30 June 2013

Letter from Lhasa, number 324.
Lo spumarino pallido di Giovanni Guareschi

Letter from Lhasa, number 324. Lo spumarino pallido di Giovanni Guareschi
by Roberto Abraham Scaruffi

Guareschi, G., Lo spumarino pallido, Rizzoli, Milan, Italy, 1999.
(Guareschi 1999).
Giovanni Guareschi


Questa è una raccolta di scritti narrativi di Guareschi, da Candido, quindicinale umoristico del dopoguerra e fino al 1961. 

I testi sono scritti magistralmente, con tratti delicati e profondi. V’è in essi grande spessore psicologico, esaltato dalla semplicità espositiva nella descrizione dei personaggi e delle situazioni.

Il lettore è condotto nella limitatezza e grandezza della provincia contadina basso-padana, nella elementarità e ricchezza della sua psicologia. La scrittura è chiara ed ovvia, e, proprio per questo, frutto d’una grande maestria ed elaborazione.

Il microcosmo descritto dall’autore rappresenta un mondo dove nulla d’essenziale cambia e, dunque, dove tutto è destinato a ripetersi all’infinito.  



Guareschi, G., Lo spumarino pallido, Rizzoli, Milan, Italy, 1999. 

24 June 2013

Letter from Lhasa, number 323.
The Juliette Society di Sasha Grey

Letter from Lhasa, number 323. The Juliette Society di Sasha Grey
by Roberto Abraham Scaruffi

Grey, S., The Juliette Society, Rizzoli, Milano, Italy, 2013.
(Grey 2013).
Sasha Grey


Il libro, un romanzo, comincia con una introduzione sociologica sulla Juliette Society e non solo. Il potere fotte e vi fotte in tutti i sensi.

La protagonista si innamora, a distanza, di un suo professore d’università (o di para- o pre-università), della facoltà di cinema, Marcus, che scopa due volte al mese, in un armadio di casa, con un’altra studentessa, Anna (secondo quel che la stessa le dice), che lui fa vestire come la propria madre, e con vestiti della stessa, o così la sua amante crede, e la obbliga a comportarsi secondo una rigida codificazione mentre lui la guarda da un buco dell’armadio prima di prenderla. Il tutto è appena troppo maniacale perché possa essere vero, eppure avvince. È realistico, seppur nella sfera dell’incredibile anche se leggendolo non ci si pensa. Appare tutto reale, e magari lo è. Dunque, è almeno verosimile. 

Jack, il ragazzo e convivente della protagonista, occupatissimo tra il comitato elettorale di un aspirante senatore e l’università, non la scopa, o solo raramente, almeno ultimamente. Lei sogna di essere presa da lui nell’ufficio del suo capo, l’aspirante senatore, ma non lo hanno mai fatto lì. 

La protagonista sogna ad occhi aperti di essere il cane, la cagna, di Marcus e di assecondare tutti i suoi voleri. Anna le svela segreti sadomaso che le fanno vedere tutto con occhi differenti. Quando chiede a Jack di picchiarla, mentre scopano, lui la prende male.

La protagonista scopre il sito sadomaso per cui lavora Anna. Sfiora il mondo del porno online. Il lettore viene catapultato in fantasie masturbatorie della protagonista.

La Fuck Factory è una cosa per sguatteri del potere. Anche nella Fuck Factory, la protagonista fugge dal cazzo reale. Dopo, ricasca nelle fantasie masturbatorie dove lei si rivede lì a farsi fottere fino in fondo. Poi, si sogna Jack che scopa Anna con la sua approvazione e mentre lei li guarda. Nel sogno, nell’immaginazione, lei finisce per unirsi ai due. Lei lo succhia a lui, ed Anna la lecca a lei, mentre Jack la lecca ad Anna. E così avanti ed oltre. E via con altre fantasie erotiche, da racconti dell’adolescenza al vicino guardone, o guardino, e che lei immagina di guardonare. Ed altre ancora.

Un week-end a casa del capo di Jack, l’aspirante senatore, Robert DeVille (piuttosto benestante, avvocato di aziende petrolifere), ‘Bob’, che Jack adora. Il lettore si aspetta che Bob sia qualcuno la protagonista abbia già incontrato in quelle feste piuttosto esclusive di sesso estremo di cui parla. Troppo ovvio.

Bob, sì, compare, ma solo successivamente, verso la fine del libro, in una di esse, della Juliette Society, il circolo più esclusivo, di potere.

Bob viene ovviamente eletto. L’autrice ne approfitta per una lezione di pragmatismo, ritornando su quello il potere è e su quello invece sembra. Jack, che Bob vuole con sé, è l’idealista, dunque la politica immaginaria. Bob è la politica reale.

La traduzione è eccellente. In fondo, in un libro tradotto (l’unica edizione piratata, nel momento in cui scrivevo, era quella italiana), si legge il traduttore o la traduttrice. Un libro può essere rovinato da una traduzione, come può esserne migliorato. Qui, tutto scorre naturale e senza intoppi. Merito di Elena Cantoni, che si muove con agilità ed eleganza in linguaggi non certo facili da rendere in altra lingua. 

Il libro è costellato di cultura cinematografica e di sociologia del potere. Per il primo aspetto, riflette studi ed interessi dell’autrice, piuttosto giovane e con esperienze del tutto non convenzionali eppure capace di scrivere un capolavoro non pesante che si può leggere in alcune ore. Relativamente al secondo aspetto, l’autrice deve avere intuito, per sue esperienze professionali, quello che molti non vedono o rifiutano di vedere

Questo rende il testo anche politologicamente interessante, rappresentando con naturalità aspetti della sociologia del potere, la sua impunibilità i suoi assassinii anche solo per il piacere e le perversioni dei suoi personaggi. È proprio uno dei tanti terreni i pollitologi e pallitologi accuratamente evitano. 



Grey, S., The Juliette Society, Rizzoli, Milano, Italy, 2013. 

18 June 2013

Letter from Lhasa, number 322.
Intra-State Destabilization. Turkey’s Case Study

Letter from Lhasa, number 322. Intra-State Destabilization. Turkey’s Case Study
by Roberto Abraham Scaruffi

The declining Ottoman Empire aligned with the Central Powers during WW1. It was consequently defeated with them. So, Turkey was partially occupied from Allied forces.

Mustafa Kemal Atatürk and his war of independence restored the formal independence of Turkey, while the Western powers accepted it. They did not need their military occupation for getting the already got Turkish subordination.

Kemalism represented the formal westernization of Turkey and some limited modernization spiced with a strong para-Jacobin-style or nazi-fascist-style rhetoric and propaganda. On 29 October 1923, the Republic of Turkey was proclaimed and WW2 will finally see it formally aligned with the Allied side, after a long phase of neutrality. Guarantor of this republican new order de facto was the Turkish Army. It reaffirmed its leading position by the 1960, 1971 and 1980 coups d'état. 

This Kemalist order began to be reversed with the 2002 general elections’ victory of the Justice and Development Party of Mr. Recep Tayyip Erdoğan. It won the two next general elections and slowly moved from the control of the formal government to the control of the real State/government.

Two key public episodes of the clash between the Turkish formal government and the Turkish Armed Forces have been the 2008 prosecution against the clandestine group called Ergenekon and the 22 February 2010 prosecution against the so-called Sledgehammer plot. These prosecutions were strikes against military milieus. By them, the formal government affirmed his supremacy relatively to the Kemalist Armed Forces.
   
Clearly this intra-State fight is variously going on despite the determination and successes of the Justice and Development Party in affirming its civilian rule, its democratic rule, relatively to the State/government structures, Armed Forces included.

Intra-State destabilizations may be used both from government and from powerful forces opposing it. They may go from the so-called stabilizing destabilization (eventually used from real government for affirming the power’s monopoly of a certain party or group) to real destabilization (used from powerful forces wishing to sink or reverse an unwished course). For them, a variety of tools are used, from terrorism and massacres to a variety of incidents for discrediting and weakening the target of such operations.

The current Taksim Gezi Park’s crisis is not an initiative of the Turkish government (although it be using it for reaffirming its democratic power against those wishing weakening it), but of Turkish Armed Forces milieus opposing it. It follows a classic pattern.

The pretext: the Beyoğlu Municipality decided to rebuild the Taksim Military Barracks, to be actually used as a shopping centre, so de facto liquidating the Taksim Gezi Park’s small green island inside Istanbul.

The spark: on 27 May 2013, about fifty environmentalists occupied the park; on 27 May, they were brutally evicted from police 

Everything could stop here. On the contrary, the apparently most different components joined the initially environmentalist protest for using it as a direct attack against the Justice and Development Party’s power and government, with national and worldwide media cover.

Leftists and rightists, as well as whatever other political and non-political group or association, are easily manipulable from whatever power source. Now, here, they are used against the ruling party and power.

The initial environmentalist action may have been a genuine concern, or it may have been induced from some power’s centre. A small park inside a crowded and busy city as Instanbul is not a decisive environmentalist question. Of course, it is not a great principle question to create an addition Shopping Centre in Istanbul although, wherever in the world, public works are connected with bribes for ruling parties, as well as, not infrequently, for opposition ones too. So, when decided to launch public works, it becomes difficult or nearly impossible to reverse a previous decision.   

Also the brutal repression of a peaceful environmentalist action may have been intentional for sparking a wide reaction. About fifty environmentalists could be peacefully removed from the area they were occupying. Someone ordered a violent assault.

What is surely not casual is the growing movement around this idiotic and criminal police brutality. The media cover has given resonance and identity to the protesters, and radicalized their actions which can be now used for further violence even when the Taksim Gezi Park’s crisis will be in some way solved.


Without some power source promotion and support, there are not mass movements either ‘revolutions’, contrarily to what common people think. 

09 June 2013

Letter from Lhasa, number 321.
La trattativa Stato-mafia tra processo politico e processo penale

Letter from Lhasa, number 321. La trattativa Stato-mafia tra processo politico e processo penale
by Roberto Abraham Scaruffi

Fiandaca, G., La trattativa Stato-mafia tra processo politico e processo penale, in Criminalia. Annuario di Scienze Penalistiche. 2012, ETS, Pisa, Italy, 2013.
(Fiandaca 2013).
Giovanni Fiandaca



L’autore valuta il caso con argomenti giuridici, più altre considerazioni collaterali ma non troppe, né troppo oltre la sfera giuridica. Il tutto si fonda ovviamente sui presupposti che non siano tutte sceneggiate per altri fini come invece sono. 

Per l’autore, un’indagine ed un processo penale dovrebbero fondarsi su plausibili ipotesi di reato. Per l’autore, anche vi fossero state ‘trattative’, azioni di polizia e politico-istituzionali per impedire crimini ulteriori non sono fattispecie configurabili come reati.

Quello che l’autore non può fare è definire il quadro storico-ambientale reale.

Le stragi del 1992 sono ordinate dal Quirinale. Quella di Capaci dal Quirinale di Spadolini per liquidare la corsa presidenziale di Andreotti ed instaurare la dittatura quirinalizia-mediobancaria dopo aver fatto credere allo stesso Spadolini che lui sarebbe divenuto Presidente a seguito della strage. Gli viene poi preferito uno senza vera base di partito come Scalfaro, dunque facilmente condizionabile dal blocco mediobancario che ha solide radici nelle alte burocrazie statali. La strage Borsellino serve solo a coprire quella Falcone. È ordinata dal Quirinale di Scalfaro e dal suo governo Scalfaro-Amato.

Non a caso il Quirinale, anche sotto Napolitano, copre Mancino allora all’Interno e parte (istituzionalmente responsabile, perché se l’Interno non dà l’ordine, od il nulla osta, con altri, e non dà coperture, nessuno si sogna di fare tali cose!) della strage Borsellino.

Lima viene liquidato su ordine di Andreotti, dunque dai suoi CC. Andreotti che si appresta a divenire Presidente della Repubblica non ha più bisogno della sua corrente, tanto meno in Sicilia. Lima era comunque parlamentare europeo dunque non poteva ‘aiutarlo’ nel momento delle votazioni per il Presidente della Repubblica. Inoltre, Lima è amico di Falcone e conosce la Sicilia. Lo avrebbe verosimilmente avvisato che sarebbe stato organizzato il suo [di Falcone] assassinio, se non lo avessero potuto bloccare in altri modi nella creazione della sua FBI italica, la Superprocura. Altri assassinii realizzati dal blocco andreottiano hanno la stessa duplice funzione. Sono schemi comportamentali classici dei CC e di qualunque polizia e polizia segreta. Il potere politico-istituzionale ordina e loro eseguono con liquidazioni rapide, se lo statista che ordina ha e sa avere potere reale.

Il Craxi statista che diceva di non avere trovato la stanza dei bottoni, ma di avere la carta intestata, non aveva, o non aveva ancora, ben capito come funzionano le istituzioni principali. Nenni come vice-capo del governo è chiaro che non ne avesse accesso, per cui la stanza dei bottoni gli era stata ben occultata dai DC. 

DNA-DDA-DIA (la Superprocura ed annessi) vengono create da Falcone e Martelli. Martelli si era forse illuso di crearsi la sua struttura ‘terroristica’ come via verso il potere reale. Gliela faranno pagare.

Tipico negli schemi comportamentali di Andreotti, questi dà copertura alla creazione delle Superprocura mentre ostacola in tutti i modi che Falcone la possa capeggiare.

Andreotti e Falcone parlano della cosa. Andreotti obietta a Falcone che la struttura che si va a creare dà un potere immenso a chi la capeggi e chiede allo stesso chi garantisca che non venga male usata. Falcone sbotta che lui stesso ne sarà la garanzia. A quel punto sono chiari problema e soluzione. Falcone è il problema, e la sua estromissione o liquidazione la soluzione. Senza Falcone, alcuni dettagli amministrativi come il solito reclutamento interforze garantiscono che i CC abbiano le mani in pasta nella stessa. 

La Superprocura viene creata, da Martelli e Falcone, specificamente per Falcone. Sono come normative ad personam perché Falcone possa liquidare le mafie, o così vien fatto credere o si illudono.

Sarebbe stato un cambiamento sistemico radicale, alquanto altamente improbabile in uno staterello compradoro e sottosviluppista come Italiozia. Probabilmente Falcone, idem Martelli, non capisce del tutto la verità elementare che la mafie sono lo Stato, alias, innanzitutto, governo formale, governo reale, ed i loro CC. Non si liquidano le mafie senza liquidare i CC, e senza poi ordinare alla polizia di liquidare le stesse anziché usarle e coprirle. Ma la stessa burocrazia-polizia potrebbe sopravvivere nella sua configurazione attuale senza creare delinquenza per poi gestirla e fingere di combatterla? 

Quando Martelli si impunta, e Falcone sarebbe divenuto capo, superprocuratore, della struttura creata per lui, e non per altri, Andreotti organizza, coi CC, la liquidazione dell’ideatore che l’avrebbe capeggiata dunque usata. Andreotti ed i suoi CC pianificano l’assassinio di Falcone che avrebbe creato una FBI italica, dunque sovvertito la supremazia sistemica dei CC, gli stessi CC che hanno sempre gestito mafia e terrorismi.

Ovviamente, Andreotti non antepone la liquidazione di Falcone alle sua mire presidenziali, per cui avrebbe dato l’ordine esecutivo ad elezione avvenuta. Come per la Grande Purga, già iniziata a Milano, su ordine di Andreotti, un blocco di potere più forte si impadronisce delle macchine in corsa andreottiane e le usa per i suoi fini.

Quello che Andreotti aveva pianificato di fare per il suo potere personale è perfetto pure per il blocco compradoro Mediobanca, per i suoi propri fini. Con la fine dell’Impero sovietico, dunque dei accordi di Teheran (novembre-dicembre 1943), il Quirinale era stato individuato come l’istituzione chiave per passare dalla partitocrazia (scaturita dagli accordi di Teheran) alla dittatura quirinalizia (più funzionale alla dominazione anglo-americana ed anche tedesca). 

Già il fallito attentato dell’Addaura era stato un’operazione di Servizi. Chi sventa l’attentato (due agenti del Sisde, ma della PS) e chi ha informazioni su di esso viene assassinato. I CC non ne sanno nulla? Impossibile! Polizie Segrete CC ed altre, su mandato istituzionale, si occupano dell’attentato, e di assassinare chi lo abbia contrastato e chi possa far trapelare informazioni su di esso.

Attentato dell’Addaura. 21 giugno 1989. Governo De Mita. Presidente della Repubblica Cossiga. Antonio Gava all’Interno. Zanone alla Difesa. I governi passano. I CC restano. Ma senza copertura governativa, quirinalizia e parlamentare, alias senza Segreto di Stato, nessun CC, né altri, si azzarderebbe mai ad organizzare nulla di questo genere. Farebbero la fine che hanno fatto coloro che sventarono l’attentato e fornirono informazioni su di esso: ammazzati. È uno schema tipico. 

Non a caso, DNA-DDA-DIA sono, senza Falcone, che, ingenuo o folle, si sognava novello J.E.Hoover, solo una burocrazia addizionale facilmente manipolata dalla dittatura quirinalizia e dai CC. L’assassinio di Falcone, che avrebbe dovuto essere realizzato ad elezione avvenuta di Andreotti, viene anticipato da chi vuole stoppare la corsa presidenziale di Andreotti. Andreotti sta chiedendo i voti del PSI a Martelli quando gli arriva la telefonata della strage. Capisce subito il messaggio e rinuncia alla corsa presidenziale. Altri sapeva della liquidazione di Falcone pianificata da Andreotti e la usa contro di lui nel momento meno opportuno per lo stesso. È il blocco quirinalizio-mediobancario-NATO che afferma la sua supremazia militare sul blocco andreottiano. O Andreotti rinuncia, o tocca a lui. Il governo reale milanese si impone al governo formale romano.

Si inventa la favoletta che si sia eletto uno senza base come Scalfaro per dare una risposta “alla mafia”. Perché non potevano dare “una risposta”, che necessità v’era d’una risposta?, eleggendo Andreotti?! Andreotti, esperto di burocrazie, oligarchie, questioni militari, servizi, capisce subito il messaggio della strage di Capaci e dice a Martelli che si ritira. Meglio vivo e senatore a vita, quale già era, che Presidente ed ammazzato. Per quanto, a quel punto, anche avesse insistito ed ottenuto i voti del PSI avrebbe fatto la fine di Forlani e peggio. Chi usa le stragi si compra pure i parlamentari. CDB era molto attivo, in conto Mediobanca, e girava per ministeri e partiti. Anzi, girava per ministeri, a comprare, ma i gerarchi dei partiti della sua area, od i politici e statisti da lui comprati, se li convocava a casa od in ufficio.    

L’arresto di Riina è una reazione dei CC andreottiani contro il Quirinale e le sue stragi del 1992 (quella di Capaci e l’altra di copertura). Egualmente le stragi ed altra attività militare del 1993 sono opera dei CC andreottiani che usano loro milizie parallele mafiose. Si veda che fine hanno fatto i CC di quell’area andreottian-oltranzista.

Ridicola la tesi delle cosche tradite dalla sentenza della Cassazione del 30/01/92. Sono argomenti da uffici di propaganda militare. Le mafie sono abituate a vivere in regime di terrore, costantemente represse mentre lo Stato favorisce nuovi personaggi, dopo che vecchi ora liquidati erano stati favoriti per un periodo. Il mafioso lo sa che dura finché dura anche se si illude di essere più furbo degli altri e di durare sempre. Qualcuno lo fanno durare per sempre, tanto per alimentare le illusioni. Ci sono liquidazioni interne e liquidazioni apertamente di Stato. Nulla di nuovo sotto il sole.

Se qualcuno voleva liquidare Giulio Andreotti, Claudio Martelli, Calogero Mannino, come riportato dall’autore, dovevano essere di mafie differenti da quella dei CC andreottiani, almeno nel caso di Andreotti.

Contrariamente a quanto scritto a pagina 3 del saggio, Scotti e Martelli non furono sostituiti da Mancino e Conso, bensì da Mancino e Martelli. Scotti non è che fosse meno disinvolto di Mancino. Mancino co-ordina la stage Borsellino. Scotti co-ordina quella Falcone.

Nessuno interpella il Ministro della Giustizia per questioni militari. Le stesse carceri erano e sono più sotto il controllo dei CC che del Ministro. Martelli viene poi liquidato per via giudiziaria, la Grande Purga 1992/93 (poi permanentizzata) era in pieno corso, e si dimette il 10/02/1993. Il governo dura fino al 28/04. Gli subentra Giovanni Conso il 12/02/1993, poi confermato nel successivo governo Ciampi.     

“Per quanto se ne sa, se c’è un beneficio concreto che la mafia ha conseguito, questo viene dall’organo dell’accusa individuato nella revoca di alcuni provvedimenti ex art. 41 bis ord. penit. disposta dal ministro della giustizia Giovanni Conso nell’anno 1993 nei confronti di circa trecento mafiosi di livello però tutto sommato modesto. Non risultano, per il resto, altre forme di cedimento riconducibili a decisioni del governo o di suoi esponenti.” (Fiandaca 2013, p. 4).
Molti mafiosi sono costantemente liquidati per far spazio ad altri. Sono tecniche di polizia per tenere sotto controllo quanto da essa stessa creato.

Un costante ricambio sarebbe anche una sana tecnica di amministrazione, per esempio, delle burocrazie cosiddette pubbliche sì da evitare che esse vadano fuori controllo e finiscano per dominare la società esse dovrebbero servire. Quello che lo Stato e gli statisti sono incapaci di fare relativamente a sé stessi, viene invece realizzato come normale attività di polizia relativamente alla criminalità organizzata che è sempre e solo criminalità di Stato. Anche se esistono mafiosi protetti per decenni o per sempre, la grande maggioranza, almeno ai livelli più bassi non lo è e non sa neppure di essere strumento di Stato. Al massimo intuiscono di protezioni e pensano solo di essere più furbi degli altri. Alla fin fine, di chi è finito dentro, dunque è stato liquidato, non ne frega nulla a nessuno. Quando escono rischiano solo di essere uccisi da chi abbia preso il loro posto, a meno che la galera non sia stata solo una tecnica per qualificarli e poi spingerli su, per qualche tempo, prima di liquidarli definitivamente. I meccanismi di protezione di livelli alti della criminalità organizzata, in pratica dei pochissimi che non possono non sapere di essere miliziani di Stato (pur con la parallela coscienza che possono essere scaricati in qualunque momento), sono altri. Comunque, i regimi carcerari non è che dipendano dallo sghiribizzo di un ministro.

Il riferimento dell’autore a “sistemi criminali”, la mega pseudo-inchiesta della Procura palermitana, è un riferimento ad uno dei tanti tentativi di operare una qualche ricostruzione di comodo delle mafie siciliane per assolvere i protetti dal Quirinale ed accusare Berlusconi di esserne lui ora il braccio politico.

Una cosa della serie: da Andreotti a Berlusconi; li sputtaniamo e poi archiviamo sì che divenga tutto pubblico e se ne occupino i Travagli dei CC, col sostegno dei professori della CIA-FBI e del SIS che strombazzano che i “materiali giudiziari” siano oramai l’unica vera e certificata fonte storica di questi tempi. Lo storico ed il politologo devono solo divulgarli. È già tutto definito e scritto, ...dai carabinieri.

Senonché, citato dall’autore, lo dice Antonio Ingroia, a leggerlo come si dovrebbe: avevamo trovato/inventato i colpevoli della mega-cospirazione senonché mancavano le prove per fregarli davvero in tribunale. Visto come montano i processi a Palermo, e non solo, se uno di quelli ti dice che mancavano le prove, doveva mancare proprio tutto. Qualcuno aveva suggerito loro chi fossero i ‘colpevoli’ predestinati, predefiniti dal potere reale.

Non importa. Ci pensano i professori CIA-FBI-SIS e quelli indigeni di sponda anti-Berluska, con annessi giornalistici ed editoriali, a dire che i materiali giudiziari hanno mostrato o confermato che... anche se non v’erano prove giudiziarie sufficienti per montare pure processi.

Le mafie, come i terrorismi, sono di Stato e solo di Stato. Essi sono lo Stato. Sennò sarebbe piccola devianza o delinquenza individuale rapidamente repressa.

Le istituzioni italiche delegano la cosa (creazione, gestione e manipolazione di terrorismi e mafie) ai CC ed annessi. I politici passano. I CC e le burocrazie dello Stato (“le istituzioni”) restano.

L’ex-PCI, D’Alema capo del governo, trasformò, ovviamente col voti di tutti,  anche formalmente i CC in prima FA delle FFAA (art. 1 della legge delega 31 marzo 2000, n. 78). Che non sapessero che cosa erano e sono i CC in Italiozia, da FA a super-polizia a Polizie Segrete? Impossibile! ...Come se negli USA i Marines fossero anche l’FBI, la CIA, il SS presidenziale, Polizia Militare, Servizi Segreti, Polizie Segrete ed altro!

Davvero vogliono dar a bere che nessuno sapesse e sappia che i CC sono i creatori e gestori di mafie e terrorismi su preciso mandato istituzionale? Non è credibile. O certi statisti sono cretini o sono pazzi e delinquenti, oltre che imbroglioni. Tertium non datur. Il Parlamento non sa che il Copasir serve da copertura al terrorismo ed alle mafie di Stato? Il parlamentare non lo vede che è solo un poveretto parte di un votificio e che gli viene occultato lo Stato reale, per cui evidentemente v’è da occultare, e pure molto, se lo usano solo come burattino super-pagato per dare copertura formale allo stesso? 

La metodologia usata per montare il processo sulla supposta trattativa è la solita di tutte le purghe e montature di regime. Non cambia. Qui, si accusa “la mafia” di aver voluto condizionare l’attività del governo, dunque la si accusa di un qualche attentato alle istituzioni, al loro normale funzionamento. Si inventa una “strategia della mafia”. Tutti gli episodi successivi alla conferma in Cassazione del cosiddetto maxi-processo (un’aberrazione giuridica su schemi statunitensi in salsa sicula voluta dall’FBI e variamente contrastato dai CC che proteggono i loro mafiosi, per quel che possono), dall’assassinio Lima, collaterali e successivi, sono usati per rappresentare questa supposta strategia di attentato alle istituzioni.

Tanto, anche quelli che sono assassinii di Andreotti o della sua area, non possono essere oggetto di discussione in aule di tribunale, visto che tutti i crimini istituzionali-CC sono di fatto coperti dal Segreto di Stato. Per cui si usano i crimini della parte avversa (avversa di fatto al Quirinale, a chi se ne è impadronito con Capaci) per coprire quelli quirinalizi e per fini quirinalizi (la liquidazione di residui ‘andreottiani’ ed indipendenti, e di Berlusconi ed annessi.)

L’articolo 338 del Codice Penale permette, in qualche modo, di accusare sia “i mafiosi” che coloro abbiano con essi ‘cooperato’, ‘trattando’ con gli stessi, dunque facendosene complici. 
“Articolo 338.
“Violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario. Chiunque usa violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una rappresentanza di esso, o ad una qualsiasi pubblica Autorità costituita in collegio, per impedirne in tutto o in parte, anche temporaneamente o per turbarne comunque l’attività, è punito con la reclusione da uno a sette anni.
“Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto per influire sulle deliberazioni collegiali di imprese che esercitano servizi pubblici o di pubblica necessità, qualora tali deliberazioni abbiano per oggetto l’organizzazione o l’esecuzione dei servizi.”

Questo permette di dare un’interpretazione di comodo di eventi distinti, di assolvere la vera sovversione del colpo di Stato mediobancario-NATO di Capaci (che liquida la corsa presidenziale di Andreotti ed instaura la dittatura quirinalizia-mediobancaria-NATO) e di liquidare personaggi di comodo (anzi non più di comodo, ma visti con disagio) degli stessi CC, delle frazioni ‘errate’ degli stessi.

Per l’autore, la prosecuzione ed il rinvio a giudizio sono alquanto strumentali ed infondati, anche se, con linguaggio diplomatico, li valuti come piuttosto deboli, scrivendo che “l’approccio complessivo dell’accusa risulti in molte parti generico e approssimativo nel descrivere le condotte oggetto di imputazione (con conseguente sottovalutazione del principio di tipicità penale, anche nei suoi risvolti garantistici a carattere processuale); e, sotto alcuni aspetti, assai carente.” (Fiandaca 2013, p. 10).

L’autore evidenzia l’incongruenza di Mannino nello stesso tempo complice e vittima, in quanto Ministro. Assolto dopo un lungo procedimento (16 anni!) dall’accusa di “concorso esterno in associazione mafiosa” [un ‘crimine’ non sta nel codice penale ma inventato dalla procure giustizializio-quirinalizie-CC-NATO], dovevano pur incriminarlo per qualcosa d’altro!

La supposta trattativa viene assunta come lecita dall’accusa. Ma vengono criminalizzati gli intermediari perché come tali avrebbero cooperato con gli estorsori. Si è a livello di masturbazioni mentali o di trucchetti per non accusare “il governo” che sarebbe magari stato assolto dal Tribunale dei Ministri.

Commenta l’autore: “A differenza che nell’estorsione, in cui l’estraneo che funge da tramite di solito condivide l’obiettivo illecito perseguito dall’estorsore, gli intermediari non mafiosi della trattativa Stato-mafia agivano sorretti dalla prevalente intenzione di contribuire a bloccare futuri omicidi e stragi: un obiettivo, dunque, in sé lecito, addirittura istituzionalmente doveroso. E ancora: se la trattativa in sé – come ammesso dagli stessi pubblici ministeri – non può assumere come tale rilievo penale, come può invece risultare penalmente vietata una attività di intermediazione funzionale ad una trattativa in sé lecita?” (Fiandaca 2013, p. 11).

Se le mafie sono milizie parallele dei CC-Stato, non si capisce che avrebbero mai avuto da trattare con “lo Stato”. La Sicilia, non differentemente dalle altre aree d’Italiozia, è sotto il controllo ferreo dei CC. Le mafie potrebbero essere tranquillamente liquidate togliendo ad esse il sostegno di Stato. A quel punto sarebbe piccola delinquenza perseguibile per i suoi delitti. E poi chi la distribuirebbe la droga che arriva con aerei militari-NATO dall’Afghanistan e da altri luoghi? O chi mai si presterebbe al variegato delinquere di Stato per cui vengono usate milizie parallele come le mafiose ed altre?

Come in tutti processi-propaganda della Procura di Palermo, i materiali giudiziari superano ogni limite di reale accessibilità. Qui sono oltre le 300'000 pagine. Utili ai Travagli dei CC per poter sputtanare gli sputtanabili. Ridicoli per un vero processo.

L’autore propone altre sue considerazioni più generali, dal conflitto di frazioni della Procura di Palermo col Presidente della Repubblica Napolitano ad Igroia politico.

Manca un quadro sociologico-politologico di cosa siano le mafie. Una vasta e prezzolata letteratura italiotica ed estera ha costruito il mito delle mafie etniche. Della serie: “Poverini, sono fatti così...” Ennò, ovunque nel mondo, sono solo e sempre milizie parallele di polizie e militari, polizie e militari qui ‘brillantemente’ sintetizzati dai CC, su mandato politico-istituzionale.



Fiandaca, G., La trattativa Stato-mafia tra processo politico e processo penale, in Criminalia. Annuario di Scienze Penalistiche. 2012, ETS, Pisa, Italy, 2013. 

06 June 2013

Letter from Lhasa, number 320.
Gustavo Zagrebelsky fondamentalista Costituzionalaro

Letter from Lhasa, number 320. Gustavo Zagrebelsky fondamentalista Costituzionalaro
by Roberto Abraham Scaruffi


La Costituzione più sbagasciata del mondo, ma per loro la migliore, o magari è solo questione di portafoglio personale, la difendono con argomenti da bar.

Una Costituzione dovrebbe essere un architrave legal-formale (non l’unico, ma quello, o uno, generale) per il buon funzionamento sistemico, o sistemico formale, e, si spererebbe, per un qualche benessere collettivo. No, per i fondamentalisti della Costituzione più sbagasciata del mondo, l’italiota, essa diviene un atto di fede.

Per cui, alla fine, se le inventano nel repertorio dei luoghi comuni. E a loro scappano pure. Tanta è la foga che restano affascinati dalla castronate raggiungono le loro lingue ed escono dalle loro bocche.

L’Italia è inadatta?
“«Sotto ogni profilo. Sociale: il presidenzialismo può funzionare se il tasso di corruzione è nei limiti della fisiologia; altrimenti diventa il volano della corruzione. Politico: i Paesi in cui il presidenzialismo non crea problemi di eccessivo accentramento dei poteri sono quelli in cui il capo del governo è il prodotto di partiti che hanno una loro vita democratica e le loro regole. Negli Usa i partiti non sono solo comitati elettorali; in particolare quello che esprime il presidente ha una vita ricca, una dialettica che lo condiziona. In Francia, De Gaulle aveva dietro un partito. Hollande è stato per un decennio il segretario socialista».
E da noi?
“«Da noi, la degenerazione personalistica nella politica è evidente. Più si accentua, più i partiti diventano macchine al servizio del padrone».”

“[...] il presidenzialismo può funzionare se il tasso di corruzione è nei limiti della fisiologia; altrimenti diventa il volano della corruzione.”
Questa gli è scappata. Come dire che sotto la Costituzione più sbagasciata del mondo, ma per loro la migliore, Italiozia è sprofondata, od è restata, con un tasso di corruzione non “nei limiti della fisiologia”.

Ma anche la “evidente” “degenerazione personalistica nella politica” si è verificata nello stesso quadro Costituzionale formale.

Naturalmente, Gustavo Zagrebelsky non si riferisce a CDB, il proprietario del PD, e già dei vari ex-PCI nelle loro successive denominazioni. Chi tocca quello è segato per sempre, se non ha sponde in aree opposte.

Restandosene, e fatto restare da media compiacenti, il proprietario dietro le quinte, i vari ex-PCI che si sono succeduti appaiono come partiti veri, non a “degenerazione personalistica”. Almeno chi mette la faccia chiede il voto e si vede quanto rappresenti. Non chi selezioni i suoi impiegati per montare, smontare, ristrutturare ed usare partiti tutti suoi, mentre il proprietario e puparo si cela alla vista di tutti.

Ovviamente, Gustavo Zagrebelsky non dice nulla sulla dittatura quirinalizia [Mediobanca-Repubblica] instauratasi con la strage di Capaci (23 maggio 1992), e creatasi nella stessa cornice Costituzional-formale. E come potrebbe?!

Lasciamo stare le ulteriori banalità d’occasione sui partiti USA o francesi. Quando si è a corto di argomenti si deve sempre inventare una qualche perfezione dove non esiste ma citando esempi che impressionino l’ascoltatore ed il lettore. Magari negando precedenti esaltazioni del nulla italiota e denigrazioni di Stati, abbiano o meno veri partiti (che è poi un vero partito?), che o sono i padroni d’Italiozia e del mondo, o che funzionano un poco meglio della stessa. 

Non una parola, e come potrebbe?!, su Italiozia ormai sfasciata da burocrazie compradoro-predatorie fuori controllo, ed in ulteriore proliferazione, e da oligarchie compradoro-predatorie. Ovviamente non è affatto detto che, a sfascio ormai realizzato (ma al peggio non v’è limite), una cornice Costituzionale in senso efficientista (tale si vorrebbe il presidenzialismo) possa mai rimediare qualcosa.

Per esempio, il Brasile ha un quadro Costituzionale simile allo statunitense. Ma resta un piccolo staterello compradoro, e geneticamente sottosviluppato e sottosviluppista, e con burocrazie elefantiache, corrotte e del tutto inefficienti oltre che largamente inutili. Al contrario, il Giappone ha una politica (una Costituzione formale e di fatto) sbagasciata (tale voluta dagli Alleati, come in Italiozia ed altrove, od anche dagli Alleati) ma burocrazie sviluppiste.

Non che questo giustifichi chi ha difeso tutte le falle e degenerazioni di regime coprendosi dietro la Costituzione più sbagasciata del mondo ma difesa come una grande conquista. Conquista di chi? Certo degli Alleati l’hanno voluta, tramite i loro partiti.

“L’Italia è un Paese oligarchico. Governato ormai dalla “ferrea legge delle oligarchie” teorizzata da Michels, Mosca, Pareto. Un sistema che vive di privilegi, che ha bisogno di gestire il potere in modo non trasparente, quindi d’illegalità. Scuotere le oligarchie fa bene alla democrazia.”
Gustavo Zagrebelsky, politologicamente ignorante, non capisce che cosa siano le oligarchie.

Anche ‘democrazia’ è per lui un’etichetta etico-immaginaria, visto che nessuna organizzazione efficiente può funzionare secondo regole democratiche. Già la partecipazione ed il coinvolgimento, indispensabili per organizzazioni efficienti, sono cose differenti dalla democrazia’ o da una mitica democrazia perfetta. 

Le oligarchie esistono comunque. Fanno parte della naturalità delle cose, siano esse oligarchie burocratiche o di potere economico-finanziario. Il punto è che oligarchie siano. Appunto, Gustavo Zagrebelsky non può dirlo.

Le oligarchie compradoro-predatorie italiote sono ovviamente sottosviluppiste. Esse hanno condotto allo sfascio attuale ed ora incrementeranno l’inefficienza e la marginalizzazione già realizzata (ma al peggio non v’è limite) d’Italiozia. Tanto chi abbia titoli di proprietà e fondi in loco ed all’estero se ne frega di implosioni sistemiche.

Tra l’altro, l’euro rende più resilienti nella loro ottusità compradoro-predatoria le oligarchie compradoro-predatorie italiote, visto che anche sfasciandosi, e loro sfasciando, Italiozia i loro fondi in euro sono comunque garantiti dalla solidità e dalle regole contabili-finanziarie germaniche per cui non possono divenire cartastraccia. Questo non e un argomento contro l’euro che non ha colpe. Anzi, semmai mantiene all’interno di uno spazio sviluppato l’Italiozia auto-fottutasi. Marginalizzata e sfondata ma all’interno dello sviluppato e sviluppista Impero Germanico, l’UE-euro.


Il Presidenzialismo sarà l’ennesima bolla politicantica per non fare nulla di positivo. Tutte i tentativi di riforma Costituzionale in senso efficientista sono sempre stati affondati dal Quirinale-CSM-CC-NATO. Ma anche venisse realizzato, si può stare ‘tranquilli’ che il Quirinale resterà un centro compradoro-sottosviluppista dominato dagli anglo-americani e dai tedeschi, oltre che dalla predazione indigena. 

Letter from Lhasa, number 319.
Le boiate della Turchetto

Letter from Lhasa, number 319. Le boiate della Turchetto
by Roberto Abraham Scaruffi


Non che l’autrice si distingua dalla vulgata marxista solita. Ci è capitata. Ve ne sono a centinaia così.

Non abbiamo nulla contro Karl Marx, personalità complessa ed autore variegato, di cui qui non discuteremo realmente. Coloro che hanno usato il suo nome con -ismo, sono quello che sono e per fini che sono quelli che sono. Partiti e sindacati di parastato e di Stati, sovversioni di potere, Stati etc ne hanno usato l’etichetta, spesso con contenuti radicalmente differenti tra di loro, per ragioni di marketing. 

“Che cosa significa “scienza della storia”?” La Turchetto si muove in maniera catechistica e la risolve con “una teoria materialista della storia” per individuare “come oggetto della storia le “formazioni sociali”: ossia insiemi di relazioni sociali relativamente stabili (capaci di auto-riprodursi) strutturate “in ultima istanza” a partire dai “rapporti di produzione”, cioè da quelle relazioni sociali che si instaurano nel ricambio organico con la natura.”

La cosa non si ferma qui. Con un netto salto logico, “la storia” diviene, per la Turchetto, non differentemente dalla scolastica cosiddetta ‘marxista’, “una storia dei rapporti sociali conflittuali”, ““storia di lotte di classe””.

Se fosse storia dovrebbe includere tutto, non darsi il programma di scovare e rappresentare le “lotte di classe” che, ovviamente, possono esserci come non esserci. Od anche assunte sempre, possono pur essere o non visibili, o non deducibili, o non rappresentabili. Diviene il gioco dei cappelli, indossare il cappello materialista e rinvenire sempre lotte di classe, ed indossare il cappello non-materialista e rifiutare aprioristicamente qualunque lotta o conflitto di classe o categoria. Ovviamente, sia coprirsi dietro alle lotte di classe od inventarsele, che negarle e cercare altro o solo altro, apre la via alla storia favoletta di parte o di partito. In realtà, qualunque limitazione della ricerca storica al servizio di storielle opportune od opportuniste conduce a rappresentazioni del tutto fantasiose e di convenienza.

Invero, nella visione della storia come lotta, non è affatto detto che al ‘conflitto’ dialettico-teorico debba poi corrispondere una lotta di una classe contro un’altra. Lo stesso conflitto non è affatto necessario, indispensabile, perché vi sia combinazione di fattori produttivi e produzione. Un’opposizione o differenza concettuale non è detto sia conflitto o conduca a conflitti. Gli stessi conflitti od attriti sono fattori di aggiustamento o di rottura per generare altre combinazioni. Le propagande sul punto hanno fatto dare per scontato cose che non lo sono per nulla quando si esca dalla formuletta ripetuta ed inculcata.

L’ auto-organizzazione di sistemi caotici, per esempio, rappresenta la realtà meglio di una aprioristica assunzione di lotte di classe. Ad ogni modo, qualunque l’assunto, forse decisamente meglio non assumere nulla, la rappresentazione storica dovrebbe fondarsi su tutto quel che si scopre, che può tranquillamente contraddire eventuali aspettative. 
      
In una officina, anche grande, gli uffici non sono differenti, la maggior parte dei soggetti della classe salariata andrà tranquillamente a fare lecchinaggio relativamente alle impersonificazioni della parte padronale, sempre che altri non appaiano più forti, e di certo lo appariranno se sostenuti, magari sotterraneamente o mediatamente, dal padrone fingono di avversare. A quel punto, il lecchino, ed il leccato, lo farà il sindacalista od altro intermediario.

La storia reale delle organizzazioni ‘proletarie’ è molto meno fantasiosa della favoletta dei proletari che si organizzano per opporsi alla classe od alle classi suppostamente avverse. Nella storia reale, lo Stato, “la polizia”, eventualmente pure quella di Stati avversi o meno, crea organizzazioni operaie contro “i capitalisti”. Sono meccanismi di controllo sociale e statuale. È il divide et impera di chi abbia il potere reale. Certo, anche lo Stato di classe si autonomizza dalla classe dominante rappresenta, od almeno dai singoli componenti di essa. Lo Stato è di classe proprio perché va oltre gli interessi immediati se lo comprano, ma fino ad un certo, seppur spesso grande, punto.

Gli esecutori burocratici interagiscono sempre in qualche modo con chi li comandi. Il servo dipende dal padrone. Ma anche il padrone dipende dal servo, dall’esecutore, tanto più esso lo serva. È per questo che corpi militari o con poteri speciali possano divenire più forti chi, civile, li comandi. Oppure no, se un cassiere esterno possa annichilirli non pagandoli. La proliferazione burocratica relativizza molto di quel si possa dire a livello teorico di cosa sia uno Stato. O si ricostruiscono e seguono le catene di comando, e come il comando sia eseguito, o si fantastica su cose immaginarie. Se non esistono forti oligarchie interne o padroni esteri che guidano uno Stato, esso vive di forze e debolezze proprie, essenzialmente burocratiche, magari avvitandosi verso l’autodistruzione.

È vero che lo Stato sia, nella sua essenza, una banda di soggetti armati. È meno semplice definire chi e cosa serva, o se serva solo sé stesso. Solo con analisi specifiche lo si può definire.

Per esempio, l’attuale crisi fiscale dei molti Stati sviluppati riflette eccessi rilevantissimi di proliferazione burocratica e macchine statuali fuori controllo. Non è tanto che lo Stato spenda troppo ma che spende soprattutto per sé stesso. E quando si tenta di tagliare costi, sono di fatto le stesse burocrazie pubbliche che tagliano flussi ad altri ma non costi propri. Alla fine non si taglia nulla a livello di uscite complessive ma solo a livello di servizi resi. Che tali macchine statuali possano essere davvero funzionali alle classi suppostamente dominanti è davvero un assunto arduo. Nel contempo, generalizzazioni eccessive sono del tutto fuori luogo, perché per esempio il Regno Unito sembra godere della sua solita flessibilità burocratica per cui è capace di liquidare fette di burocrazie. Licenzia. Gli Stati Uniti, dove lo Stato sembra in espansione, fanno pagare loro costi ad altri mentre altri pagano costi altrui. Altri ancora, come i tedeschi, usano la crisi fiscale per aumentare la propria egemonia sulla Grande Germania, alias la UE, soprattutto la UE-euro. Inoltre, una cosa sono macchine burocratiche costose ma di una qualche efficienza nel senso che rendono i servizi sono state create per produrre, altra sono macchine burocratiche all’italiota dove i costi aumentano pur con i servizi, già scarni e scarsi, tagliati ulteriormente. Tali Stati, o molti di essi, servono realmente supposte loro classi dominanti o loro rilevanti classi dominanti sono loro stesse caste burocratiche?

Assumere una filosofia della storia, e pure di partito, è la negazione dell’analisi onesta e dettagliata degli eventi. Si tenderà a cercare di far vivere la propria visione dunque addomesticando la realtà che si rappresenta. Si rappresenterà solo quello che è funzionale alla propria filosofia della storia. Un metodo scientifico è altro, per quanto tutti i metodi siano forieri di trappole euristiche.      

Il proletario, tanto più è tale, tanto più obbedisce al potere. Esiste solo nelle fantasie interessate che tanto più vi sia oppressione tanto più vi sia rivolta. La rivolta inizia quando vi sia una qualche eccedenza di tempo e di denaro. Chi non abbia il sufficiente per vivere non è affatto detto che si rivolti, o se lo fa lo fa individualmente come delinquere et similia. È quando si abbia una qualche eccedenza che sorge il desiderio di avere ancora di più o magari tutto. Non a caso, definito il proletariato teorico, Marx quello reale non lo trova pressoché in nessun luogo. Tra aristocrazia operaia e sotto-proletariato, il proletario perfetto (quello che non abbia né più né meno dell’altro proletario ‘perfetto’) sfugge e gli sfugge. Engels invece se lo immagina e si convince di averlo trovato, nella sua visione idealistica della storia.    

Capitale e lavoro si combinano e reificano nel prodotto. Se c’è lotta non c’è prodotto. Il prodotto è la reificazione della cooperazione. Se lotte vi sono, vi sono al di fuori del processo produttivo. Possono verificarsi prima e dopo, od interromperlo, intervallarlo. Ma senza cooperazione non v’è prodotto.

Il plusvalore è immanente, nella storia universale. Se si produce meno delle energie immesse nella produzione, meglio far nulla. Solo producendo di più si riproducono sia lavoro che capitale e si ha un qualche margine di sicurezza. Non solo. La riproduzione diviene allargata, per cui si ha sviluppo. Se il proletario deve almeno riprodursi come tale, pure il capitale lo deve. Tra l’altro, con la teoria e la realtà del lavoro composto (e retribuito come tale), ecco spiegate materialisticamente pure le differenziazioni dello stesso proletariato. Non è solo il proletariato ad essere differenziato. Neppure i capitali sono tutti identici quando si passi dall’astrazione monetaria all’investimento concreto.   

Cosa siano “le classi” non è cosa per nulla assodata, quando si passi dalle generalizzazioni e semplificazioni, o complessificazioni, teoriche alla materialità e varietà, o a volte semplicità, della realtà. Magari facile definirle con una formuletta teorica, esistono poi nella pratica grandi diversificazioni che dipendono da tanti fattori che possono determinare livelli di reddito familiare molto differenti, dunque auto-percezioni ed identificazioni diverse, anche tra proletari omogenei nel momento del lavoro e della retribuzione formali.

Il proletariato puro lo creano proprio, per via burocratica, gli Stati “proletari”, alias economie di guerra e casermoni alla sovietica. Creato il proletariato puro, vari strati burocraticamente regolati, o meno, lo sfruttano e per fini non solo interni. Ma al di fuori dell’area ‘socialista’, quando esisteva o dove tuttora esiste, dove sono gruppi di proletari di una qualche omogeneità? Quando poi esistano ‘socialismi’ alla cubana, con corruzione generalizzata e dove tutti s’arrangiano, il proletario puro è solo qualche raro fesso.      

Nella realtà, le formazioni economico-sociali teoriche (o suppostamente teoriche), non sono così nettamente distinte, né si susseguono con linearità temporale, e si trovano in epoche molto distanti tra loro. Per esempio il rapporto di lavoro salariato, la combinazione di capitale e lavoro, non è per nulla tipico della sola cosiddetta “società borghese”, ma è immanente nei millenni ed in differenti aree del mondo. Lo stesso feudalesimo, una volta definitolo, nessun autore serio è poi sicuro quando e come, o dove, sia realmente esistito o se magari esista e/o coesista tuttora. 

Quando si parla di società borghese, si fa una rappresentazione molto europea e molto feudale e post-feudale di una realtà di progressiva urbanizzazione. “Borghese” deriva da borgo. La “società borghese” è la società delle città. In realtà, in altre aree del mondo sono esistite anche in epoche molto anteriori grandi concentrazioni urbane. Ovviamente la tecnologizzazione dell’agricoltura permette la crescita delle città e lo spopolamento delle campagne. Vi sono anche fattori demografici. Per quanto la facilità di comunicazione, dunque di interazione, potrebbe rifavorire ora la disseminazione della popolazione, che ora non necessariamente richiede più la concentrazione in grandi borghi/città per stare assieme e per interagire produttivamente e socialmente.

La concentrazione virtuale, di comunicazione, rende in parte inutile la concentrazione fisica, per quanto, ovviamente, le grandi e grandissime città continueranno ad esistere se non altro per i “costi di aggiustamento”, i costi di uscita e movimento/variazione dalla situazione attuale, e per fattori demografici. Inoltre, settori che funzionano per prossimità comunicativa continuano a coesistere con attività dove la prossimità fisica è necessaria ed indispensabile. 

E se si fosse sempre riprodotta la stessa “formazione sociale” con solo evoluzioni e salti tecnologici? I rapporti di dominazione tra individui sono grandemente cambiati nei millenni, idealizzazioni engelsiane a parte? Engels, da committente dello, e forse intermediario di altri interessi con lo, studioso Karl, quando voleva farsi teorico non è che necessariamente eccellesse. Il comunismo primitivo se lo inventa, come una grande castronata che non regge a nessun esame storico, psicologico e logico.

Marx è uno che tenta, prova, sperimenta, studia, revisiona, le spara (quando le spara) prima in un senso e poi in uno del tutto differente. Marx distingue tra le sparate di scritti propagandistici e scienza, ricerca, riflessione. Engels è il catechista. Ha una missione, sua o con altri. Non con Marx che è da lui messo sotto, a salario, a fare il topo da biblioteca per dar copertura teorica alla militarizzazione del proletariato. Engels ha sue patologie che lo mettono a disagio di fronte al suo mestiere di industriale dunque di sfruttatore di operai. Come tutti i filantropi, sogna altre caserme per l’oggetto dei suoi sogni filantropici.

Quanto alla “lotta di classe”, per esempio i sindacati, o simili, nascono come irreggimentazione promossa, e/o rapidamente fatta propria, dalla stessa classe suppostamente avversa, la capitalistica o borghese, o dallo stesso suo Stato. Gli stessi partiti ‘proletari’ hanno tutt’altra classe dirigente ed ispirazione. Il marchio ‘proletario’ o ‘operaio’ è imposto e venduto. Vendono il paradiso futuro per rendere sopportabile l’oppressione presente. O vendono servizi, o miti interni ed esteri. Il Comintern vende l’URSS. Altri centri lo copieranno, magari in piccolo.  

Le ideologie “proletarie” sono invenzioni, imposizioni sul proletariato. Sono ideologie militaristiche, di irreggimentazione, propinate con la giustificazione di un benessere futuro, di un futuro che mai s’approssima. Pensate in uffici militari e/o di altre burocrazie, sono poi appaltate, nella loro elaborazione complessa, ai numerosi intellettuali, prezzolati o meno, di cui il mercato prolifica in tutti gli angoli del mondo. 

Ovviamente, le mitologie sono copertura di meccanismi clientelari, di servizi che il cliente ha o pensa di avere. È per quello che il gruppetto senza potere non recluta nessuno, o solo transitoriamente, mentre i partiti reclutano. Reclutano in quanto appendici dello Stato, o di Stati, del potere, o di poteri. Le ideologie sono immagini inessenziali. Non quando abbiano altri fini ancora, come il creare e diffondere culture sottosviluppiste. Quello che fece il PCI, su delega Alleata. In tal caso, l’ideologia è immagine ma anche realtà, a seconda del perché sia prodotta e da chi.    

La prima “‘rivoluzione’ ‘proletaria’” è un colpo di Stato tedesco per liquidare un nemico di guerra. Successive evoluzioni portano le Russie a costruire un’economia di guerra alla fine usata contro la Germania. Un caso di blowback effect. Un forte ed aggressivo militarismo, pur con forti caratteristiche compradore (dall’attacco alla Germania – prevenuto di alcuni giorni dal disperato attacco difensivo tedesco –, chiaramente compradore anglo-americane), che si sviluppa libero da uno zarismo debole, seppur esso stesso minato ed alla fine distrutto da una burocrazia elefantiaca ed inefficiente.

Liquidata l‘URSS, le Russie continuano senza grandi variazioni ma di nuovo con un settore formalmente privato. Da sovietica, la retorica diviene liberal-democratica. Da un colpo di Stato di un manipolo di russi al servizio tedesco e con supporto tedesco, con liquidazione burocratica della proprietà privata d’impresa, i propagandisti avevano montato la retorica della “rottura rivoluzionaria” e dunque del cambio di “natura sociale” dello Stato. V’è una banale guerra civile dove i pro anglo-francesi si scontrano coi pro-tedeschi. I pro-tedeschi vincono. Per la follia dell’economia di guerra trotzkiana, realizzata da Stalin che liquida Trotzki ma non il suo folle programma militarista-burocratico Grande Russo, le Russie necessitano di tecnologie occidentali. Per cui, gli anglo-americani si reinseriscono nel gioco e si coltivano l’URSS che si presta poi come loro carne da macello per la guerra in Europa e frigorifero per il post guerra per tenere sottosviluppata una fetta rilevante del continente. Lo stesso giochetto è replicato in Asia, con aiuto russo, dove puntando sul maoismo, altra creazione dell’Intelligence militare, ma qui anglo-americana, per tenere in frigorifero gran parte del continente per un altro mezzo secolo.

I teorici del salto rivoluzionario, della rottura rivoluzionaria, per passare da un ordine sociale ed uno differente, chissà come avranno giustificato che l’URSS ‘involve’ per dinamiche superiori ed esterne, e per debolezza interna. Nessuno necessita di massacrare “l’eroico proletariato” per passare dal ‘socialismo’ al ‘capitalismo’! Già che si debba e si possa passare al capitalismo dopo più di ottant’anni di ‘socialismo’ conclamato come superiore e dunque irreversibile... ‘Rivoluzioni’ e ‘controrivoluzioni’ erano e sono solo etichette mistificatorie distribuite secondo paradigmi propagandistici per altri usi. Esse non esistono ma esimono dall’analizzare che cosa sia avvenuto, e ne permettono ricostruzioni di comodo.    

Nelle Russie sovietiche è successa un’altra cosa. Dall’economia di guerra permanente si passa a quella non di guerra. Il nuovo ordine permette la proprietà privata d’impresa, sebbene lo Stato resti onnipotente. La liquidazione dello Stato militarista divenuto insostenibile, che implode, porta alla liquidazione dell’Impero Sovietico. Il congelatore si è rotto e la vita riprende all’Est con la Germania che si riespande in quella direzione.

A vedersi in modo materialistico, od anche solo non propagandistico, la storia, se ne scoprono delle belle. Le storielle sul proletariato, non differentemente da quelle sulla libertà e democrazia, ne hanno coperte di cose! 

Purché suonino bene, basta che le favolette ‘proletarie’ servano la militarizzazione delle masse. Non si dica che i partiti, sindacati ed altro ‘proletari’ abbiano funzione differente. O lo si dica, mentendo.  

Per quanto esistano conflitti tra categorie, classi, centri di interesse, rilevantissimi sono piuttosto i conflitti tra Stati e loro emanazioni. Un’evoluzione e trasformazione del tribalismo. Lo stesso proletariato è, facilmente o meno, militarizzato dallo Stato che lo usa per suoi fini a seconda delle caratteristiche specifiche di una certa entità statuale.

Tutto ciò è molto materialistico, per quanto negato o giustificato con voli pindarici, o semplicemente evitando il punto, dagli sloganisti del ‘materialismo’ e della “lotta di classe”. Devono presentare come alternativo ciò è che tutto interno al sistema dato e ad esso funzionale. Questioni di marketing politico e politicantico.

Se si analizzano materialisticamente le ‘rivoluzioni’, si troveranno facilmente operazioni di polizie segrete, cioè di entità statuali, interne od esterne, che comprano e manipolano intellettuali e masse, che a loro volta si fanno facilmente manipolare da burocrazie alias dal potere o dai poteri, ...o si auto-manipolano per altri fini che supposti interessi di classe o gruppo. Meccanismi arrivistici, che sono la stessa negazione della categoria o classe, vengono creati o si auto-creano come forma di auto-organizzazione delle realtà più differenti. Sono auto-organizzazioni, sia materiali che di idee, attorno al potere od ai poteri non contro di esso e di essi. Come se l’opposizione, o differenziazione, dialettica capitale-lavoro si risolvesse nella loro fruttuosa combinazione pratica, che è poi quel che succede. 

Capitale e lavoro sono concettualmente distinti. Si combinano per originare prodotti attraverso processi produttivi. Perché dovrebbe poi generarsi una invidia proletaria che dia vita ad una irriducibile contrapposizione col fine di appropriarsi, come classe (senza gerarchie o con nuove differenziazioni di comando dunque salariali, di reddito?) di ciò che ora è di taluni? 

Si rimuovono, dalla narrazione, altri interessi. Si evitano i  comportamenti concreti dei soggetti del cosiddetto proletariato. Ecco che si possono confezionare raccontini ‘classisti’. La storiella fa presa, più o meno, finché non la si metta in discussione nei suoi fondamenti, nelle sue derivazioni e nella sua praticità od impraticità/impraticabilità. Come tutte le storielle, la si può blindare con la fede. La fede funziona finché si abbia l’interesse a credervi. C’è chi si irreggimenta col parroco o pastore, chi col partito, chi con altri, qualcuno con nessuno. 

Alla fin fine, etichette di rivoluzioni e contro-rivoluzioni, di proletariato e di non-proletariato, vengono distribuite secondo apparenze ideologiche, propagandistiche, in realtà secondo convenienze di Stati/governi, senza alcuna considerazione per analisi materialistiche. Si trovano meno proletari in movimenti ‘fascisti’ o religiosi o ‘militari’, che in movimenti ‘comunisti’? Improbabile. Semmai è vero il contrario. Supposte ‘coscienze’ per individuare i ‘buoni’ e liquidare i ‘cattivi’ hanno una qualche base materialistica o siamo a livello di meccanismi propagandistici usati senza scrupoli da qualunque Polizia Segreta o non segreta, centro di interessi, agenzia di marketing?

Le risposte sono ovvie. Interessi mistificatori fanno inventare storie-storielle suadenti quanto false.

Perché allora insistere con questa catechistica della “teoria materialista della storia”? Non stiamo dicendo che una visione materialistica non sia utile e prolifica. È solo che qui si lancia il materialismo senza usarlo se non come slogan per coprire altro. Cosa? Si vende come “teoria materialista della storia” una visione del reale come razionale e pure dell’ideologia come copertura della predefinita razionalità del reale. Che il reale sia apoditticamente razionale, o razionale perché esistente, lo si può assumere. Ma allora lo si racconti od analizzi. Le ideologie di copertura d’esso restano tali. Non sono strumenti euristici. Sono ideologie, ideologie di copertura.


Sì, il ‘marxismo’ ideologia di copertura del reale è una boiata, a livello euristico. È invece utilissimo, assieme alle altre ideologie, come appendice ideologica, come aspetto del marketing, dei meccanismi pratici di dominio. La “scienza della storia” è cosa nettamente differente dalle storielle di copertura. I o le Turchetto vendono lo slogan. Sotto o dentro di esso vi è il nulla. Anzi vi è molto ma solo di inganni. Nulla di materialistico. Nulla di analitico. V’è propaganda per altri usi.