17 May 2014

Letter from Lhasa, number 346.
L'uomo che sussurra ai potenti

Letter from Lhasa, number 346. L'uomo che sussurra ai potenti
by Roberto Abraham Scaruffi

Bisignani, L., and P. Madron, L'uomo che sussurra ai potenti. Trent’anni di potere in Italia tra miserie, splendori e trame mai confessate, Chiarelettere, Milano, Italy, 2013.
(Bisignani 2013).
Luigi Bisignani,
Paolo Madron


Siamo qui nel sottobosco del potere, che è poi il potere stesso, come esso funzioni realmente. Specificamente, con Bisignani, ci troviamo nel sottobosco del potere e nel potere andreottiano.

Bisignani banalizza tutto all’andreottiana che è poi una tecnica per tacere responsabilità personali del vari protagonisti. Viene suggerito che tutto vada come vada perché così non poteva non essere. A volte può essere vero, ma solo ai livelli bassi. In genere, vi sono precise scelte, o non scelte che è egualmente una scelta, personali, di individui in carne ed ossa.

Di certo vero che Andreotti non avesse alcuna visione, non almeno come progetto generale. Era lui quello che raccontava che se si fa un vestito per un gobbo, esso debba essere colla gobba. La sua strategia era il suo potere personale adattandosi al contesto dato. Il potere, il governo, sono il potere esercitato tramite le polizie segrete, che è poi, in genere, di fatto, potere di delinquere per il puro gusto di delinquere. Questo erano Andreotti e l’andreottismo, non certo differenti dal togliattian-berlinguerismo, né da altri.

Bisignani ridicolizza il ruolo di Mediobanca, la corruzione delle oligarchie prostituite del nord, per sfumare quello dell’andreottismo, cioè della corruzione burocratica romana. Ad essa corrispondeva la corruzione delle oligarchie della cosiddetta Galassia del Nord. Al padrino mafioso Cuccia, direttamente investito dall’Impero, corrispondevano i padrini mafiosi della DC e cespugli che uscivano dal di-fatto-compromesso Alleati-Vaticano-StatoItalico. Un padrino istituzionale decisivo, ad un certo punto e fino al golpe di Capaci, ma pure dopo di esso, visto che l’operazione-ForzaItalia non se la inventa S.Berlusconi, è G.Andreotti.

L’autore si sofferma su Cuccia e, specificatamente, quando, col solito Gianni Agnelli come prosseneta, distrugge il gruppo Ferruzzi, con smembramento e distruzione di attività. Il tutto con la solita Procura di Milano che cura l’assalto militare-giudiziario. Il tutto si svolge secondo lo stile mafioso di Enrico Cuccia che è subentrato alla macchina in corsa lanciata da G.Andreotti quando cerca, è sicuro, sicurissimo, di divenire Presidente della Repubblica con le sue Polizie Segrete CC che variamente delinquono per il suo progetto del momento. La Grande Purga 1992-93, con Procure annesse, la lancia G.Andreotti. Colpisce la sua stessa corrente [dall’assassinio di Lima ai colpi giudiziari agli altri] perché, ormai, non ne ha più bisogno.

Andreotti sa che ormai l’Impero ha deciso per la dittatura quirinalizia ed al Quirinale vuole esserci lui. A Capaci, Mediobanca e l’Impero lo stoppano. A quel punto le sue Polizie Segrete reagiscono, su suo ordine, con l’arresto di Riina e con lo stragismo del 1993 che fanno realizzare agli stessi riiniani lasciati in circolazione, debitamente eterodiretti, manipolati. Intanto, inducono Berlusconi, con Dell’Utri ed i suoi altri prossimi, a creare FI. No, tutto questo Bisignani non può dirlo. Resta tutto in sottofondo.  

Dal libro emerge tuttavia la conferma indiretta che Berlusconi è interdetto [solo gli anglo-americani possono averlo interdetto, tramite la dittatura Quirinale-Mediobanca] dall’occuparsi di Servizi. Insomma, è interdetto dal governare. S’arrabattano Gianni Letta e gli altri andreottiani, per cui Berlusconi mette la faccia, pur in regime di dittatura Quirinale-Mediobanca.

Assistiamo ad un Giulio Andreotti che scatenò le sue Polizie Segrete CC e la sua Procura di Milano contro il PSI di Craxi e tutto il sistema politico che finge di non saperne nulla, anzi non sa nulla [si è convinto di non saperne nulla - tipico delle operazioni di Polizia Segreta e dei personaggi istituzionali le ordinano, come dei loro fantaccini sul campo] di quello che sta succedendo, e Bisignani che gli crede o così finge quando riporta la cosa!!!

Le Polizie Segrete ‘giudiziarie’, cioè CC, manipolano i media col ricatto. Emblematico che siano state fatte uscire le intercettazioni di conversazioni tra Bisignani ed altri ma non quelle tra lo stesso ed il suo amico Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere della Sera che viene fatto scatenare contro Bisignani e la cosiddetta P4, uno dei tanti colpi lanciati dal blocco Quirinale-Mediobanca contro il blocco andreottiano. Va anche detto che, ad ogni modo, il Corriere della Sera è una delle gazzette delle Polizie Segrete CC quirinalizie.

Come tutti i libri, le testimonianze, su queste vicende, uno capisce quello che può sulla base di quello già conosce ed aggiunge nuove conoscenze sulla stessa base.



Bisignani, L., and P. Madron, L'uomo che sussurra ai potenti. Trent’anni di potere in Italia tra miserie, splendori e trame mai confessate, Chiarelettere, Milano, Italy, 2013. 

09 May 2014

Letter from Lhasa, number 345.
Operazione Grifone

Letter from Lhasa, number 345. Operazione Grifone
by Roberto Abraham Scaruffi

Nordio, C., Operazione Grifone, Mondadori, Milano, Italy, 2014.
(Nordio 2014).
Carlo Nordio


Qui siamo tra il romanzo storico e la storia possibile, dunque su eventi reali, ed in parte possibili, e con personaggi in gran parte reali, presentata in forma romanzata. La storia è quasi tutta vera, dice l’autore, che aggiunge che la parte non documentata è altamente verosimile.

Può essere il modo migliore, o uno dei modi migliori, di fare storia. Con una riserva che evidenzio alla fine, sul caso specifico. Direi dunque che ciò l’autore enuncia è possibile più che verosimile. Anzi, logicamente non tiene. Tuttavia è possibile. Dunque potrebbe essere tutto vero.   

Il modo migliore di scrivere di storia, alla larga dagli pseudo storici castrati dall’accademia del sistema, è distinguere il verosimile ed il consistente dal semplicemente possibile. Nordio va appena oltre. Godiamoci comunque il suo eccellente lavoro letterario, o storico-letterario. 

La storia solo sui documenti, su quelli non censurati o non spariti, si riduce, molto spesso, a quello conviene far vedere e dire, o a quello ti vogliono far vedere, dire, pensare. La storia spesso venduta come solo sui documenti si riduce a quello viene accettato, cioè voluto dal potere. Sono davvero pochissimi, ed in genere perseguitati o silenziati, gli storici che si basino sull’accertato anziché sul conveniente, sul comandato dal potere.

Una tecnica possibile di fare storia è ricorrere alla narrazione. C’è chi usa questo metodo per inventare, per cui si ricade in quello gradito al potere e presentato pure in forma leggera, magari ancora più gradevole, nella forma, dei ‘mattoni’ da manuali scolastici. C’è chi lo usa invece per andare oltre la presentazione formale e calarsi meglio nei protagonisti che sono poi coloro fanno vivere la storia. Tralasciamo la questione di chi poi faccia davvero la storia, se mai qualcuno la faccia davvero.

Vediamo cosa ne cavi l’autore dal fare lo storico con lo spirito, col genio, dell’autore, del letterato, di chi voglia vedere oltre, di più, meglio, più a fondo ed in dettaglio.

Operazione Grifone è una operazione speciale dietro le linee, o oltre le linee (dipende dalla prospettiva ottica), condotta con logica di guerriglia/terroristica, realizzata dai tedeschi quando gli Alleati sono già sul suolo francese ed avanzano, o tentano di avanzare, verso la Germania, anzi vi hanno già messo piede. Geniale, ma quando poi le armate tedesche sono paralizzate o tarpate, per esempio dall’insufficienza dei carburanti, serve solo a ritardare, o tentare di ritardare, la sconfitta inevitabile. Il mito delle “armi segrete” è quello che è: propaganda. Pure gli anglo americani lavoravano ad “armi segrete” ed utilizzando pure intelligenze ebraiche di cui la Germania si era invece voluta privare.

A.Hitler, con la stessa invenzione del nazismo, è un’operazione del blocco militarista tedesco con appoggio anglo-americano. Un attore visionario trovato e manipolato dall’Intelligence militare tedesca, con cooperazione inglese, se ne rendano sempre conto o meno in Germania tutti coloro avrebbero dovuto sapere. La Germania (cioè le oligarchie la controllano: militari, burocratiche, private) si illude di poter uscire dalla sconfitta bellica, non drammatica in realtà, col riarmo, mentre gli inglesi hanno bisogno di un’altra guerra per distruggere una Germania che non sono riusciti a liquidare con la troppo corta, e di fatto non risolutiva, IGM. Il militarismo tedesco fa solo il gioco degli inglesi.

Gli inglesi se la giocano decisamente meglio, anzi ottimamente per quelli sono i loro obiettivi [in ogni continente vanno all’assalto della potenza principale del momento – le creano, le distruggono, le creano e le distruggono per annichilire tutto e tutti, il resto del mondo, “il nemico”, per loro], perché incaprettano la Germania in una guerra totale per cui non è preparata, mentre hanno pure riarmato le Russie con “l’industrializzazione forzata”, una banale economia di guerra permanente col miraggio di occupare tutta l’Europa, e non solo, per ripagarsi, o illudersi di ripagarsi, da decenni di lavori forzati e terrore.

Un destino curioso, per quanto poi succedano sempre tali intoppi nella storia reale, quello del colpo di Stato bolscevico, montato dalla Germania e che finisce per creare un regime che si rivolge nuovamente verso gli alleati della IGM e contro la Germania aveva creato il nuovo potere ‘comunista’. Tanto per isterizzare ed indebolire l’effimero riarmo tedesco, ecco che  viene inventata, con cooperazione sionista statunitense e con gradimento inglese, la persecuzione contro gli ebrei. Ciò indebolisce anche le scienze, il progresso tecnologico, dunque la stessa possibilità di poter mai vincere la corsa per le “armi segrete”.     

No, l’autore, per quanto coltissimo su ciò tratta, non può fornire il quadro generale della sua storia, o non nei termini noi qui abbiamo rapidissimamente tratteggiato. Altri ‘romanzieri’ hanno forse usato una chiave interpretativa generale simile a quella cui abbiamo qui alluso ma per una soluzione più romanzata che per una specie di storia-verità che è quel l’autore vuole qui rappresentare e rappresenta su un episodio, o supposto tale, specifico. Lui dà ingredienti più riavvicinati. ...La via verso la sconfitta, pur con una Germania che si difende egregiamente, il miraggio delle armi segrete ma per cui occorre qualche tempo (un anno, ci dice), un’operazione devastante oltre le linee per rimediare alla debolezza strategica tedesca e guadagnare questo anno necessario per poi vincere grazie alla tecnologia. La cosa è un po’ fantasiosa, da parte tedesca, coi russi che avanzano di fatto inarrestabili. E l’autore è anche abile, nel racconto, a rappresentare la tipica disorganizzazione tedesca, la burocratizzazione ed i formalismi inutili, che non riesce a competere con l’efficienza inglese focalizzata sui risultati. Disciplinati ma disorganizzati, e pure un po’ infantili, colle gratificazioni di essere poi personalmente ringraziati e medagliati dal Führer, il papà indiscusso ed indiscutibile, almeno per le vaste plebi.  

L’eccellenza inglese nel campo delle operazioni speciali, ed anche negli altri, contro il semplicismo statunitense è ben enfatizzato. Gli anglo-americani sono rappresentati umanamente in chiave decisamente più positiva dei tedeschi, per quanto a scavare, cioè a leggere con attenzione e spirito critico, si possa notare una ricerca dell’autore su questo punto. O è solo timidezza euristica ed altra. Non è né rozzo né un semplicista. Evidenzia la maggiore spietatezza dei servi, dei collaborazionisti, rispetto a quella delle potenze imperiali. Anche i vari personaggi, i protagonisti storici, sono rappresentati con grande realismo, con vera precisione storica che denota un vivido interesse ed anche un’eccellente documentazione su quello sta riportando.

Emerge anche una certa gentilezza, una decisa timidezza, da parte dell’autore, perché rappresenta tutto in chiave non tropo negativa per nessuno. A volerla buttare lì, non è importante, sembra di avere a che fare con un nazi ma pieno di ossequio per chi abbia poi vinto la guerra ed è diventato il padrone anche d’Italiozia, oltre che della stessa Germania.  

L’Operazione Greif era estremamente semplice, anche se poi l’inferiorità strategica difficilmente viene rovesciata da “armi segrete” e da “operazioni speciali”. Tra l’altro, gli USA avevano organizzato una vera catena di montaggio per arrivare alla bomba atomica, mentre i tedeschi rantolavano e pure tra i dogmi di parti di scienza auto-proibitisi perché etichettati come “scienza ebraica”. Le operazioni speciali sono utile complemento dell’eccellenza generale e generalizzata. Di per sé non la sostituiscono. Con l’Operazione Greif sarebbe stato paralizzato (un 48 ore nelle intenzioni o previsioni tedesche) il comando Alleato, liquidando Eisenhower, mentre l’esercito tedesco all’offensiva riarrivava al mare, ad Anversa, almeno secondo i piani.

Quando vi fosse arrivato, e avesse dunque seminato un qualche disordine nelle forze alleate, sarebbe stato per questo rovesciato il corso della guerra? Ah, già, i tedeschi avrebbero guadagnato qualche tempo per le “armi segrete”, ma solo a ovest, non ad est, per cui alla fine avrebbero solo favorito i russi. Beh, speravano che, battuti gli anglo-americani con quell’offensiva (l’offensiva delle Ardenne di fine 1944), questi avrebbero pure fermato i russi. A.Hilter, e con lui tutti quelli attorno a lui, non aveva capito i termini della questione.

Avrebbero comunque fatto a tempo, i tedeschi, anche se, magicamente, un colpo a ovest avesse mai arrestato pure gli altri due fronti, quello italico-mediterraneo e quello orientale? ...Una guerra vinta di scienza e di tecnologia, per quanto non è che gli inglesi, e neppure gli americani, si facessero superare in campo scientifico e tecnologico da una Germania pur con vette di eccellenza. E, in più, gli Alleati avevano la forza produttiva statunitense e l’ampiezza mondiale dell’Impero Britannico. Inoltre, i russi premevano dall’altro lato, disorganizzati ed inferiori da tutti i punti di vista, quantità a parte, ma forti che ai tedeschi mancavano i carburanti, pure altre materie prime essenziali per gli armamenti, per cui non potevano usare appieno neppure la loro stessa aviazione. Infatti, i russi, alla fine, avanzavano ed avanzano, dopo le prime vittorie russe quando le FFAA tedesche, dopo la prima e prodigiosa avanzata (le truppe russe erano in trasporto verso il fronte - i tedeschi avevano prevenuto di una decina di giorni, o di qualche settimana un’offensiva generalizzata sovietica che puntava ad occupare tutta l’Europa centrale ed occidentale), erano state disfatte dalla banale mancanza di lubrificanti, ed anche indumenti, per bassissime temperature. Emblematico il caso di Stalingrado. I tedeschi avevano dimenticato gli accessori, i lubrificanti in primo luogo, per le bassissime temperature per cui i loro mezzi si bloccavano. Poi, quando ormai sono sulla difensiva, sarà la carenza di carburanti a non permettere il pieno dispiegamento delle loro forze. Tralasciamo pure la dispersione delle forze causata dal fardello italico. Con l’Italia neutrale, la Germania sarebbe stata ben più forte, con FFAA più concentrate, con fronti ridotti. La partecipazione italica alla guerra, come loro alleato (ma che tenta di fare pure di testa propria andando di disastro in disastro per cui dovrà sempre chiamare i tedeschi in supporto), produrrà solo danni ai tedeschi, del tutto impreparati per una guerra totale nella quale si fanno idiotamente trascinare dal genio strategico inglese.   

Nella ricostruzione di Nordio, Eisenhower viene salvato ad operazione già in corso e pressoché riuscita solo perché viene rapito invece di essere subito ammazzato. Lo avessero ammazzato subito, invece che seguire l’ordine primario di rapirlo se possibile, per poi trasportarlo in Germania, non avrebbe potuto dare gli ordini per arginare l’offensiva tedesca appena iniziata. Anche ciò si fosse verificato, non sarebbero certo state rovesciate le sorti della guerra che ormai si avviava alla conclusione con l’occupazione alleata della Germania.   

Il libro ben evidenzia come, quando si sappia ormai di perdere, molti si preoccupino solo di salvare se stessi. Questo, alla fine, non incide su questa specifica operazione, almeno come Nordio la rappresenta. Fallisce solo per l’ordine di rapire Eisenhower, e solo se ciò non è possibile di ucciderlo. Nordio presenta un’avventurosa ricostruzione, od ipotesi. Quando Eisenhower è in pratica già rapito, il tutto viene scompigliato da due agenti alleati che piombano coll’auto sulla squadra tedesca che ormai dovrebbe solo sganciarsi con Eisenhower da caricarsi sull’ambulanza predisposta per la fuga.

Siccome, se quello Nordio narra è davvero successo, è tutto stato tenuto segreto, segretissimo, per qualche insensata ragion di Stato, per qualche paranoia di regime, l’autore avrebbe anche potuto essersi spinto troppo in là raccontandoci un episodio mai verificatosi, o non in quei termini. Al contrario, potrebbe pure avere ben rappresentato qualcosa che si è voluto, senza serie ragioni, coprire col silenzio. Oppure l’operazione è stata fermata o si è fermata prima, per cui qui è rappresentato solo quello che sarebbe potuto succedere.

In effetti, come si può subordinare il successo di un’offensiva al contemporaneo rapimento od assassinio del comandante in capo della parte avversa, evento per nulla certo? O si attende la conferma del successo dell’operazione speciale, prima di iniziare l’offensiva, oppure si deve essere realmente certi che una molteplicità di operazioni speciali, e magari anche altre (un bombardamento), garantisca l’eliminazione del capo del fronte avverso. Ma anche lì, di fronte ad un’offensiva tedesca, gli anglo-americani sarebbero davvero restati senza un capo unico, prima di intervenire per contrastarla? Eisenhower era davvero insostituibile? Bastava uno sbandamento di un paio di giorni dei comandi avversi per garantire il successo della propria offensiva? L’unico successo vero, ma egualmente effimero perché su un solo fronte, sarebbe stato la liquidazione delle forze angloamericane che, dalla Normandia, avevano occupato la Francia, il Belgio e l’Olanda. Ma anche ciò non avrebbe cambiato le sorti della guerra. E neppure, di molto, i tempi della sconfitta tedesca.

O l’autore è andato troppo oltre, od ha comunque rappresentato un possibile scenario, oppure la follia tedesca, od almeno quella del suo capo sopravvissuto al tentato golpe militare del 20 luglio 1944, era davvero all’eccesso. Sebbene, alla fin fine, di fronte alla sconfitta inevitabile, sia anche naturale giocarsi il tutto e per tutto e soprattutto dove e quando possibile. Che è in effetti quello viene fatto coll’offensiva delle Ardenne. Del resto, quando il nemico è disposto ad accettare solo la resa incondizionata, lo si colpisce quando possibile anche se la propria sconfitta è pressoché inevitabile. L’errore terribile dello Stato tedesco è stato quello di farsi trascinare nella guerra totale voluta dagli inglesi. Una volta incaprettati, ci si agita fino alla fine, per quanto avrebbe più senso cercare di slegarsi ma magari non è possibile. 

La dedica è una di quelle stravaganze tra ragioni commerciali e mitomanie, è che nulla aggiunge, né toglie, al pregio dell’opera letteraria e, forse, storica. 



Nordio, C., Operazione Grifone, Mondadori, Milano, Italy, 2014. 

08 May 2014

Letter from Lhasa, number 344.
El especialista de Barcelona

Letter from Lhasa, number 344. El especialista de Barcelona
by Roberto Abraham Scaruffi

Busi, A., El especialista de Barcelona, Dalai Editore, Milano, Italy, 2012.
(Busi 2012).
Busi Aldo


Per quanto non letterariamente rilevanti, le dediche iniziali fanno..., ...come dire in linguaggio elegante che..., che fanno..., sì, insomma, ...fanno pisciare. Dato che le dediche che possono eccitare qualcuno farebbero inevitabilmente pisciare qualche d’un altro, non è che le specifiche dediche facciano necessariamente pisciare tutti... In realtà, si potrebbe generalizzare che qualunque tipo di dedica, forse non solo le dediche a persone, faccia pisciare. Un autore serio che volesse mantenesi serio se le eviterebbe. Sono probabilmente un cedimento psicologico e culturale del Busi personaggio mediatico al Busi scrittore. 

È un’insicurezza caratteriale coprirsi dietro al lustro, o supposto tale, di altri. Gli adolescenti lo amano. Crogiolarsi in tali pratiche nella senilità non sembra scelta matura e saggia. Beh, Busi ha conservato l’irruenza di un bimbo ribelle, per quanto possa poi mai essere davvero ribelle un bimbo.... 

Esprimersi attraverso il prodotto-narrazione dovrebbe forse indurre ad estraniarsi da proclamazioni di fede immediate ed al di fuori del testo stesso, di qualunque genere esse siano. È comunque ancor più pericoloso affidarsi a personaggi correnti. A questo punto qualunque bandiera, personaggio o concetto, esterno alla narrazione stessa, lancia un messaggio magari inessenziale, e magari pure ingiustificato, rispetto all’intrinsecità dei contenuti un autore veicola o costruisce colla sua opera. Chessò, io autore potrei proclamarmi qualunque cosa, colla tecnica della appropriazione di contenuti di valore altrui, pur poi esprimendo contenuti intrinseci del tutto differenti. Un po’ è quello fa Busi. Meglio, ma anche più sicuro (da un punto di vista etico ed artistico, o scientifico), veicolare tutto attraverso la narrazione, nel momento in cui si fa lo scrittore, dunque si produce un pezzo letterario.       

Beh, ognuno fa poi quel che crede. Lui si schiera lì, con quelli lui cita, e lo fa con una dichiarazione di fede [non partitica nel senso corrente, e pure piuttosto eterogenea] affidata a ciò correntemente sono ritenuti i quattro citati, o tre di loro dato che del quarto viene usata una riflessione esistenziale apprezzabile o meno anche da chi non abbia una qualche conoscenza od opinione dell’opera ed autore da cui essa è tratta. Un’alternativa all’omissione avrebbe potuto essere un ‘subdolo’, ma pure ben più sostanziale, inserimento nella narrazione. In fondo, uno scrittore, nel momento in cui è tale, parla attraverso i suoi scritti. Lui sente il bisogno delle bandiere fuori dall’uscio. Un ‘fascista’ [tale lo definirebbero i compagnuzzi sulla sola base di ciò e di come scrive Busi] che deve fare l’inchino, o qualche inchino, a sinistra, o a quella viene ritenuta la sinistra inventata, o fatta inventare, dagli inglesi, a Salerno, nel 1944, dal loro Palmiro Togliatti, per la loro Italiozia in via d’occupazione.

A parte questa divagazione iniziale (quattro immagini di pochissime o poche parole uno potrebbe anche non notare - beh, anche le bandiere fuori da un edificio qualcuno potrebbe non notarle, a parte chi del mestiere o dei mestieri di mettere il naso nella coscienza altrui), se non altro l’autore ti porta subito nel discorso, in un qualche discorso che comincia a snocciolarti sotto il naso, negli occhi e nella mente. Anche quando tenti di attardarsi in descrizioni barocche, una benefica logorrea prende subito il sopravvento e con essa ti sommerge.

Si è vero, la soluzione sta dentro di te ed in quello che tu fai, non nella retorica della crisi, del “se c’è la crisi, io che posso fare?”. ...C’è sempre la crisi, secondo le propagande ufficiali, secondo i media, d’Italiozia... Appunto, non è vero e lui te lo dice. Tu sei tu, ed inizia dunque da te, anziché buttarti via ulteriormente! Busi è un individualista e lo conclama in continuazione. Non ti imbroglia coi collettivismi per cui la soluzione starebbe sempre altrove, cioè da nessuna parte. Le masse non hanno mai risolto alcun problema, a parte per gli imbroglioni o gli affaristi sappiano e vogliano manipolarle. 

Il richiamo a Joseph Marie de Maistre indica [forse... ...andrebbe esaminato e riesaminato quel che Busi snocciola sul personaggio, ed anche così non se ne caverebbe nulla, data l’ambiguità sulle sue vere intenzioni magari neppure vi sono!] un Busi che si muove fuori dalle convenzioni ipocrite e false, connettendosi alle permanenze storiche del mondo e delle cose. In effetti, si dice e ridice, si dicono e ridicono mille balle ‘democratiche’ e libertarie, ma il mondo è restato fermo alle subordinazione alle gerarchie di sempre, anche se ora con nome cambiato e tanta tantissima propaganda per mascherare che non è cambiato nulla nelle interazioni tra soggetti e classi, o categorie. Allo stesso tempo, citare de Maistre, forse per ridicolizzarlo, è pure esibire l’idiozia savoiarda di fatto nobilitandola. No, de Maistre non è “la reazione”. È solo non pensiero. Un ometto di regime che ha scritto e che qualcuno ha pubblicato perché non avevano di meglio. Il che è tutto dire, sui domini dei Savoia, sui loro funzionari, sui loro intellettuali. Lo si compari, fosse mai possibile una qualche comparazione, con l’intellettualità inglese, dell’Inghilterra sceglie di rompere col sottosviluppo ed imboccare un corso sviluppista. Appunto... chissà perché il Busi lo tira fuori. Meglio di quelli che dovevano almeno nominare Gramsci per ingraziarsi un PCI che di gramsciano non ha mai avuto nulla. O conosce bene la materia, oppure casualmente si era imbattuto nel savoiardo e lo ha citato per imbastirci sopra un pezzetto della sua narrazione. Busi non è di quelli abbiano bisogno di nominare Gramsci. I tempi sono altri. E poi ha già messo sulla porta, o sul davanzale, pur dopo un’oligarca burmese tanto adorata dall’Impero (almeno in apparenza), un giudice della Corona ispanica, e prima di un sognatore anarco-libertario statunitense, un Ingroia. I gusti sono gusti. Anche i tempi. 

Nella sua scrittura torrenziale, Busi passa con naturalezza dello “specialista di Barcellona” (che è un professore universitario specialista di madrigali portoghesi, di una sessantina d’anni, che l’autore disprezzava e ne era incomprensibilmente, dice, ricambiato, in procinto di sposarsi con un giovanotto di 28 perché questi potesse subentragli, un giorno, nel vantaggioso contratto d’affitto dell’alloggio dove convivevano da sei anni) all’arte di pisciare per strada, nei giardino, contro od in prossimità degli alberi.

Sì, Busi decide, alla fine, masochisticamente di andare ad alloggiare da questi e convivente, anziché in albergo, per quel suo soggiorno a Barcellona. Gli costa ben di più, ma ciò è quello il Busi vuol fare e fa, far loro la domestica, la domestica-mamma ed a proprie spese ovviamente, visto che i padroni di casa sono piuttosto esigenti oltre che dei perfetti pezzi di merda. Dovrebbe essere una caldissima primavera del 2010, se sono riuscito a districarmi nelle sue tutt’altro che lineari torrenziali e divertenti elucubrazioni. La data non è comunque importante. Siamo ai giorni nostri, non decenni o secoli fa.

Scene da un matrimonio tra il suo specialista e la moglie anch’essa professore, anzi professora, d’università, di matematica, d’una decina d’anni più di lui. Lui che si scopre, o forse solo si disvela, gay e lei che non vuole il divorzio ma solo un appartamento più grande perché lì lui possa gayeggiare nella casa comune, coi due figli. Poi, accettato il divorzio, lei si procura uno ricchissimo di una ventina d’anni più vecchio di lei. Beh, le donne cercano la sicurezza, per quanto non è affatto detto che pure lo spirito maschile la disdegni. 

All’Especialista e famiglia aggiunge, come ulteriore protagonista del suo scritto, una vicina di casa, Hada Espejismo, la Fata della candeggina, con cui lui, l’autore, fraternizza. Tra donne... Anzi, tra donne ed aspiranti donne, come Busi si presenta nella sua relazione con la vicina di casa dell’Especialista.

E ci si trova in un’altra opera sociologico-filosofica dell’autore che fa costantemente lezione sul suo modo di vedere le cose, con la trama solo come pretesto per tali disquisizioni.

Stile eccessivo?! Quando l’autore fa un po’ il gradasso e lo fa vedere, è facile definire uno stile come eccessivo.

Più che aforismi e battute, per quanto abbondino, il suo è uno stile torrentizio senza l’italiano da maestrine ma, al contrario, sufficientemente libero come si confà a tal modo di scrivere. Beh, uno potrebbe scrivere denso pure secondi i canoni della grammatica e della sintassi. È questione di esserne capaci e di volerlo. Spesso si fa di necessità virtù. Quando uno si è fatto un nome, dunque è entrato od è stato fatto entrare nei giri commerciali, poi gli incensatori di vocazione o per interesse compaiono come i funghi dopo la pioggia.  

Il presente compulsivo della scrittura?! Beh, lo stile torrentizio tende ad essere presente, visto che ti scorre impetuoso sotto il naso, qualunque siano i tempi dei verbi.

Fondazione del punto di vista?! Perché, il punto di vista, necessita di essere fondato?

Scheletri luminosi del metalinguaggio? Metalinguaggio o proprio linguaggio come linguaggio oggetto definito attraverso la supposizione di una lingua italiana come metalinguaggio? Od il proprio linguaggio come metalinguaggio avente come linguaggio oggetto la propria visione del mondo? O, più banalmente, uno stile espositivo sufficientemente libero senza attenersi ai formalismi della lingua. Ciò che rende il tutto sia più ostico che più denso, o più denso ma meno scorrevole se non abbandonandosi ad una lettura torrentizia senza porsi troppi problemi di comprensione razionale nutrendosi invece dei suoni che si creano nella proprie mente che scorre le parole e le frasi del testo.

Lo stile messo in esercizio, o lo scrivente o scrittore che si diverte, sembra, con le stesse ambiguità escono dallo scrivere? Ma anche l’affermazione di un linguaggio espositivo costruito con parole ed espressioni che si sovrappongono e cozzano tra di loro, che non si riesce a superare o semplicemente non lo si vuole, non lo si vuole nel senso che proprio non l’autore non ci prova, non ci vuole provare o non riesce.

Alterità linguistica?! Giochetti di parole, battute, trasformati in letteratura. In effetti sono letteratura, essi stessi quando fatti testo scritto. Cosa è altro e cosa è identico quando si scrive? Quali linguaggi sono identici e quali altri?

Il ludo verbale?! È che magari non sa scrivere in altro modo. Si può fingere diletto perché manca la policromicità espressiva di un vero scrittore, sempre che esistano i “veri scrittori”. In Busi, l’immaturità espressiva è evidente. Non è costruita, come lo sarebbe in un “vero scrittore”. Ma alla fine uno scrive come sa, e viene apprezzato o meno su questa base, per quanto l’industria culturale segua proprie logiche ed imponga gli autori.

Realtà manipolate?! È la logica della scrittura crearsi le realtà si desiderano o si desidera rappresentare. La scrittura, come qualunque linguaggio, è manipolazione. Fa esistere quel che vuole per il solo fatto di raccontarlo, di dirlo.

Sociologo e filosofo ma non scrittore?! Quale è poi la differenza, salvo forzare le conoscenze nei cunicoli ristretti delle discipline formalizzate?

Modo di scrivere manierato?! Forse è l’autore ad esserlo, per cui si limita ad esprimere sé stesso con naturalezza. 

Pagliaccio delirante ed arrogante?! Che scrittore ‘serio’ non lo è?



Busi, A., El especialista de Barcelona, Dalai Editore, Milano, Italy, 2012.