parola a sé stante ben definita nel contesto dato [***].

Vediamoli.

民族主義 / [mínzú zhǔyì].
民族 / [mínzú] significa nazione, nazionalità, gruppo etnico. Dunque, nazione o nazionalità, come gruppo etnico. Infatti, 族 / [zú] significa clan, razza, classe, gruppo. Non ha nulla a che fare con nazionalismo, dunque con nazione o nazionale nel senso di nazionalismo. con patria o patriottico. Nazione o nazionale nel senso di patria o paese (nel senso inglese, del tipo “questo è il mio paese”) è 國家 / [guójiā]. 國 / [guó] è paese nel senso di country. 家 / [jiā] è casa, famiglia. Stato, nel senso di unità amministrativa, parola che i cinesi non amano e che usano solo per Stati d’uno Stato federale è un altro termine ancora, 州 / [zhōu]. Infatti è usato sia per Stato sia per Prefettura. È la parola, il carattere, secondo me proprio per tradurre Stato, mentre i cinesi, xenofobi esasperati, insistono con 國家 / [guójiā]. Per loro devi avere una patria (nemica della loro!). Non concepiscono tu possa, banalmente, essere cittadino o suddito d’uno Stato 州 / [zhōu]. Patriottico è 愛國 / [àiguó]. 愛 / [ài] è amare. 國 / [guó] è paese [country]. Dunque amare il paese, amare il proprio paese, la propria patria.
Per cui, 民族主義 / [mínzú zhǔyì] non c’entra nulla col nazionalismo o col patriottismo. Avrebbero usato una parola specifica, che pur avevano, se avessero voluto esprimere un qualche concetto patriottico. 民族主義 / [mínzú zhǔyì] è un principio etnico o razziale. Con questo principio, scritto a quel modo, o s’afferma la razza han (o supposta razza; sono così tanti e così differenti!) rispetto alla dinastia manchu oppure la razza cinese rispetto al mondo, od anche entrambe. È un principio della razza.
Che la visione cinese di razza, così come quella di Sun Yat-sen che è identica, sia particolare, non inficia questa traduzione letterale né inclina nel senso di un nazionale nel senso di patriottico o nazionalistico. La razza è lo stesso gruppo etnico, soprattutto in Cina. Non è un fatto di caratteri somatici, bensì di uniformità di pensiero e di comportamenti. Per Sun Yat-sen, tutti i cinesi avrebbero dovuto divenire han. Essere han, a parte il richiamo ad una “razza” chiamata a quel modo, è ciò il potere politico d’un certo momento vuole si sia, incluso l’atei militanti o comunque dichiarati, od altro. La dinastia manchu era vissuta come non cinese, dunque da rovesciarsi, perché aveva mantenuto costumi differenti dalla maggioranza dei cinesi. Avesse fatto divenire tutti manchu o fosse essa divenuta han, ecco che allora sarebbe stata davvero cinese. Se è una concezione che va oltre come si intenda il razzismo od il razzialismo, non per questo s’avvicina ad un patriottismo che s’identifica in una patria fabbricatasi nella testa indipendentemente da come ci si vesta o quale religione (religione senza caratteristiche “razziali”) s’abbia i giorni comandati. Si potrebbe discutere se essa abbia similarità con certo repubblicanesimo rivoluzionario giacobino francese tuttora ostentato. L’esigenza d’appartenenza e d’uniformità del cinese, pur poi in costante competizione-conflitto con tutti gli altri cinesi, è più profonda. È come una prima irrinunciabile difesa di fronte ad un mondo esterno (alla Cina e alle Cine) di cui il cinese ha terrore. Tra loro si fregano. Ma devono rimuovere, distruggere, “lo straniero” perché con lui non sanno come comportarsi.

民權主義 / [mínquán zhǔyì].
權 / [quán] significa potere, peso. 民權 / [mínquán]. Democrazia, come dal greco forza o potere del popolo. Dunque Principio di democrazia, o principio democratico.
Parlare di diritti del popolo o di diritti politici, non solo non rispetta la lettera ma neppure il senso. Non vi sono diritti in Cina e nelle Cine. Tu sei un insetto in una casella decisa dal potere. Devi fare quel che ti si chiede, nulla più e nulla meno. Sun Yat-sen, enunciato il principio democratico, chiarisce che il popolo ha forza e potere dunque c’è democrazia, forza e potere del popolo, se il popolo è unito come un sol uomo ai comandi d’un governo assoluto, indiscusso ed indiscutible. Per Sun Yat-sen, democrazia è dunque l’ubbidienza cieca. Problema della Cina che il mondo s’apre raggiungendola, ed ancor più problema di quella cosa vieppiù tragicomica che è Cina politica post-imperiale, e che non esiste più un governo, lo stesso governo è un sovrappiù rispetto a clan che neppure riescono a simulare d’essersi messi d’accordo su qualcosa. Non si pensi che neppure la stessa Cina maoista abbia restaurato un qualche forte potere centrale. L’insopprimibile bisogno di sudditanza del cinese s’adatta anche a poteri che non siano così centralizzati come si vorrebbe credere. Del resto, l’assolutismo non è mai esistito, né può esistere, se non come immagine, dipendendo ogni potere dagli esecutori che sono sempre quel che sono soprattutto più gli interessi confliggenti emergano e si impongano nella società. Sun Yat-sen, dietro a quello slogan di forza o potere del popolo, o di democrazia, sogna una immaginaria dittatura “comunista” o “fascista” o “nazista” da capeggiare. Gli sfugge che la vera “dittatura” è quando governi, pur in regime di democrazia formale, possano concentrarsi su poche cose e con strumenti veri per gestirle. Ma lui sogna l’economia di Stato senz’avere a disposizione una burocrazia né alla tedesca, né alla francese, e neppure alla cinese imperiale funzionante. I clan mafiosi variamente feudalizzati non possono sostituirla, né la Repubblica, come l’Impero in decadenza e disfacimento, può venirne a capo. Sun Yat-sen non s’interessa di diritti, che anzi detesta, né di democrazia come competizione, oltre che come democrazia politica formale. Nulla di tutto ciò. Sun Yat-sen è l’uomo dei clan mafiosi del sud e dei poteri internazionali che affondano progressivamente la Cina. Nel suo “pensiero” “politico” sarà “lo Stato” a prenderti, se esso ti vede o se tu riesci a farti vedere. Però, in concreto, c’è il clan mafioso locale. Taiwan, la pseudo-RoC, si svilupperà, nonostante l’ultima cinesizzazione che semmai opera nel senso di rovinarla, grazie alla previa colonizzazione giapponese ed a necessità di guerra degli USA nell’area. Lo stato predatorio cino-repubblicano non riesce neppure a rovinare Taiwan.

民生主義 / [mínshēng zhǔyì].
生 / [shēng] significa dar alla luce [alla vita], crudo, non cucinato. Il carattere racchiude i concetti di vita, vivo, nascita, allevare, crescere, produrre, creature, ma anche di acerbo, non familiare, strano.
民生 / [mínshēng] viene tradotto, dai dizionari, con the people’s livelihood, che è vita del popolo, mezzi del popolo, mezzi di sussistenza del popolo.
Per cui The Principle of People's Livelihood, Principio [dei mezzi] di sussistenza del popolo. Diviene improprio usare concetti come “benessere”, perché per benessere s’usano altre espressioni. In quel livelihood, c’è il concetto di dare da mangiare. Il dare il pane quotidiano al popolo.
La ricetta di Sun Yat-sen è semplice. L’economia di Stato. Che poi possa funzionare o meno dipende in realtà da altri fattori vengono prima di semplici ricette siano esse la ricetta-“Stato” o la ricetta-“mercato”. Sun Yat-sen non arriva a questo. Racconta che ha visto il mondo e preferisce la proprietà di Stato, la tradizione cinese, di fatto, ...anche se l’Impero millenario non esiste più da tempo! La Cina repubblicana opprimerà la società, sia nella Cina pechinese che in quella taiwanese, con forme di controllo sociale di tipo ossessivo-maniacale che sono sprechi sociali più che vere forme di disciplina di società di insetti da cui si vuole rimuovere l’individualità e l’individuo. Lo sviluppo economico non avverrà o avverrà nonostante ciò.

Nel pensiero politico cinese, nella filosofia cinese, l’individuo non esiste. Esiste, eventualmente, come entità da annientare. Il cinese, se incontra un individuo, deve distruggerlo. Oppure ne è distrutto. L’individuo è irriducibilmente antagonista alla concezione cinese di ordine.

Il confucianesimo è una filosofia da insetti. Normale fosse disprezzato in epoca di lotte e rivolte ed invece in auge in tempi di restaurazioni e di quotidianità. Il rito confuciano è l’algoritmo, il comportamento automatizzato della macchina, dell’animaletto elementare. Il governo è governo degli insetti con gli stessi governanti come insetti capi e null’altro. La stessa meritocrazia, grandiosa per la prosperità indivuale e collettiva, se invece burocratizzata diviene selezione di adatti a caselle d’una comunità d’insetti che mira solo alla propria autoperpetuazione sempre identica nella propria immaginaria perfezione. È ricerca della perfezione all’interno del predefinito, che porta alla fine alla catastrofe di fronte all”imprevisto ed all’imprevedibile, come è appunto accaduto col mondo che, pur temuto e rifiutato, non ha potuto non raggiungere la Cina e le Cine. La meritocrazia, inevitabilmente, in quel contesto, era centrata sulla lingua, una lingua (pur difficilissima) da insetti, sulla lingua scritta mezzo di trasmissione degli ordini da capire ed applicare con assoluta precisione burocratico-formale.

La tradizione politica e filosofica cinese disdegna le legge sia perché non necessaria in un ordine totalitario, sia perché il potere è la legge, potere che ha comunque gli strumenti di controllo totale per imporsi quando lo ritenga necessario alla sua preservazione ed alla preservazione dell’ordine. Le religioni come spiritualità, dunque individualità, in Cina, in tutte le Cine, sono definite spregiativamente superstizioni. Mentre il confucianesimo, lo stesso buddismo, così come qualunque altre gerarchia, anche se non lo possono dire apertamente (dalle mafie alle gerarchie religiose, tutte polizie parallele al servizio dei governi nelle Cine, per cui le stesse “superstizioni” sono in realtà ben utili, pur disprezzate in quanto potenziali forme di libertà dallo Stato), sono, quando asservite al potere centrale (e lo sono, ed allo stesso modo, nella RPC, nella RoC, a Singapore), “tradizioni” utili al dominio delle comunità degli insetti. Non davvero tradizione come individualità o comunità. La stessa tradizione è un mezzo di consacrazione del potere oppure è combattuta e distrutta.

Il carattere di clan, razza, classe, gruppo, 族 / [zú], si compone di tre “pezzi”. Quello a sinistra significa quadrato, posto/luogo. Quello a destra sopra significa persona coricata. Quello a destra sotto significa freccia, impegno (voto, giurare, pegno, promessa), mostrare. Si potrebbe dire che, per questo carattere, alla fine, la razza è la casella, sia sociale che spaziale, in cui l’insetto è collocato, dove dorme, e dove sta per via di un impegno-minaccia (la freccia è minaccia). Tutte le razze/etnie sono così. Qui neppure si tenta di dare, almeno nel carattere inventato per rappresentare la razza e giuntoci in questa sua evoluzione, una qualche spiritualità. Ma anche al di fuori del carattere, non v’è nulla d’altro. In effetti, quello che esiste come tradizione costante, nelle Cine, è il culto dei propri morti, spesso bruciando foglietti che sono i soldi si mandano loro nell’aldilà, un po’ come dare i soldi ad un detenuto o ad un ricoverato senza entrate. Nessuna estasi paradisiaca da raggiungersi come premio per le virtù dell’anima. Anche nell’aldilà, in cui in realtà non credono, v’è la posizione dell’insetto nell’ordine sociale, posizione simboleggiata dai soldi. Un successore arricchitosi può fare avanzare anche te, suo predecessore ora morto, si potrebbe pensare. In realtà, è il successore eventualmente arricchitosi che si vergogna del predecessore di casella inferiore, ed allora ora lo arricchisce per fingere sé, da sempre, come famiglia di provenienza, nella posizione sociale ora raggiunta.

Se non esiste razza e non esiste nazione esiste l’unità della maniacalità, il razzismo dei pazzi, dei perversi, furiosi pur lobotomizzati. Ecco quel che esiste nelle Cine.

Il modello del pensiero politico-istituzionale e della pratica politico istituzionale cinese è il dominio mafioso ipercentralizzato (iperecentralizzato nelle intenzioni, perché nella pratica è poi impossibile) dove tutto è regolato secondo criteri di gerarchia e servaggio. Lo spazio cinese è oggi, come in passato, un esteso spazio mafioso centralizzato, senza Stato moderno, solo con l’ordine mafioso centralizzato. L’unica razza o etnia è l’appartenenza mafiosa. L’unica democrazia è la democrazia mafiosa. L’unica vita possibile è la vita da insetto della grossa cosca mafiosa che tutto domina (almeno nelle intenzioni e nella azione pratica della stessa). Un’apparenza di Stato moderno è solo facciata di fronte al mondo. Ed è anche facciata di fronte a sé stessi dominati da complessi d’inferiorità e di paura verso il mondo esterno, “lo straniero”. In effetti i cinesi e cinesoidi son dominati da tali complessi ben più di altre popolazioni di altre aree del pianeta.

Si potrebbe obiettare che un po’ tutti gli Stati sono, in vario modo, e con vari livelli di efficienza sistemica, basati su un modelli d’ordine sociale ed istituzionale di fatto mafiosi. E tuttavia ciò che distingue nettamente gli spazi cinesi e cinesoidi è l’assenza dell’individuo. Esiste l’insetto. L’individuo non esiste ed è furiosamente combattuto se mai dovesse apparire. Le stesse ribellioni avvengono quando un potere più forte o giudicato più forte sembri coprire i “ribelli”. Negli spazi cinesi e cinesoidi, anche il “ribelle” è insetto che sfugge ad un ordine mafioso debole in nome della sua restaurazione sotto altra direzione forte ed assoluta.

L’unica difesa dell’individuo è mentite, mentire sempre, anche a sé stesso. Che è già una via d’autoannientamento più che di reale preservazione d’una qualche individualità.

Checché ne dicano studiosi di tradizione yankee o oxbridgista, non esiste una perfezione “occidentale” da contrapporre o cui si contrapponga l’altrui barbarie. Tuttavia, dove non esistano davvero individui, neppure occasionalmente, domina, assolutamente incontrastata, una particolare ossessione da insetto. Ottima nella fabbrica, dove esser può essere canalizzata nella produzione preordinata, essa ha tuttavia forti valenze autodistruttive in un ordine sociale centrato su di essa. Ciò è già stato, non appena il mondo ha raggiunto la “multimillenaria grande civilizzazione”, che infatti di fronte al mondo s’è disfatta, pur credendo di continuare pur sotto altre forme. Ciò sarà ancora, tanto più che il recente forte sviluppo quantitativo della Cina più grande, la RPC, ha esponenzialmente aumentato l’arroganza dell’ossessione da insetti. Che è solo supponenza, non inversione od interruzione delle forti valenze autodistruttive di quell’ordine sociale.

In pratica, la “multimillenaria grande civilizzazione” s’è voluta convincere di continuare ad esistere perché la lingua scritta continua ad esistere. La lingua scritta continua ad esistere, pur in versione semplificata [che è già un’autodistruzione] perché esiste un grosso Stato cinese. Crollato quello, piu verosimile si passi a tante lingue alfabetiche, ben più pratiche ed efficienti, con conseguente stesso radicale cambiamento delle lingue parlate, dei vari cinesi oggi parlati. La perpetuazione d’una lingua è un po’ poco per pretendere che una “multimillenaria grande civilizzazione” continui ad esistere, ed, appunto, la stessa lingua cinese non ha le capacità di difesa e proliferazione di lingue con alfabeti greco, latino, cirillico, arabo ed altri. La lingua è l’ultima illusione. Essa, contrariamente alle lingue alfabetiche, è parte della maniacalità autodistruttiva cinese e non sopravviverà al crollo dello spazio cinese. Un ordine maniacale si preserva nell’assoluto isolamento. Da quando le Cine sono state raggiunte dal mondo, e non hanno retto il confronto, sono cominciate a sparire. Sono state tenute in piedi proprio dagli stranieri che non sapevano come gestire il crollo d’uno spazio così vasto e popolato.

Non è invero questione di “democrazia”. Anzi, la democrazia, invece, ben esiste nelle comunità di insetti, e nel senso più pieno, come democrazia militante dei maniaci. È grazie ad essa che, ad ogni livello, tutti si impongono ed impongono agli altri di pensare e di agire come tutti ritengono gli altri ritengano si debba pensare ed agire. Altra cosa è la democrazia formale, ed invero un po’ “fredda”, degli a Stati ritenuti a più solida tradizione cosiddetta liberale o liberal-democratica. È questa democrazia fredda che può permettere, talvolta, l’emergere e l’affermarsi di individualità, così come è, al contrario, la democrazia vera alla cinese, la democrazia militante dei maniaci, che è al servizio della distruzione dell’individualità. Si veda Orwell, 1984, grande testo politologico.

Nelle aree europee e di influenza europea, le categorie politologiche e sociali hanno sempre più assunto valenze ideologico-propagandistiche. Già del tutto inadeguate in contesti “europei”, esse sono tuttavia ancor più inadeguate e fuorvianti dove l’individuo non esista, non sia mai esistito, dunque non possa neppure avere un ruolo occasionale. Tale è lo spazio cinese e cinesoide. Occorrerebbero ancor più concetti ed ancora più precisione linguistica per rappresentarlo.


[*] http://www.folkdoc.idv.tw/classic/p02/ba/ba01/a1.htm che è la versione del 1924. La date riportate subito prima delle varie parti del testo sono differenti, tutte comunque del 1924. Infatti, i vari sotto-testi rappresentano appunti di lezioni o conferenze.
[**] Io li definisco correntemente “maoisti”, perché esaltati da una supposta potenza della Cina di Pechino, potenza che loro evidentemente vedono e che subentra a paradigmi ideologici [“nazionalisti” contro “comunisti”] precedenti superandoli. Sono i cinesi che credono nelle Grande Cina, eventualmente da realizzarsi dopo che la RPC avrà rinunciato al “comunismo”, in realtà al più presto. Psudo-teorie oxbridgiste del una Cina, due sistemi, od anche una Cina, tre sistemi, a parte, col passaggio dal pauperismo da campo di concentramento maoista al cinesi arricchitevi, che nel campo di concentramento aumenta la differenzazione ma anche la forza di chi il campo di concentramento comanda, ora, ancor più di prima, lo slogan già insensato di “comunismo” (il cui senso era “inserimento nell’area sottosviluppista assegnata in gestione al secondino russo”) è questione puramente terminologica, soprattutto in Cina o nelle Cine. La Cina è da sempre fondata sull’onnipotenza [almeno nelle intenzioni] del governo centrale. Lo si chiami “comunismo”, “nazionalismo”, “fascismo” “nazi-comunismo”, “campo di concentramento”, “asilo psichiatrico”, “democrazia popolare”, o, più semplicemente, “Cina”, non c’è mai stata, né c’è tuttora, alcuna vera differenza tra i vari regimi delle varie Cine. Cambiano i metodi formali. Cambiano le facce, le cricche di personale politico e di potere. La sostanza è la stessa, ora più povera, ora più ricca. Non la “libertà”, che non c’è nelle Cine essendo una contradictio in terminus. Sono solo differenti livelli di sviluppo, che derivano da differenti tradizioni di colonizzazione subita. Non c’entrano nulla “i regimi”. Singapore e Taiwan hanno poggiato sulla precedente colonizzazione inglese l’uno e giapponese l’altro. La Cina di Pechino sull’opera distruttrice inglese con ausili vari da parte d’altre potenze e sottopotenze. Distruzione della Cina e promozione finale del campo di concentramento maoista per lasciare la Cina nel congelatore: ecco il prodigio inglese. Le etichette del momento sono al servizio degli interessi, interessi di chi può imporli ed imporsi su altri che subiscono.
[***] La scrittura senza ventilazione può creare a volte dei dubbi se per esempio due caratteri siano una stessa parola (quando esiste) oppure abbiano due differenti significati a sé stanti (soprattutto quando vi siano parole formate da caratteri che sono anche avverbi, od altre particelle, ricchi di significati specifici), sebbene il cinese sembri non avere mai questi dubbi. Dunque è evidentemente questione di pratica.

11 December 2006

Lettera da Lhasa numero 40. Fulco Lanchester e la “democrazia” quirinalizia dei Costituzionalisti

Lettera da Lhasa numero 40. Fulco Lanchester e la “democrazia” quirinalizia dei Costituzionalisti
by Roberto Scaruffi

Sfruttiamo questo breve saggio [*] di Fulco Lancaster, casualmente messoci sotto il naso, come pretesto per dedicarci ad alcuni aspetti secondari dello stesso e tuttavia rilevanti in questi tempi rispetto allo spazio italico. Non ci interessa chi sia l’autore, solo ciò che dice che, anche visto il sito l’accoglie, è il tipo d’arguire si ritrova diffuso ed accettato. È comparitibile con ciò si deve dire senza entrare in rotta di collisione con le vulgate accettabili dalle banalità, per nulla veritiere, anzi ben finalizzate ed interessate, delle propagande ufficiali, quelle per cui un magico giorno apparvero dei giustizieri che colpirono ed affondarono il Male sebbene poi i travagli del destino non abbiano condotto al trionfo del Bene. È questo ciò che si vende nelle accademie d’ogni genere e prospettiva sull’ultimo italico decennio e mezzo.

Il breve saggio è infatti centrato o finalizzato ad altro, alla questione dei senatori erroneamente attribuiti secondo la lettera della nuova legge elettorale, oppure esattamente attribuiti secondo gli intenti dichiarati da chi la legge ha almeno in quello mal scritto e fatto approvare, in occasione delle elezioni politiche del 2006.

Lasciamo stare, anzi tocchiamo solo marginalmente in questo paragrafo, le solite confusioni teorico-concettuale da militanti di partito, il partito quirinalizio qualunque sia il sottopartito, che l’autore propina. Se si usa il concetto di formula non maggioritaria, dunque di formula maggioritaria, si dovrebbe specificare, sulla base della stessa terminologia, dove nella nuova legge elettorale non c’è e dove c’è la formula maggioritaria. C’è formula maggioritaria a livello di circoscrizione regionale per il Senato ed a livello di circoscrizione nazionale alla Camera, e precisamente ci sono formule maggioritarie consistenti in un premio di maggioranza relativa. L’autore usa invece altra dizione, per confondere sulla questione maggioritario e non maggioritario. Solo verso lal fine del saggio c’è un riferimento all’“utilizzazione di strumenti maggioritari (dal collegio uninominale maggioritario allo stesso premio di maggioranza)”, assumendo dunque il premio di maggioranza nella categorizzazione strumenti maggioritari. Anche in questo l’autore non è per nulla preciso. Confonde e propina confusioni. L’uninominale di collegio è una cosa. Se proprio lo si vuole includere nella categorizzazione strumenti maggioritari la si dica tutta: è un maggioritario pigliatutto di collegio, e null’altro, dunque un non maggioritario nazionale. È vero che la letteratura l’origine anglofona lo colloca, e sbaglia, tra i maggioritari. Da quelle parti hanno l’attenuante che votando in pratica per il capo del governo (tale è la Costitutione materiale, in genere, in quell’area) dunque in un constesto bipartitico (che, lo ripetiamo, dipende dalla Costituzione materiale, non dalle leggi elettorali) accademici non rigorosi hanno finito per confondere l’uninominale di collegio, dove c’è, per la sorgente, anziché per l’elemento irrilevante e non maggioritario nazionale, del maggioritarismo istituzionale. Un premio di maggioranza nazionale è aspetto del tutto differente, rispetto all’uninominale di collegio, perché davvero maggioritario dal punto di vista di garantire, almeno a priori e sulla carta [**], una maggioranza di governo[***]. Altra cosa ancora sono maggioritari regionali che, nel contesto d’una elezione nazionale e per il governo nazionale, non sono certo maggioritari nazionali ma solo stemperamenti (inevitabilmente di parte, almeno nelle intenzioni) di super-concentrazioni regionali di partiti o coalizioni. ...È il bicameralismo perfetto, coi giochetti che ha sempre consentito. Neppure prima del golpe [il principale, 1992-93] quirinalizio c’era la stessa legge elettorale per le due Camere. Il bicameralismo perfetto... Una boiata, per usare un linguaggio elegante. Troppo semplice sopprimere il Senato. La Costituzione “di Berlusconi” lo riduceva a Camera delle Regioni senza influenza sulla fiducia/sfiducia al governo e sulla legislazione strettamente nazionale, oltre che in posizione subordinata in caso di conflitti con la Camera [nazionale]. Era troppo pure quello. Hanno forsennatamente attaccato anche questa felice innovazione con la motivazione che “spaccava l’Italia” e, nel contempo, con la motivazione opposta, che era troppo centralista. La univ-spaccava o la spaccav-univa, hanno detto, accademici di partito inclusi. Tale è questa Vostra Italietta finta e compradora.

Il saggio inizia con un ardito: “La crisi di regime del 1992-93 ha comportato forti innovazioni, ma non ancora una stabilizzazione del modello istituzionale. In effetti, il mancato chiudersi del riallineamento partitico vede oggi l’indebolirsi oltre ogni modo dell’impianto costituzionale originario del 1948 sulla base di una innovazione istituzionale incrementale sempre più massiccia ed incisiva. Il nuovo sistema elettorale in senso stretto per le due Camere, approvato in zona ‘‘Cesarini’’ nel dicembre 2005 ([...]) ha riaperto i giochi e rinviato sine die la auspicata conclusione della transizione.
“Nel primo semestre del 2006 si sono tenute: elezioni generali con il nuovo meccanismo di trasformazione dei voti in seggi, elezioni amministrative importanti ed il referendum confermativo della novella della seconda parte della Costituzione approvata dalle Camere nel secondo semestre del 2005. Questi tre appuntamenti hanno certificato la persistenza della ‘‘transizione infinita’’.”

Il tutto ridonda d’ideologia che, come tale, non ha alcuna vera attinenza con dinamiche reali o storico-reali. La Verità non esiste. Esistono tuttavia formulazioni teoriche, o “teoriche”, e fattuali che di sicuro non sono neppure possibili verità.

Procediamo per cerchi concentrici, dall’esterno all’interno, al nucleo centrale delle mistificazioni.

La mistificazione più risibile è sull’esistenza di una transizione e che tre eventi, di cui due del tutto irrilevanti, sia a fini istituzionali che politico-istituzionali, l’abbiano tenuta aperta. La concettualizzazione è mutuata dal teatrino politico che s’alimenta sui vaneggi della transizione e del modo per fingere concluderla. Non concludendosi, questa transizione immaginaria del teatrino politico, si dovrebbe arguire che o non esista, o non vada conclusa, o renda più al teatrino politico tenerla aperta e discorrerne, sempre che davvero esista mai. Ma non esiste. Non è mai esistita. Il golpe principale, la Grande Purga del 1992-93, è andato veloce. Scalfaro Presidente si fa subito l’Amato-I, governo del Presidente.

[1] La transizione. Transitio. Da transire. Oppure transitionem, da transitus, participio passato di transire. Passare o andare attraverso o transitare. Per una dinamica storica od istituzionale, salvo assumere un apodittico essere sempre in epoca di passaggio significa passare da un qualcosa in genere noto ad un qualcos’altro d’una qualche definibilità.
L’operazione ideologica sottostante all’affermazione della “transizione infinita” è semplice. Rifiutarsi di vedere, od occultare agli altri, se lo si è visto, che la transizione è avvenuta e s’è già in un’“epoca” istituzionale o politico-istituzionale ben definita seppur con caratteristiche se non proprio di instabilità di una qualche sfocatezza od incertezza. Oppure, se la transizione non è avvenuta, un sistema in “transizione infinita” è in condizione di forte trasformazione permanente, cosa del tutto irrealistica per sistemi complessi a meno d’assumere un tautologico movimento continuo della materia e delle cose viventi. La transizione è avvenuta. Da partitocrazia a quirinaliziocrazia. Troppo semplice perché i geni possano vederlo. ...Ed anche geni troppo furbi.
La transizione è avvenuta, ed in un periodo piuttosto breve. Essendo avvenuta con varie peculiarità e non potendosi/volendosi ammettere un colpo di Stato o sovversione intra-istituzionale o rivoluzione pur di palazzo e di palazzi, s’è inventata la favoletta degli angeli vendicatori magicamente apparsi che, tuttavia, fermati dalla sorte avversa hanno condotto ad una “transizione infinita”: della serie t’apro le porte della prigione cupa e malsana ma tu vuoi restarvi. Per fortuna, Fulco Lancaster è serio, nell’esposizione. C’evita del tutto la favoletta colorata e colorita. Si limita ad una constatazione, secondo lui ed altri, d’una “transizione infinita”. Che è comunque una contradictio in termini oltre che fattuale.
Col 1992, già sotto il Presidente della Repubblica e del CSM Cossiga e col suo incoraggiamento personale e diretto, almeno a Milano, almeno nella persona di Antonio Di Pietro, per quello che se ne sa [è tutto pubblico!], inizia l’assalto diretto e frontale al sistema politico, a tutto il sistema politico. Si parte dal Centro, la persona di Craxi. Lasciamo stare che le intenzioni di taluni potessero essere differenti, forse, all’inizio. Qui non lo so, né importa. Quello che qui ci interessa è che si prendono degli investigatori con procuratori di supporto, oppure dei procuratori con investigatori di supporto, oppure degli “operatori-unici” detective-procuratore, e si distrugge tutto il sistema politico della Costituzione del 1948, quel sistema politico che s’organizza già col 1942, nella clandestinità e poi si forma nelle vicende del servaggio anglo-americano-russo e successive, mentre altri restano sotto il servaggio tedesco finché è gradito e possibile. Insomma, quella cosa che viene fuori dal quel grande rimescolamento gattopardesco ed affare che è una guerra, anche quella guerra, dove chi vince [non l’Italia, né italici] si deve creare le sue forme di dominio. Essendo il sistema politico post-bellico parte integrante ed essenziale della Costituzione materiale che esprime la Costituzione formale del 1948 e la fa vivere concretamente [****], affondato quel sistema politico il regime Costituzionale del 1948 non esiste più. Si passa da un regime di democrazia parlamentare fondato sui partiti ad un regime presidenziale-quirinalizio fondato sul trasformismo parlamentare. Già col Governo Amato-I s’è in questo regime presidenziale-quirinalizio. Il colpo di Stato intra-istituzionale o rivoluzione intra-istituzionale è compiuta col Governo Ciampi e le forme di guerra civile intra-istituzionale, “il 1993”, che l’accompagnano. Difficile sempre datare con precisione in queste cose, né io ne ho la passione. Meglio i fatterelli “spia” in un quadro concettuale permetta di leggere le cose. Chessò, un Giuliano Amato, “capo” del governo [del Presidente Scalfaro] che corre frenetico tra Palazzo Chigi ed il Quirinale per ogni cosa, e non necessariamente per indole sua, ma perché obbligato dalla situazione del periodo è il Palazzo d’Inverno già assaltato e preso, è il golpe o rivoluzione già avvenuti. ...che poi altre al golpe od ai golpe ci debba essere il terrore quirinalizio, con corollario di “fucilazioni”, “scontri”, guerra civile... ...si rivada al periodo, ai “fatterelli” d’allora.
Con le elezioni del 1994, la “transizione” è già finita. Le elezioni del 1994 sono la formalizzazione della dittatura del Quirinale. I partiti della Costituzione del 1948 non ci sono più. Nessuno d’essi sopravvive al golpe ed alla transizione [il terrore quirinalizio] di regime istituzionale. Al massimo, di qualcuno, sopravvive l’etichetta, anch’essa presto nascosta o dismessa. Il passaggio si realizza è, comunque, istituzionale, di Costituzione materiale, da un regime parlamentare partitico ad un regime quirinalizio, da partitocrazia a quirinaliziocrazia. Non è tanto, né solo, un passaggio, una transizione, di forma politiche.
Il carattere debole delle soluzione non istituzionalizzata né istituzionalizzabile di “dittatura” a-democratica (perché senza alcuna legittimazione democratica) del Quirinale, in osmosi col blocco buroligarchico l’ha promossa, spiega la sua estrema sensibilità ad ogni sollecitazione. Sono persino allergici se n’alluda. Eppure l’equilibrio pur debole ed instabile s’è mostrato di fatto durevole. Ha superato la velletarietà d’un Parlamento già nelle urne quirinalizio nel 1994. Ha riassobito, seppur con persistente conflittualità, la variabile (politica e di potenziale differente prefigurazione istituzionale) non autorizzata e temuta, la variabile Berlusconi. Gestisce il trasformismo parlamentare, ora per asservire ora per affondare governi, per la “gloria” del Quirinale e del suo blocco di riferimento e rappresentanza.

[2] Ai fini di una eventuale transizione da questo regime quirinalizio a qualcos’altro, dei tre elementi citati da Fulco Lancaster, l’unico rilevante è una Costituzione di rottura del regime quirinalizio. Tale era la riforma costituzionale “di Berlusconi”. Affondata con un plebiscitario 61% referendario, quel 61% ha rappresentato un trionfo del Quirinale-buroligarchia, come significato da un Napolitano che nei libri scrivera, di fatto, di volere una Costituzione alla Berlusconi, ma come Presidente s’è poi mostrato ben lieto del massimo poter per la sua persona posta, nel Quirinale, a capo del blocco oscurantistico buroligarchico. L’esito delle elezioni politiche e delle amministrative non significa nulla. Avesse trionfato Berlusconi od avesse trionfato davvero Prodi, sarebbe stato ininfluente ai fini istituzionali. Ed anche ai fini del governo reale, nel contesto dato, dove il governo reale è al Quirinale, non a Palazzo Chigi.
E, tuttavia, le Costituzioni non nascono dal nulla. La Costituzione “di Berlusconi” è stata una avventura intellettuale. Null’altro. Non sarebbe stata possibile con larghe maggioranze ed intese, visto il servaggio quirinalizio di tutto il blocco populistico-“sinistro” ma pure, in vario modo, di parte almeno di quello del liberalsocialismo di Berlusconi e soci politici. Non era possibile passasse al refendum Costituzionale senza un colpo di Stato o rivoluzione od autodisgregazione del regime quirinalizio. In piena dittatura quirinalizia ecco che qualcuno, pur al governo formale e pur rappresentativo di maggioranze elettorali e sociali, butta sulla pubblica piazza per formale approvazione una Costituzione che segnerebbe il passaggio dalla dittatura quirinalizia ad una democrazia parlamentare e governativa. Pur nella debolezza quirinalizia non poteva passare per un banale voto pro o contro dei cittadini o sudditi. Sarebbe occorso altro. Infatti, gli stessi la approvano in Parlamento, poi la nascondono, evitano lo scontro e la mobilitazione attorno ad essa e per essa. Insomma, una pura avventura intellettuale, del tipo ecco quello che siamo capaci di fare sulla carta. L’hanno scritto e consegnato al macero. Ci fosse stata anche solo qualche possibilità passasse al referendum Costituzionale, il Quirinale non l’avrebbe fatta passare in Parlamento. Udc, Lega, An, procure, ...sull’arte del non fare e dell’ostruire è fondata Italiozia, ...il Quirinale qualcosa avrebbe usato per non farla passare neppure in Parlamento. ...Salvo sconfitte/vittorie sul campo, per cui una Costituzione rinnovata anche solo in qualche elemento chiave formalizza od accompagna un differente equilibrio.
Dopo la plebiscitazione, a giugno 2006, del regime quirinalizio sono possibili solo rettifiche Costituzionali rendano ancor più debole, in termini istituzionali, ogni opposizione ad esso, salvo naturalmente un’autodisgregazione del regime quirinalizio stesso (...che quanto a proprie debolezze, assolute inettudini, inconcludenze, autoputrefazioni, non cerca neppure di nasconderle) od un qualche efficace assalto contro esso che porti al trionfo della democrazia contro la quirinaliziocrazia. Il fascio liberalsocialista di Berlusconi e soci politici, non differentemente dal fascio populista-“sinistro”, s’è ben guardato dall’andare all’assalto, anche solo verbale-propagandistico, della dittatura quirinalizia sebbene lo stato di cose presente sia largamente impopolare nello spazio italico.
...Impopolare, percepito ma non compreso nei termini precisi a livello di massa dato che la dittatura del Quirinale è, se non proprio occulta, riservata. Se un po’ tutti i media sul mercato non osano sgarrare, ma anzi osannano oppure tacciono, si supponga pure che se hanno paura o “prudenza” avranno ragioni per averla. Il Presidente “bacchetta” ed è anche in ciò istituzionalemente eversivo, ...non fosse che la Costituzione del 1948 non esiste più come Costituzione materiale vigente. Il governo reale del Quirinale, ancor più eversivo, ...non fosse che la sovversione Costituzionale col passaggio dei poteri dal Governo e Parlamento (pur già deboli nella struttura istituzionale italica) alla Presidenza della Repubblica s’è già completata da tempo [*****], è un governo silenzioso (“esternazioni” a parte, ...già il presentarle come banali “esternazioni” da parte dei media...) ed il cittadino o suddito non capisce del tutto che quell’agitarsi Presidenziale attorno alla politica corrente è una punta d’iceberg d’una straboiccante attività di governo quirinalizio a tutti i livelli. Ci pensano comunque i media a presentare il tutto come normale ed il Quirinale come un’entità sacra, oppure a non contraddire tale diffusa rappresentazione semmai qualche fonte mediatica nell’intimo non la condividesse e non s’associasse a questo martellante condizionamento.
Governo quirinalizio senza legittimità né controllo democratici. Al controllo democratico (pur coi limiti della Costituzione non davvero democratica del 1948: l’elettore non vota chi possa attuare veramente dei programmi, vota altro), oltre che delle procure del Quirinale, è sottoposto chi non governa nulla pur avendone il titolo formale. Pure il governo quirinalizio è un governo debole, debolissimo, nel disastrato contesto italico dove un po’ tutto è largamente fuori controllo: non vogliamo [s]mitizzare nulla e nessuno. Lo stesso gioco al massacro contro il governo Prodi, la farsa infinita d’una finanziaria che cambia con la velocita dei prezzi di Weimar, viene dal Quirinale. Il governo formale non può dirlo. Ci son troppe mani che s’incrociano, e non certo quelle dei mille partitini. Lì stacchi il telefono... ...oppure metti uno “a prender nota”. Anche nel far disastri, Prodi, Visco e Padoa Schioppa, farebbero tutto in silenzio e con più maestria. C’è invece chi interferisce e poi è come se ne vantasse per affossare la volontà democratica di chi ha votato per propri rappresentanti (sempre che i risultati delle elezioni siano fedele trascrizione dei voti davvero espressi dagli aventi diritto) che a loro volta dovrebbero esprimere e controllare un governo. Il discredito in corso di Prodi e soci politici sono operazioni quirinalizie alla 1994: un Quirinale si legittima e rilegittima costantemente dimostrando che l’eletto non vale nulla e che l’elettore ha scelto male, alias che non sa scegliere. La dittatura quirinalizia, transizione compiuta [già dal 1992-93] ed al peggio, nei tempi di Maastricht, e per le esigenze della compradora e non competitiva buroligarchia italica di fronte alla UE, del già debole ed instabile regime parlamentare partitico, è un’evoluzione sottosviluppista che solo in un contesto di dipendenza di tipo colonial-compradoro poteva avvenire senza reali ed efficaci opposizioni. L’opposione c’è stata. Ma non efficace, visto che nel peggio verso cui il regime parlamentare partitico della Costituzione del 1948 è evoluto, facendosi distruggere e sostituire dalla quirinaliziocrazia, esso è restato pienamente, seppur incertamente, stabilizzato ora da più d’una dozzina d’anni dalla transizione conclusa e senza che s’intravveda alcuna via d’uscita verso meno funesti lidi. ...funesti da punto di vista dell’efficienza e della competitività sistemica; dal punto di vista dei superstipendiati di Stato, “privati” e della buroligarchia, e relativi clienti, i lidi sono eccellenti. Appunto, non si possono applicare categorie da Stato normale, da “grande potenza”, ad uno Stato d’origine e permanenza di tipo coloniale compradoro. Altro errore teorico-metodologico che condanna i cantori di regime alla sterilità analitica.
Fulco Lancaster fa tante chiacchiere, seppur veloci qui, per non dire che l’unica cosa intoccabile davvero nelle architetture costituzionali sottosviluppiste italiote è il concetto il sistema di governo che è poi l’elemento discriminate tra democrazia vera e sue parodie. I cantori di regime hanno obbrobrio delle democrazia. Per questo, nella penisola italica se n’è sempre scritto troppo ma di istituzioni democratiche non se ne vedono tuttora. Democratico ha assonanza con efficienza sistemica e forte competitività internazionale. L’“andreottismo” dei parlamenti pure rappresentanze della società e dei governi graditi ai poteri buroromani e buroligarchici, pur tuttora imperante, non ha nulla a che fare con la democrazia. Democrazia è quando l’elettore decide chi governi e per far cosa, e gli investiti possano davvero farlo.

Le mistificazioni storico-concettuali sono sempre figlie di tanti elementi. Nell’arguire su citato si affastellano tanti, troppi, punti senz’alcuna base. Si chiama “crisi di regime” il crollo del 1992-93. La “crisi di regime” ci sarà stata prima se, nel 1992-93, il regime parlamentare partitico viene annientato e crolla sotto i colpi di procure, con relativi investigatori, protetti dal CSM-Quirinale mentre i media della buroligarchia fanno gli schiamazzi di contorno alla Granda Purga e ne profittano con megapredazioni, che sono la base materiale dell’operazione. Capaci-Scalfaro-AmatoI-GrandePurga-GrandePredazione sono passaggi avvengono ad una velocità tale (anche solo i primi tre, mentre il terrore quirinalizio è già in pieno corso, pur iniziato da poco), che quella non è la crisi. La crisi ha lavorato a lungo, prima. Quello è il crollo. È storia. Ci se la veda oltre gli imperativi del dover dire per opportunismo di regime. Quanto alla crisi di regime, si inizi da quando si vuole. Non c’è mai il momento magico, né nella realtà, né negli studi e nelle analisi. Si può partire dalla crisi Moro [crisi Moro, come momento; anche lì una crisi di aspetti del regime deve aver lavorato a lungo prima dell’evento lasciato accadere e gestito da centrali di regime, a cominciare dal governo d’allora], o dalla rottura successiva dello stesso partito dell’olocaousto moroteo che si scinde con scontri finanziari e relativi interventi esteri [i londinesi sono particolarmente evidenti allora quanto, forse, evitati nelle analisi], così come si può partire da prima, se si crede. Il crollo del 1992-93, che è crollo della Costituzione materiale post-bellica, è la fine, seppur debole, di crisi o cicli precedenti ed l’apertura di un ciclo o di cicli differenti. L’“innovazione istituzionale incrementale sempre più massiccia ed incisiva” la vedrà Fulco Lancaster... a meno che non ci riferisca al salto dalla Costituzione materiale post-bellica alla dittatura quirinalizia, dalla partitocrazia alla quirinaliziocrazia. Ma, lì, il tutto è avvenuto all’interno dello stesso quadro formale. I mille cambiamenti dell’uno o dell’altro articolo della Costituzione scritta non hanno cambiato l’impalcatura di base dello Stato basato su un governo debole e non democratico. Uno Stato è la sua struttura amministrativa. Il Governo non la controlla. Il Parlamento tanto meno. L’elettore vota partiti o fasci che non sono strutturalmente [ragioni d’architettura Costituzionale-istituzionale] in grado di attuare i loro programmi. Non è vera democrazia formale ma puro clientelismo od atto di fede. Infatti, dal 1945, nella penisola italica, funziona tutto progressivamente peggio, a livello d’apparati Statali o “pubblici”, ed i modo più costoso. Non è questione di complessificazione degli apparati statali, bensì di loro produttività, di rapporti-costi benefici, che nella penisola italica sembra aumentare in valenze negative: si spende per star peggio, con “logica” tipica da Stato predatorio-sottosviluppista. L’unico intervento Costituzionale, su questa architettura complessiva, che abbia superato il vaglio parlamentare è stato la Costituzione “di Berlusconi”. Non è mai stata promulgata a seguito di vittoria del referendum ostativo. I mille altri interventi su una Costituzione nata confusa ed inconsistente dalla sconfitta bellica e successiva occupazione estera sono stati su dettagli irrilevanti ai fini dell’efficienza del governo e della sua democraticità. Lo stesso passaggio dalla partitocrazia alla quirinaliziocrazia avviene semplicemente demolendo in pochi mesi i partiti avevano appena vinto un’elezione e di fatto pure quelli l’avevano persa. Cosa impossibile in uno Stato con una architettura Costituzionale solida salvo un immediato parallelo cambio di Costituzione formale. Ad una Costituzione materiale con una Costituzione formale pasticciata togli una gamba essenziale ed ecco che hai una Costituzione materiale del tutto differente. Il Quirinale che “segue” i lavori parlamentari e le singole leggi, così come “segue” i lavori del Governo formale volendo conoscere in anticipo ciò sarà poi sottoposto formalmente ad esso stesso Quirinale, quando addirittutura non ordina (vedi governi Amato-I, Ciampi, Dini, ma non solo), oltre a pretendere la copartecipazione alla nomine di responsabilità governativa ma anche anche parlamentare, non c’è in Costituzione. Anzi, nel principio di irresponsabilità del Presidente della Repubblica, c’è il contrario. Di questo si preferisce non parlare. Anzi, se ne parla ...parlando d’altro. Parlar d’altro è appunto ridurre il tutto ad un “mancato chiudersi del riallineamento partitico” che “vede oggi l’indebolirsi oltre ogni modo dell’impianto costituzionale originario del 1948 sulla base di una innovazione istituzionale incrementale sempre più massiccia ed incisiva.” Davvero?! “Il nuovo sistema elettorale in senso stretto per le due Camere, approvato in zona ‘‘Cesarini’’ nel dicembre 2005 ([...]) ha riaperto i giochi e rinviato sine die la auspicata conclusione della transizione.” Addirittura?! Ma va!!! Ecco il futuro radioso è sempre lì e poi c’è il coitus interruptus da apparizione di un qualche demone, anzi sempre lo stesso demone. Ora cosa s’è inventato? Oh, una legge elettorale senza cui ci sarebbe stato il futuro radioso. Ah, ecco, la “la persistenza della ‘‘transizione infinita’’” continua ad esser infinita. Chiamiamola “la transizione permamente” ed abbiniamola alle rimembranze ad ogni alzabandiera e giuramento alla Repubblica per ricordarsi dove s’è, e si aggiunga pure, per dovere quirinalizio, che è permanente perché c’è quel demone che sempre s’insinua in ogni momento fatidico di soluzione. No, scusate, la transizione era già finita, poco dopo essere iniziata, con la liquidazione del sistema politico nel 1992-93. È che si sono “dimenticati” di dirvelo. Allora mandano i loro scribacchini a menarvela. Non sarà, terra-terra, che il governo reale del Quirinale è perfino peggio del governo formale già disastrato cui pretende sovrapporsi? Troppo semplice. L’accademico e la stampa “colta”, vi devono parlare di grandi valori. È il loro lavoro di manipolazione di cui voi siete l’oggetto ed il pane [loro] ad impor loro d’illuminarvi. Tutto va male per colpa di quello lì, il demone. Meno male che ogni tanto quel signorone che, guarda che caso!, c’è sempre parterno come Presidente, interviene consolatorio tra folle osannanti.

Sia il regime parlamentare partitico che la dittatura quirinalizia hanno tenuto e continuano a tenere in cittadino o suddito distante da ogni decisione democratica sul governo. Il governo è cosa esclusiva, anche formalmente alla fine, del potere occulto buroligarchico e solo d’esso. La democrazia politica, al contrario, per quanto poi gli interessi sappiano farsi strada in qualunque forma politico-istituzionale, ed è anche normale ed inevitabile ciò avvenga per quanto senza politica forte ciò si traduca solo in predazione [è la Storia dello staterello italico dall’inizio! ...una lunga storia di predazioni, ai danni d’un po’ tutti i sottoposti, sotto la maschera “dello Stato” e “del governo”], è la possibilità di decisione formale su chi governi e per fare cosa. Il “bipolarismo” [che tra l’altro esiste dal 1945, seppur nei primissimi anni con entrambi i poli formalmente nel governo: Stato compradoro ===> @ “amicizia” inglés-slava => governo vatican-“comunista”, ===> @ guerra fredda => teatrino italiotico con lo scontro papisti versus “comunisti”] è tanto esaltato proprio perché continua a tenere il cittadino o suddito fuori da ogni decisione sul governo. Si vota, quasi, raccontano al popolo incredulo, il capo del governo. Ma siccome poi costui non conta nulla, presiedendo solo un soviet con ineliminabili minoranze di paralisi e ricatto decisive che godono di solidi appoggi quirinalizio-buroligarchici, quand’anche la stessa maggioranza “ricattata” e “paralizzata” non sia essa stessa del tutto quirinalizio- buroligarchica come invece essa felicemente è col govenicchio uscito dalle elezioni del 2006... Se non è zuppa, è pan imbrodato reciterebbe qualche dotto accademico potesse esprimersi liberamente.

Il nucleo centrale della mistificazione e dell’inganno sta proprio nella difesa della dittatura a-democratica ed anti-democratica contro l’essenza della democrazia: determinare il governo reale. ...salvo concezioni all’andreottiana, per cui “democrazia” sarebbe il comitato di rappresentanza di tutte le istanze di fatto sociali [costa meno un Cnel ad estrazione casuale o, meglio, a costo zero per “lo Stato”, dibattiti sulle TV private se vi sia un pubblico s’appassioni e dunque la cosa traini pubblicità commerciale] più largo possibile “perché sennò fanno i terroristi”, che è chiaramente una suadente e convincente stravaganza seppur del tutto infondata e detta per altri fini, vista l’acutezza di chi l’ha proferita e forse di tanto in tanto la proferisce tuttora. I Parlamenti nascono prima per controllare il governo reale, sulla base della regola che “chi paga” [come ogni espressione si può intepretare in mille modi: lasciamo qui l’immagine grezza senza troppe complicazioni] deve sapere per cosa paga e limitare e, tendenzialmente, eliminare l’arbitrio regio sulle spese. Chi paga deve determinare per cosa si spendono i propri soldi: ecco l’essenza della democrazia. Chi paga deve pagare senza occuparsi di quel che fa il manovratore: ecco l’essenza dei poteri e governi occulti.

Infatti il cantore di regime recita diligente: “D’altro canto il rafforzamento del Premier a scapito di tutti gli altri organi costituzionali, ed in particolare del Presidente della Repubblica, finiva — da un lato — per rompere ogni equilibrio istituzionale, dall’altro per diventare illusorio se lo stesso non può contare su una reale capacita di gestione dell’indirizzo politico.” Seguono, nel testo del saggio, affermazioni ulteriori, discorsivamente connesse, seppur del tutto logicamente e fattualmente sconnesse, la cui unica funzione è di stigmatizzare il pericolo cui ci si trova di fronte, che, per il cantore di regime, è che trionfi la democrazia rappresentativa (l’elettore che decide il governo reale e chi lo controlla, Primo Ministro e Parlamento) contro, invece, il governo reale dei poteri occulti ed irresponsabili (il Presidente della Repubblica che pretende di governare, anziché fare il notaio, governando in modo del tutto a-Costituzionale ed anti-Costituzionale). Il terrore del diligente cantore di regime è proprio che non c’era nulla di “illusorio” nella nuova Costituzione, e che c’era davvero “reale capacita di gestione dell’indirizzo politico” da parte del Primo Ministro pur sotto controllo parlamentare, il tutto rafforzato dal democraticissimo che se la maggioranza parlamentare uscita dalle elezioni si fosse dissolta la parola sarebbe riandata agli elettori. Irrilevante, invece, per la Costituzione “di Berlusconi”, se si fosse “dissolto” solo il Primo Ministro eletto dagli elettori. Infatti la stessa maggioranza avrebbe potuto esprimerne un altro differente, ed eventualmente altri ancora successivi. Il cantore della dittatura quirinalizia non può che denunciare ciò, la democrazia piena, come terrificante proprio perché dissolutrice del potere occulto quirinalizio, la dittatura del Presidente della Repubblica, la quirinaliziocrazia domina pressoché incontrastata da un decennio e mezzo.

La nota di colore, clownesca, è che gli stessi hanno affossato la Costuzione democratica di Berlusconi, quando devono poi proporre qualche soluzione alla debolezza Costituzionale ed alla correlato corso sottosviluppiusta di quel che resta dello staterello italiotico che si trascina tra proliferazione di politicanti e di strastipendi ed assegni per gli stessi e appannaggi a pioggia per tutta la buroligarchia, tirano fuori, a parole, una dopo l’altra, pressoché tutte le stesse innovazioni affossate affossando la Costituzione democratica “di Berlusconi”. Vaniloqui. Dunque permessi. Il fare andava cassato. Ecco l’essenza spirituale della dittatura quirinalizia e dei poteri occulti buroligarchici con essa sono al governo reale.

Lo stesso sedicente “partito del fare”, comunque, non poteva ridursi ad un testo splendido elaborato ed approvato quasi vergognandosene e poi consegnato, taciturni, alla cassazione referendaria mentre si scatenava la propaganda buroligarchica del partito del Presidente delle Repubblica e della buroligarchia. Parlamenti e democrazie, e poi i loro governi, sono nati sulla forza di chi pagava, non sulla soggezione alle dittature quirinalizie [comunque si chiamassero nel concreto i palazzi dei monarchi dei vari luoghi].

Ad ognuno il suo. Non facciamo sconti.


[*] http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/dossier/legge_elettorale/lanchester.html
[**] I partiti possono, poi, anche disgregarsi ad eletti incassati. Ma ciò fa parte delle cose della vita e che comunque non si verificano ogni giorno. Ciò che si verifica ogni giorno, nella penisola italica, ma dipende dal sistema istituzionale, non dalle leggi elettorali, sono i gruppetti d’eletti di ricatto, dunque il non governo. Quel non governo che il partito quirinalizio ed i suoi propagandisti operano per perpetuare all’infinito, perché così opera meglio il governo occulto quirinalizio-buroligarchico.
[***] La vera garanzia ed assolutamente democratica la si trovava nella Costituzione “di Berlusconi”. Se la maggioranza uscita dalle elezioni non appoggiava il Primo Ministro e non riusciva ad esprimerne un altro si riandava al voto. Troppo semplice e ben fatto. Essendo un attacco intollerabile al governo occulto quirinalizio-buroligarchico, la Costituzione rinnovata andava cassata [per via referendaria].
[****] A leggere e studiare, con attenzione alla lettera, quel pasticciaccio inconsistente si stenta a credere qualcuno potesse farla vivere. Ancora più essenziale, dunque, il ruolo dei partiti post-bellici per l’esistenza di quella Costituzione come era stata concepita, pur mal’espressa, forse pur mal’intuita, da quei pasticcioni dei “padri” e “madri” Costituenti, non dubitiamo sotto attenta supervisione inglés, vaticana e russa [Togliatti ridivenendo cittadino italiano come ha regolato quel suo essere divenuto, nell’interludio, cittadino sovietico? ...e di che livello se, nel 1944, dopo altri rilevanti servigi in varie aree del mondo, viene spedito come agente specialissimo di Stalin in persona, e con cooperazione ed assistenza anglo-americane, con competenze per tutta la penisola italica!].
[*****] Si vedano il Terrore e la Grande Purga del 1992 ed anno successivo, con quel che succedeva a Parlamento e Governo mentre il Quirinale sguazzava e sgovernava eccitato tra le macerie da esso stesso, e blocco sociale compradoro connesso, prodotte.