30 June 2007

Lettera da Lhasa numero 67. Veltroni ha una concezione mafiosa della democrazia formale

Lettera da Lhasa numero 67. Veltroni ha una concezione mafiosa della democrazia formale
by Roberto Scaruffi

Veltroni, nel suo discorso del 27 giugno 2007, a Torino, se n’è uscito con un passaggio populistico-demagogico che riflette una concezione mafiosa della democrazia formale:
“Non è possibile, voglio dirlo con chiarezza, che in un sistema democratico moderno un senatore possa avere nelle mani il destino di una legislatura. Non è possibile che il suo voto possa contare più del voto di milioni di persone chiamate a scegliere chi governa.”
http://canali.libero.it/affaritaliani/veltroni00998.html?pg=12

Invece, la democrazia formale è proprio questo. Ogni voto conta ed il voto d’ogni eletto, o d’ogni rappresente di diritto (è il caso del Senato, dei senatori a vita, nonostante la demagogia che tutti a turno ne fanno), conta.

Il punto è differente. Ma Veltroni, il “nuovo” che ritorna sempre, il borderline che non c’era mai ed è appena [ri]apparso, non può dirlo.

Grazie alla DC ed al PCI, la Repubblica Italiana ha avuto una delle Costituzioni, dunque uno dei regimi Costituzionali, peggiori al mondo. Il bicameralismo perfetto è letale, per uno Stato in un’area come l’italica. La Presidenza della Repubblica onnipotente, settennale, non ad elezione diretta, con un governo invece che dovrebbe scaturire dai partiti che escono dalle elezioni, ma solo se il Presidente della Repubblica non vuole mettersi contro la volontà degli elettori o se non vuole addirittura, con le procure, demolire i partiti, è stata non meno letale. Veltroni, che dal PCI viene, e che ora dovrebbe capeggiare l’unificazione di rimasugli del PCI e della DC, non può dirlo. Parla d’altro. Non può neppure dire che la Costituzione di Berlusconi che lui ha contribuito a cassare nel 2006 rimediava, ed in modo perfetto, a molto.

Detto questo, che un Deputato o Senatore possa avere nelle mani il destino d’un governo è del tutto fisiologico. In Gran Bretagna, governi sono andati avanti ottimamente con un solo voto di maggioranza. La ragione è semplice: c’era e c’è un regime Costituzionale che lo permetteva e lo permette e c’è una cultura sistemica per cui, se salta tutto, si possono avere un nuovo Parlamento ed un nuovo Governo in 3 settimane. Quello che sarebbe stato possibile con la Costituzione di Berlusconi del 2006. Ma quelli come Veltroni l’hanno voluta cassare al referendum antipromulgativo del 2006.

Invece, in regime Costituzionale di dittatura Presidenziale aperta (che c’è dal 1992, quando le Procure del Presidente distrussero i partiti) non può che continuare la frammentazione politica, i governi che non governano, il voto popolare che non conta nulla, i Parlamenti sotto tutela presidenziale.

Veltroni, e pure Prodi e tutti gli altri, doveva pensarci prima. Dovevano pensarci al Referendum Costituzionale del 2006, o pure prima in Parlamento. C’hanno pensato, in effetti, ed han fatto quel che han fatto. Ora, Veltroni fa solo demagogia da comizio. È la politica del dire e del non fare. Il personaggio è noto.

28 June 2007

Lettera da Lhasa numero 66. La politica del dire. Veltroni e Franceschini: chi è la donna?

Lettera da Lhasa numero 66. La politica del dire. Veltroni e Franceschini: chi è la donna?
by Roberto Scaruffi

“E un partito nuovo può dirsi davvero nuovo solo se sarà composto, a tutti i livelli, almeno per metà, da donne. Negli organismi, nei governi. Quelle donne che hanno realizzato conquiste fondamentali per sé e per la società intera. Le liste che saranno collegate ai candidati alla segreteria abbiano, ad esempio, un'alternanza di genere anche tra i capolista.”
http://canali.libero.it/affaritaliani/veltroni00998.html?pg=15

Quanto sopra, dal testo scritto del discorso di Veltroni di mercoledí 27 giugno 2007 a Torino. Nel discorso vero, orale, ha enfatizzato ancora di più quest’aspetto.
http://download-2.radioradicale.it/cache/RM446209.rm

Dunque, a proposito di quel “a tutti i livelli, almeno per metà, da donne”, tra Veltroni e Franceschini chi è la donna? Oppure sono tali tutti e due? “A tutti i livelli” significa a tutti i livelli. “Almeno per metà” significa metà o più. Se in un certo livello i posti sono due, almeno una deve essere donna. Segretario e vice-Segretario sono due. Almeno una deve esser donna. Veltroni, Franceschini o tutti e due?

Veltroni è uno fatto così. In realtà peggio, a tutti i livelli.

Interessante osservarne la psicosomatica, le posture, i tratti lividi, rabbiosi, delinquenzial-mafiosi [ci riferiamo all’aria, non vogliamo qui parlar d’altro; altri dirà magari che era solo duro, serio, teso, compìto, o quel che vuole; io ho visto altro, aria da chi ti fa perseguitare, torturare ed ammazzare e poi viene magari al funerale, o sulla tomba vent’anni dopo, a finger commozione: appunto, aria da personalità che usa metodi delinquenzial-mafiosi che sono del resto i metodi correntemente usano nelle istituzioni della Repubblica Italiana] di Veltroni, mentre fa i rifermimenti al e seguito (così come durante il tutto il discorso): “Basta. Dobbiamo farla finita con lo scontro feroce e con i veleni, con le polemiche che diventano insulto. Il Paese di tutto questo è stanco, non ne può più. E da tempo non perde occasione per dirlo. Per dire che non vuole una politica avvolta dall'odio, dove l'altro è un nemico, dove i problemi reali finiscono in un angolo o vengono affrontati con soluzioni temporanee.”
http://canali.libero.it/affaritaliani/veltroni00998.html?pg=14

Nel discorso orale enfatizza ancor di più anche quest’aspetto. Eppure l’aria contraddice le parole. Lo si osservi e studi:
http://download-2.radioradicale.it/cache/RM446209.rm

Lettera da Lhasa numero 65. Veltroni, un venditore di fumo berlingueriano con la stessa assenza di cultura istituzionale

Lettera da Lhasa numero 65. Veltroni, un venditore di fumo berlingueriano con la stessa assenza di cultura istituzionale
by Roberto Scaruffi

Lasciamo stare la fumosità inevitabile, visto che Italiozia è quella che è, Veltroni è quello che è, il suo blocco di potere è quello che è. Non è neppure riuscito a dire “alle masse” come lui sia stato designato dalla cupola di cui ha “accettato” la candidatura. Fosse il PD anche solo appena-appena quel che dicono, Veltroni si sarebbe candidato e basta, come mille altri, alle primarie. Essendo le solite finte primarie alla romana, non poteva semplicemente candidarsi. È stato designato da una cupola (Carlo De Benedetti e Quirinale) e si sa già che non può non vincere le finte primarie. Ne faranno due, una per il PD ed una, poi, per tutta l’Unione? Intanto, i risultati sono già noti. Più onesto non far primarie se sono finte. In Italiozia si sente il bisogno di ridicolizzarsi e di ridicolizzare tutto per mostrare che magari che si ama dire che si vorrebbe l’America (le primarie), ma poi si vive nella pseudoRepubblichetta del Quirinale settennale, neppure ad elezione diretta, ed onnipotente.

Veniamo solo alla sua assenza di cultura istituzionale, dove pretende di parlare di queste cose, nel suo discorso a Torino, mercoledì 27 giugno 2007:
“Un governo che abbia i poteri per essere tale, un Parlamento che controlli severamente e indirizzi l'azione dell'esecutivo, ma che non pretenda di essere, esso stesso, governo assembleare.
“Nei Comuni e nelle Regioni c'è stata, in questi anni, stabilità. E c'è stato cambiamento. I Sindaci rispondono ai cittadini e non, come era un tempo, alle correnti dei partiti. E i poteri locali sono divenuti un motore prepotente dello sviluppo italiano e dell'incremento del Pil. Con una costante crescita, specie per i Comuni, nel gradimento dei cittadini verso le istituzioni.
“La legge elettorale deve essere cambiata. Si trovi un meccanismo, non bisogna guardare lontano, che garantisca quattro obiettivi: contrasto della frammentazione, stabilità di legislatura, rappresentatività del pluralismo, scelta del governo da parte dei cittadini.
“La legge è urgente e necessaria. E' una condizione della vita democratica del Paese. Solo chi non è responsabile può pensare di trascinare l'Italia verso altre elezioni, che con questo sistema produrrebbero solo altra instabilità e altro caos. Cambiare, in un confronto parlamentare serio e aperto. E se il Parlamento non riesce a farlo sarà allora il referendum a spingere, sulla base dell'abrogazione, verso la definizione di un nuovo sistema.”
http://canali.libero.it/affaritaliani/veltroni00998.html?pg=12

“Un governo che abbia i poteri per essere tale, un Parlamento che controlli severamente e indirizzi l'azione dell'esecutivo, ma che non pretenda di essere, esso stesso, governo assembleare.”
Ecco questo c’era nella Costituzione “inglese” di Berlusconi. I fantocci del Presidente, e Veltroni con loro, hanno votato contro, al referendum anti-promulgativo del 2006 perché il Quirinale (le burocrazie predatorie) e l’oligarchia predatoria non potevano permettere che il potere formale fosse davvero nel Parlamento e nel Governo, oltre che nel voto dei cittadini. Volevano mantenere l’esistente, l’onnipotenza del Quirinale. Salvo, il giorno dopo, riprendere i ritornelli e le litanie solite. Coreografia.

Venduto fumo sulla situazione di ingovernabilità e di indecidibilità, Veltroni ha la soluzione fasulla. Infatti, fa riferimento a ciò che non c’entra nulla:
“La legge elettorale deve essere cambiata. Si trovi un meccanismo, non bisogna guardare lontano, che garantisca quattro obiettivi: contrasto della frammentazione, stabilità di legislatura, rappresentatività del pluralismo, scelta del governo da parte dei cittadini.
“La legge è urgente e necessaria. [...]”

La legge elettorale non c’entra nulla con problemi di assetto Costituzionale da cui deriva poi il sistema politico. Non è neppure vero che il referendum abrogativo possa cambiare davvero la legge elettorale presente, che comunque è una legge maggioritaria alla Camera. Al Senato, ha meccanismi regionalisti come tutte le leggi precedenti, dal 1948. È previsto dalla Costituzione (art. 57). Con la Costituzione “di Berlusconi”, il Senato, in pratica, non ci sarebbe più, e la legge elettorale corrente sarebbe solamente maggioritaria, oltre che tutta la legislazione ed altro con le precondizioni dell’efficienza (come conseguenza della soppressione del Senato, che sarebbe divenuto tutt’altra cosa con funzioni di Camera delle regioni, con poteri limitati e subordinati).

Invece, Veltroni non lo sa ed inganna i suoi:
“La legge è urgente e necessaria. E' una condizione della vita democratica del Paese. Solo chi non è responsabile può pensare di trascinare l'Italia verso altre elezioni, che con questo sistema produrrebbero solo altra instabilità e altro caos. Cambiare, in un confronto parlamentare serio e aperto. E se il Parlamento non riesce a farlo sarà allora il referendum a spingere, sulla base dell'abrogazione, verso la definizione di un nuovo sistema.”

Molte sono le cose che Veltroni non sa. Ci sarebbe da chiedersi se sappia qualcosa. Il referendum elettorale cambia, eventualmente, se passa, solo che ci sarebbe una lista unica per coalizione invece delle coalizioni con tante liste assemblate, dunque, di fatto, alza le soglie di sbarramento per le nuove liste uniche (che sono le uniche ammesse non essendo possibili liste di coalizione; tecnicamente, le soglie di sbarramento sono le stesse, ma non esistono più le soglie per le singole liste delle coalizioni, non esistendo più liste di coalizione). Se passa il referendum cambia la forma, non la sostanza. Al sistema dei ricatti reciproci e dei gruppetti di paralisi si aggiunge il momento della formazione della lista unica, che viene compilata al buio, dato che nessuna componente saprà davvero quale sarebbe stato il suo consenso elettorale vero come singola componente pur nella coalizione. Col sistema Costituzionale disgregativo esistente, la legge elettorale riformata con referendum non porterebbe a due partiti. Non è dunque vero che sarebbe aggregante. C’è chi lo dice. Molti. Moltissimi. È falso. La legge elettorale non c’entra nulla rispetto a ciò, checché ne dicano “grandi” specialisti su media interessati. La Costituzione “di Berlusconi” portava al bipartitismo, oltre a mille altri vantaggi intollerabili per il Quirinale (le burocrazie predatorie) e l’oligarchia predatoria. Infatti si scatenò un’ossessiva campagna di calunnie per impedire la promulgazione della nuova Costituzione, che appunto non è mai stata promulagata, avendo vinto il no alla promulgazione al referendum anti-promulgativo del 2006.

Dopo i passi sopra citati, in effetti Veltroni tratta in modo retorico, populista e confuso di questioni di riforma Costituzionale.
http://canali.libero.it/affaritaliani/veltroni00998.html?pg=13
In pratica, vorrebbe la Costituzione “inglese” di Berlusconi. Molti, dopo aver scantenato una campagna di calunnie contro essa, hanno votato e fatto votare contro di essa, ed, appena cassatola, in pratica la hanno [ri]chiesta proponendo le stesse cose lì v’erano e loro ed i votanti referendari avevano appena rigettato. Veltroni è uno di quelli. Chiacchiere. Chiacchiere. Chiacchiere. Devono solo giustificare il loro parassitismo politico di uno Stato esso stesso predatorio. Null’altro.

Il discorso di Veltroni è una relazione da riunione berlingueriana. Il nulla farcito di apparenti discorsoni ossessivamente riproposti. Poi, la predazione burocratico-oligarchica dello Stato che continua sia vincano altri, sia, ancor più, se vincono loro. Lo stesso Rutelli, variazione del nulla, solo più di Centro, se n’era volato dai Democrats USA. Come a dire che se voleva ascoltare dei democratici andava almeno ad abbeverarsi alla fonte, senza curarsi troppo degli imbrogli e degli imbroglioni designati d’altrove in Italiozia. Beh, anche Rutelli è un già designato ed ora ridesignato dalla Cupola che s’è creata la sua Sinistra e se la manovra. Per la prossima volta. Lo sanno che Veltroni non dura. Se vince, si distrugge in fretta. In realtà, non si rendono neppure conto, o se ne rendono conto ma non possono fare altrimenti, che, volessero davvero riciclarsi, dovrebbero presentarsi da soli, senza alleati e puntare alla maggioranza assoluta [che alla Camera non occorre, con la legge elettorale vigente; al Senato dipende dalla distribuzione regionale dei voti]. Per cui, anche vincessero nel 2008, occorre loro un’altra faccia con cui rimpiazzare dopo poco Veltroni. Gli hanno già creato il nemico ufficiale. Rutelli è per la prossima volta, nel 2010, vincessero mai nel 2008. Per la predazione burocratico-oligarchica è ottimo. Meno i politicanti durano, più si discreditano, più c’è subito con chi “credibile” per i pecoroni rimpiazzarli, meglio le burocrazie ed oligarchie predano tranquille ed in tutta libertà.

NO HOPE!

Lettera da Lhasa numero 64. Sulla relazione PCC-contadini nella RPC

Lettera da Lhasa numero 64. Sulla relazione PCC-contadini nella RPC
by Roberto Scaruffi

Bello, W., The End of the Affair? High-speed Industrialisation, the Party and the Pesantry in China, Focus on the Global South, 23 February 2007
http://www.tni.org/detail_page.phtml?&lang=en&page=archives_bello_peasantryinchina&lang_help=en
(Bello, 23 February 2007).
Walden Bello


L’articolo è sulla relazione tra PCC e contadini cinesi, e sul cresente scontento delle masse rurali cinesi rispetto alle politiche attuate in Cina.

L’autore evidenzia subito come il rapporto tra maoismo e contadini non abbia avuto nulla della tranquilla relazione descritta dalle agiografie correnti:
“Indeed, it may be more aptly described as tumultuous.” (Bello, 23 February 2007).

L’economia da campo di concentramento e di guerra maoista ha ripercorso schemi sovietici, nelle campagne, pur senza vera industrializzazione pesante alla sovietica. La predazione dell’agricoltura non ha condotto alla formazione d’una vera base sociale solida del regime nelle città egualmente in condizioni miserevoli e senza che se ne vedesse un senso, che in effetti non v’era se non tenere la Cina sottosviluppata perché così voluto a Londra.
“Agrarian transformation managed by the party took the form of requisitioning the grain surplus to fulfill Mao's industry-first policy. Peasant freedom was curtailed further when production was collectivized in the mid-fifties.” (Bello, 23 February 2007).

Secondo l’autore, la demolizione del partito, in cui Mao era divenuto minoranza, conseguente alla “rivoluzione culturale”, lasciando quasi abbandonati i contadini rispetto alle “attenzione” statali, ne migliorò le condizioni. Pur misere, erano almeno un po’ meno aggravate dalla predazione statale precedente. Non a caso, la produzione agricola aumentò dal 1966 al 1976. Con Deng Xiaoping, con appezzamenti di terra dati ai contadini poi tassati, la situazione dei contadini migliorò decisamente rispetto al regime delle comuni. Con uno schema, secondo l’autore, nel 1978-84, nella RPC, del tutto simile a quello della riforma agraria degli anni ’50 a Taiwan. Come a Taiwan, l’età dell’oro dei contadini ebbe termine con l’adozione di un’industrializzazione cittadina ed orientata all’esportazione. Nella RPC, questa è la linea lanciata col XXII Congresso del PCC nel 1984. L’accumulazione primitiva del capitale prese la forma di requisizione del surplus agricolo attraverso la pesante tassazione dei contadini. L’incremento del reddito dei contadini passò da una crescità del 15.2% l’anno dal 1978 al 1984 ad una crescita del 2.8% l’anno dal 1986 al 1991. Si ha qualche recupero nei primi anni ’90 e stagnazione per il resto del decennio. Mentre il reddito urbano, già superiore a quello contadino a metà anni ’80, era, col 2000, in media sei volte il reddito dei contadini. Nelle campagne sono proliferate le tasse, e pure in modo del tutto caotico ed arbitrario. Il numero di differenti tipi di tasse veleggia ora verso l’ordine delle 300. Il tutto senza alcun ritorno per i contaidni sempre più oppressi da elefantiaci apparati burocratici. Per cui la super-estrazione fiscale ottenuta dai contadini se ne va, in parte, in rilevanti sprechi.

L’autore cita sintomi di crescente resistenza aperta contadina all’estrazione fiscale, per quanto nulla sia davvero decisivo a questo livello. Potrebbe anche solo derivare da una repressione meno barbara o meno organizzata, per quanto repressioni barbare continuino ad essere diffuse nella RPC.

L’autore cita proposte di democratizzazione e di libero associativismo nelle campagne, con le quali lui sembra assentire, per quanto non sembra che la soluzione di problemi di oppressione fiscale e di burocrazie predatorie sia nella libera discussione. La libera discussione è sempre ottima, ma non è la soluzione a nulla. La soluzione alla rapina fiscale è che essa cessi. La soluzione a burocrazie predatorie è la loro eliminazione. Per quanto, con un 300 milioni di urbanizzati contro un 1,000 di campagnoli, per quanto solo il 45% dell’occupazione sia nel settore agricolo (e l’11.9% del PIL, nel 2006), un rovesciamento del rapporto risieda in una rivoluzione agraria, con delle strutture statali capaci di reggerla, oltre che di promuoverla. La macchinizzazione e tecnologizzazione dell’agricoltura non avvengono per caso né da sole. Il punto è se possa ancora avvenire e che succederebbe e succederà se non avvenisse. Per il momento, nella RPC, si costruisce, più che produrre macchine agricole moderne ed altra “strumentazione” (chimica, biotecnologie) per il settore agricolo. Negli USA, gli occupati nel settore agricolo sono lo 0.7% del totale e contribuiscono allo 0.9% del PIL (nell’UK, 1.4%, 1%). Ecco, le percentuali da Stato davvero moderno! Nella stessa Francia, con un’agricoltura largamente sussidiata, le percentuali sono 4.1% occupazione e 2.2% PIL. In Giappone, egualmente con “sindromi francesi”, forse con la giustificazione d’essere un isola seppur grande anche se popolatissima, e con preoccupazione strategico-militari, si è al 4.6% e 1.6%.

Il punto, per la RPC, non è neppure la preservazione del PCC, quanto il suo superamento con forme più forti. In fondo, anche nelle campagne, il PCC è stato una forma di sbrirraglia predatoria prima al servizio d’un regime pauperista, ora che deve tenere quieti contadini che dopo avere contribuito all’industrializzazione non ne stanno avendo alcun ritorno. Una struttura parallela partito unico-Stato formale non è mai un gran regime strutturalmente forte, neppure permette forti poteri centrali e locali. I cinesi dovrebbero studiare l’Inghilterra della rivoluzione industriale e precedente. Soprattutto nelle forma statuali e sociali. Non è detto ne siano capaci. Non è detto che non sia ora troppo tardi. Erano cose da fare all’inizio dello scorso secolo o subito dopo la guerra. Uno spezzettamento della Cina, per quando lascerebbe decine di entità statuali di dimensioni anche considerevoli, potrebbe rendere più gestibile il tutto, oltre che creare competizione fra Stati [cinesoidi] in uno spazio vastissimo quale è quello ora coperto dalla RPC. Bisognerà vedere che succederà quando lo sviluppo quantitativo presente avrà delle strozzature decisive. Ciò che già ora dovresse essere radicalmente cambiato, lo Stato burocratico predatorio, evidentemente non può essere cambiato né dall’alto né dal basse. Infatti, le burocrazie predatorie continuano a sperare nello sviluppo quantitativo in cui le costruzioni sembrano ora giocare un grande ruolo. Costruito tutto il costruibile, sia d’opere pubbliche, che nell’edilizia abitativa, si dovrà vedere quel che succederà.

Se, secondo i dati sintetici del WorldFactbook della Cia, nel 2006 il settore industriale (che include le costruzioni), si sviluppa, nella RPC, del 22.9% del PIL, ed esso contribuisce al PIL per il 48.1%, se l’aumento del GDP è solo del 10.5% ciò significa che gli altri due settori (agricoltura e servizi) hanno, o entrambi, o uno d’essi, uno sviluppo negativo. O dipende dai metodi di rilevazione statistica, o ci sono processi che si dovrebbero vedere in modo analitico. Del resto, dati macro, per una popolazione come quella della RPC, dicono poco su processi in corso, che sono inevitabilmenti estremamente diversificati a seconda delle differenti aree. In un regime di competizione burocratica per ben figurare col centro, non c’è comunque da fare grande affidamento sui dati statistici. La RPC è sempre restata largamente feudalizzata, pur con le sembianze d’una grande centralizzazione. Il PCC è strumento primo della centralizzazione formale, quando della debole centralizzazione sostanziale e della inefficienza di tutto il sistema.


Bello, W., The End of the Affair? High-speed Industrialisation, the Party and the Pesantry in China, Focus on the Global South, 23 February 2007
http://www.tni.org/detail_page.phtml?&lang=en&page=archives_bello_peasantryinchina&lang_help=en
(Bello, 23 February 2007)

26 June 2007

Lettera da Lhasa numero 63. Con Veltroni-Franceschini è ancor più pubblico: il “popolo delle [finte] primarie” è fatto di corrotti e pecoroni di regim

Lettera da Lhasa numero 63. Con Veltroni-Franceschini è ancor più pubblico: il “popolo delle [finte] primarie” è fatto di corrotti e pecoroni di regime
by Roberto Scaruffi

Era già noto, per chi volesse vederlo. Non si può immaginare che una persona onesta e seria (una persona! ...non un pecorone) potesse andare a votare, plebiscitare, personaggi già selezionati altrove fingendo di essere selezionati “dalla gente”. Demente e imbroglione chi ha organizzato queste cose. Demente e imbroglione chi ha messo a disposizione la propria persona per la finzione. Solo chi ci guadagna direttamente, dunque chi è parte del sistema di corruzione-predazione, può prestarsi a tali operazioni.

Ora è ancor più pubblico ed evidente. Veltroni e Franceschini sono stati scelti da Carlo De Benedetti e dal Quirinale, mentre Confindustria punta ad altro, per ora, sia per capeggiare il finto partito, il PD, il partito dei salotti predatori, che un eventuale governo a elezioni eventualmente vinte. Rutelli, se lo sono tenuti di riserva o per altro. In un eventuale governo, gli daranno magari gli Esteri, ma se lo tengono in frigorifero se i vari capobastone del popolo bue non si bevono Veltroni o se, formato un governo, esso si discredita in poche settimane alla Prodi. Cosa estremamente verosimile. Già demoliranno Veltroni da ora alle politiche del 2008, se ci saranno davvero allora. Del resto, il personaggio è fumo e malaffari. Null’altro. Potrebbero anche arrivare al 2008 senza Veltroni. La volontà del cielo o gli interessi si stanno scontrando, unito all’assenza di qualità intrinseche del personaggio, può davvero far prodigi rivelandosi, magari, l’operazione-Veltroni, un flop totale. Del resto, Carlo De Benedetti e le burocrazie per nulla efficienti né efficaci del Quirinale sono quel che sono, quando pianificano “grandi” operazioni politico-istituzionali.

La fabbricazione del personaggio, come candidato capo del PD e del Governo futuro è stata fatta malissimo. Tutti vedono che è un fantoccio scelto altrove. La scesa in campo a partire da Torino è pessina. Avesse saputo inventarsi un programma con qualche punto credibile, avrebbe dovuto partire da Milano e Venezia, o da Brescia, o da Trieste. Dicesse mai che abolisce l’ICI, dimezza le burocrazie statali e locali, porta l’età minima per la pensione a 70 anni i primi 30 giorni di governo, governa con 10 Ministri, 10 viceministri e 20 sottosegretari, semplifica (e dettaglia come) il sistema fiscale e porta le tasse complessive al 33% del PIL il primo anno di governo, che rimborsa il 5% di debito pubblico ogni anno, si scumpiscerebbero tutti dal ridere, sapendo che Veltroni è uno uso a promettere senza far nulla oltre agli affari propri e di famiglia, e ben sapendo tutti, inoltre, con che “maggioranza” dovrebbe governare. Di certo non è il tipo da annunciare (e fare) che il PD governerà da solo. Se, invece, la mena, con DonMilani, Kennedy, Einaudi, magari ora è divenuto ammiratore di Reagan!, si scumpisciano lo stesso tutti dal ridere per tale macchietta. Oh, certo, può vincere le elezioni, per quanto sia difficile immaginare ora come. Berlusconi e le Procure di Napolitano magari faranno di tutto per farlo vincere.

Dunque, Veltroni e Franceschini sono pupazzetti scelti altrove. E vengono nientemeno lanciati come “capi” del PD e capi del governo. Solo corrotti e pecoroni possono accettare tale finzione, per quanto possano ammirare le due macchiette scelte dal padrone. Solo delle altre macchiette da salotto come Bertinotti (che non è, o non dovrebbe essere, del PD, ma, appunto, tutti sanno che il padrone ha scelto Veltroni pure come capo di tutta l’Unione!) possono dire che è un ottima scelta, rendendo pubblico che lui è un compagnuzzo di quelli che si fanno scegliere dal padrone. Non a caso, con tali “sindacalisti” e “comunisti” Italiozia ha da sempre gli operai meno pagati e più costosi d’Europa.

Insomma il padrone (Carlo De Benedetti ed il Quirinale) hanno nominato i capi del PD ed i capi d’un eventuale futuro governo nel quale il PD sarebbe verosimilmente partito minoritario nella coalizione. A proposito, corrotti e pecoroni votano alla finte primarie, due volte o solo una? Logica vorrebbe che neppure votassero e lasciassero perdere la buffonata delle finte primarie. Ma se le fanno, dovranno ben fare prima le finte primare del PD, che è questione riguarda gli iscritti al PD, e poi le primarie di tutta l’Unione.

Prima i corrotti e pecoroni del PD, poi quelli di tutta l’Unione?! Lo vedete, Italiozia è sempre Italiozia, in progressivo peggioramento. Non ha speranza. Qualunque scopiazzatura dall’estero viene italiotizzata. Le primarie sono divenute finte “primarie ‘meregane” alla romanesca. Son come il Veltroni ‘meregano!

NO HOPE!

25 June 2007

Lettera da Lhasa numero 62. From red to gray, della World Bank 2007

Lettera da Lhasa numero 62. From red to gray, della World Bank 2007
by Roberto Scaruffi

Chawla, M., Betcherman, G., and Banerji, A, with Bakilana, A. M., Feher, C., Mertaugh, M., Sanchez Puerta, M. L., Schwartz, A. M., Sondergaard, L., and Burns A., FROM RED TO GRAY. The “Third Transition” of Aging Populations in Eastern Europe and the former Soviet Union, The World Bank, Washington, D.C., USA, 2007,
http://siteresources.worldbank.org/ECAEXT/Resources/publications/454763-1181939083693/full_report.pdf
(Chawla 2007).
Mukesh Chawla
Gordon Betcherman
Arup Banerji,
with Anne M. Bakilana,
Csaba Feher,
Michael Mertaugh,
Maria Laura Sanchez Puerta,
Anita M. Schwartz,
Lars Sondergaard,
and Andrew Burns


Questo Rapporto della Banca Mondiale sull’invecchiamento delle popolazioni nell’Europa dell’Est e nell’ex-Unione Sovietica analizza il fenomeno in un contesto di povertà diffuse, pur diversificate nei vari Stati. Le variabili economiche connesse all’invecchiamento sono varie, sebbene nulla sia semplicisticamente predeterminabile. La via d’uscita ai problemi creati dall’invechiamento viene indicata nell’accelerazione della riforma economica ed in specifiche politiche di lungo termine. Infatti, alla fine, la via d’uscita è nello sviluppo, o così si crede. Lo sviluppo crea ad ogni modo le precondizioni per soluzioni. Per quanto, lo stesso sviluppo, sia non è di per sé una soluzione a nulla, sia per essere di lungo periodo ed equilibrato, oltre che sostenuto, necessità di ambienti anche istituzionali favorevoli. La variabile istituzionale viene in genere ignorata. Anche questo Rapporto lo fa. Ne accenna in vari punti, ma solo in termini in genere generici di mercato, quasi bastasse avere delle sembianze di mercato per avere veri Stati e veri mercati. Non è questione di “istituzioni di mercato”, bensì di Stato forte e penetrativo (che significa pure, innanzitutto, flessibile, leggero, efficiente), senza il quale non ci sono vere “istituzioni di mercato”, da non confondersi con facilità di predazione per poteri forti internazionali.

Alcune semplici misure sono indicate dal Rapporto. Se la popolazione invecchia, diviene un imperativo prolungare l’età lavorativa. Facile a dirsi e facile pure a farsi, dove corporazioni predatorie e pulsioni autodistruttive non si mettano di traverso.

Se non c’è una adeguata popolazione attiva e realmente occupata rispetto alla popolazione complessiva, un minimo di benessere di base non è più sostenibile. Per quanto poi, in pratica, per mille ragioni, vi siano luoghi, come la penisola italica, dove la cosa sembra troppo difficile per i locali livelli di comprensione e d’azione. Né il sottosviluppo nel quale si è piombati, e di cui all’improvviso ci si rende conto, diviene superabile con eccesso di pensionati e pure in miseria, mercati del lavoro inefficienti e che respingono risorse, burocrazie ed oligarchie predatorie che bloccano qualunque prosperità comune minima. Infatti, non è neppure sufficiente la quantità della popolazione attiva ed al lavoro ma la sua produttività. Gonfiare la popolazione attiva con posti inutili, come succede nella penisola italica, nel settore pubblico, non crea vantaggi bensì svataggi, non crea ricchezza comune bensì la distrugge. La mentalità, anche a livello di classi o pseudo-classi dirigenti, dell’area già di dominazione sovietica e parasovietica è largamente simile alla mentalità italica. Per quanto, forse, prepensionare il personale eccedente nel settore dell’istruzione, oppure lasciarlo lì inutile, anziché trasferirlo, se necessario, all’assistenza degli anziani necessitevoli, potrà succedere solo nella penisola italica, finché esisterà, e portarla sempre più all’implosione mentre i parassiti burocratici, sindacali ed oligarchici prosperano. Infatti, la mentalità e capacità d’azione italiche sono peggiori di quelle dell’area ex-sovietica, dove, alla fine, pur magari in modo inefficiente, decisioni si sanno prendere ed attuare.

Comunque, nell’area ex-sovietica, esistono realtà estremamente differenziate, per storia e sviluppi concreti, pur accumunate dalla cappa statalista da caserma imposta per tenere l’est-Europa in mezzo secolo di regime di sottosviluppismo controllato e dunque sottrarlo alla potenza tedesca:
“The difference is the overlap with the yet incomplete economic transition. All of the region’s countries (except Turkey) face the lingering effects of the legacy of institutional disintegration that marked the transition. And all the countries, while experiencing rapid aging, remain immersed in the process of developing and strengthening the institutions needed for sustaining a market economy and developing the legitimacy of the state.
“Will savings and investment in these economies decrease with aging? Will smaller populations translate to fewer participants in the labor force, thus lowering the rate of growth? Will the economies become fiscally unsustainable as public expenditures on pensions and health increase rapidly, and public revenues are constrained following an economic slow-down?”
(Chawla 2007, p. xx).

Le risposte a queste domande non sono univoche, né lineari:
“This report finds, first, that some of the concerns about aging in Eastern European and Former Soviet countries are probably misplaced. For example, growth is unlikely to be significantly lowered by dwindling labor forces—if policies that promote greater labor force participation and, especially, greater labor productivity are adopted. The greatest positive impact can probably come from a combination of three factors: creating a business environment conducive to enterprise restructuring and innovation, investing in measures such as lifelong learning to increase the productivity and employment of aging workers in addition to bringing hitherto idle youth and adults into the workplace, and allowing migration of workers from the “younger” countries in and around the region.
“Second, the analysis in the report validates concerns about future fiscal strains in some of the region’s aging countries, but finds that many of the drivers of higher future public expenditures are unrelated to aging. […]”
(Chawla 2007, p. xx).

L’avere creato, nell’est, delle caserme pauperiste ha certo permesso nel momento delle privatizzazioni rapina e dell’apertura all’ovest di avere tutti i vantaggi di masse povere seppur non affamate, dunque una certa flessibilità e pur gestibile, seppur nelle rigidità lasciate dal regime precedente.

Si noti comunque, la frattura comportamentale, delle aree dove, per motivi culturali-religiosi, ma anche, inevitabilmente interconnesso, d’appropccio ottimistico alla vita, la popolazione continuerà ad aumentare e dove, per crisi esistenziali diffuse, un drammatico crollo delle nascite condurrà alla contrazione assoluta della popolazione, che è, tra l’altro, pure il trend italico. La riduzione delle nascite è spesso, seppur non sempre, connesso a maggior benessere diffuso. Il declino di popolazione obbedisce invece a pulsioni autodistruttive dalle cause varie.

“Rapidly aging populations, of course, are not as great an issue in some of the region’s countries—Tajikistan’s population is, for instance, projected to grow by over 40 percent between 2000 and 2025, and Turkey and Uzbekistan together will have gained an estimated 31 million people, equal to the population losses in Romania, Russia, and Ukraine combined over the same period. But even for these “younger” countries such as Turkey and those in Central Asia, the increased proportion of the elderly will still necessitate far-sighted reforms in pension systems, health care, and financial markets.”
(Chawla 2007, p. xxi).

“But the fastest aging countries over the next two decades will be in those of Eastern Europe and the former Soviet Union, the result of unprecedented declines in fertility and rising life expectancies. This region (not including Turkey) is projected to see its total population shrink by about 23.5 million. The largest absolute declines will be in Russia, followed by Ukraine and Romania. The Kyrgyz Republic, Tajikistan, Turkmenistan, and Uzbekistan, as well as Albania and Turkey, will still have growing populations. For most other countries in the region, the projected changes in absolute population size are expected to be less pronounced.
“The impact of the population decline will be much larger in some of the smaller countries, which will lose a significant share of their populations over the next two decades (figure O.2). Latvia (2.3 million people) and Lithuania (3.4 million) will lose more than a tenth of their populations. Poland will lose 1.6 million, or about 4 percent of its 38 million people.
“The economic impact of these changes will be felt most through the rising proportion of the elderly—those age 65 and older.”
(Chawla 2007, p. 5-6).

Il punto resta costruire Stati efficienti, per cui non vengono fornite ricette vere nei vari Rapporti od analisi delle varie organizzazioni internazionali od accademie, dato che è interesse di chi efficiente lo è, l’area anglofona, di non avere concorrenti. Per cui, semmai, si offrono ricette per esser sicuri di non [far] costruire Stati efficienti, o per “aprirsi” alle necessità d’affari delle poche, pochissime, potenze vere. Chi domina ha interesse a sviluppi altrui compradori, non a sviluppi altrui competitivi.
“Although almost all the countries have completed the political transition, if to different extents, much remains to be done in several key dimensions of the economic transition.
“Even after several years of economic growth since 2000, countries in the region are still at very low levels of income and institutional development.”
(Chawla 2007, p. 10-11).

Più vantaggio rifugiarsi nella luogocomunistica. Se l’economia d’uno Stato si sviluppa, almeno in apparenza ed almeno per un periodo, si dice che ha attuato vigorose riforme. Se non si sviluppa, o si sviluppa poco, si dice che o non ha realizzato riforme o che sono fallite. In realtà, conta di più la storia, ai fini di riprendere percorsi di sviluppo altri eventi storici, indotti dall’esterno, hanno interrotto. Per esempio, è evidente, anche solo ad una semplice ricognizione spaziale, la prossimità germanica, che non è solo prossimità geografica comunque, di aree si sono lanciate nello sviluppo od in esso si sono lasciate coinvolgere, dopo un lungo intermezzo. Superata l’interruzione sovietica della storia, voluta da Londra, con la realizzata sovrapposizione forzata d’un altra storia da caserma sottosviluppista controllata, ecco che il corso della storia riprende. In Romania, invece, area già ottomana, pur ricca di spazi e di risorse, dove s’è voluto mantenere, o addirittua aggravare, il corso sottosviluppista tradizionale, s’è provveduto a ciò con il golpe del 1989 e la successiva lunga fase di stagnazione con cambiamenti della struttura della popolazione dall’industria all’agricoltura (l’occupazione agricola passa dal 30% nel 1990 al 43% nel 2000, quella industriale dal 40% nel 1990 al 25% nel 2000; il trend si trova appena invertito nel 2002, con l’occupazione agricola che retrocede a meno del 37%, mentre quella industriale sale al 30% (Chawla 2007, p. 15); a ormai grande distanza dal “grandioso” golpe contro Ceausescu del 1989, la Romania resta uno Stato agricolo arretrato quale il golpe l’ha fatta ridivenire; molti si ricorderanno la “rivoluzione” del 1989, bella nelle menzogne ma dove il nemico non si vedeva, ...perché non c’era, a parte Ceausescu e pochissimi altri fucilati come [auto-]regalo natalizio da coloro che con l’omicidio si stavano riciclando; poi, milizie di minatori venivano periodicamente chiamate nella capitale a spaccare teste di si lamentasse dell’aggravamento, da ogni punto di vista, della già non florida situazione sotto Ceausescu, nel regime-Ceausescu-senzaCeausescu creato dai golpisti con larghi oppoggi operativi e mediatici occidentali ed orientali).

Caso particolare è la Turchia, Stato non sovietico ma incluso nel Rapporto per prossimità geografica e connessioni storico-culturali, oltre che ora, e da un po’, in avvicinamento alle UE con ambizioni di inclusione organica. Potenza con una modernizzazione di tipo nazista (seppur diretta dall’esercito, dunque con dinamiche non proprio identiche al corso hitleriano, tanto meno a quello mussoliniano) con Atatürk (1881..1938) è restata coi riflessi condizionati di potenza pur impoverita ma prossima geograficamente e come emigrazione operaia ed altri legami alla ora UE e soprattutto alla Germania (non è prossima geograficamente alla Germania, ma, non distantissima, intensi sono stati i flussi migratori che si sono aggiunti ad altri legami sviluppatisi nel corso di gran parte del ventesimo secolo). Nonostante la declassazione da Impero a semplice Stato è restata consistente di spazi e di popolazioni ed in localizzazione favorevole come materie prime energetiche ed altre, oltre che come comunicazioni. Inoltre, la stuttura statuale, derivante, almeno come ultimo sviluppo qualitativo, da una modernizzazione centrata sull’esercito, ha una certa solidità che resiste a consistenti pressioni islamiche che vanno nel senso di condurla ad uno scontro con l’occidente che non è detto sarebbe vantaggioso per la Turchia (mentre magari lo sarebbe, forse, per gli Stati islamici ed altri che cercano di includerla nella contrapposizione spesso piuttosto torbida nei mille giochi ed interessi che si intrecciano nella strumentalizzazione dell’Islam).

“Economic growth in the first decade of the transition was generally stronger in countries that made more vigorous economic reforms:
“• Following the initial economic collapse that affected the whole region, the Central European and Baltic countries recovered rapidly, pursued deep and pervasive market reforms, and pushed through integration with the European Union. Their challenge now is to further improve the business climate; address corruption and weaknesses in governance; maintain fiscal discipline and balance; and find solutions for their unsustainable health, social security, and pension systems—the lack of which is exacerbated by their aging populations.
“• Countries of the western Balkans experienced a disintegration that was significantly more violent and catastrophic than elsewhere in the region, but they are recovering and are beginning to integrate with the rest of Europe. They are still going through normalization, even as they prepare for EU integration.
“• Reform in the former Soviet countries has generally been slow. Some—such as Belarus and Turkmenistan—have not implemented meaningful economic reforms and are much further behind. Countries in the Caucasus have not fared well either, though recently there have been positive signs. Russia and Kazakhstan recovered rapidly from the initial disintegration and are looking to consolidate their positions, with mineral-led growth greatly helping their fortunes.
“• Turkey, though not a postcommunist state, has been going through its own transition since the 2001 financial crisis, which was preceded by uneven economic development through the 1990s. Privatization, banking and public sector reforms, social security reforms, and tight monetary and fiscal policies are at the core of its bold economic reforms. These changes are accompanied by a host of political and social reforms as the country progresses toward closer integration with the European Union.”
(Chawla 2007, p. 11-12).

Tuttavia il mercato del lavoro si addatta, in realtà, rapidamente ai cambiamenti di struttura demografica, se Stati sottosviluppisti non si frappongono, all’italica, per rendere difficoltosi e lunghi gli aggiustamenti. Se la popolazione diviene anziana, si tratta di cercare di non sprecare risorse pur non più giovanissime, se esse sono, ed in gran parte lo sono, disposte a continuare ad essere attive. Solo in situazioni perverse, come nella penisola italica, s’ama forzare gli anziani nell’ozio forzato. Pure pensionamenti non gonfiati negli importi (minimi sociali a parte), cioè corrispondi secondo criteri assicurativo-contributivi, non sono d’ostacolo all’occupazione dei pensionati, se non si frappongono quadri normativi e fiscali che la scoraggino od impediscano, magari coi soliti miti falsamente giovanilistici (in realtà burocratico pauperistici) per cui si dà “lavoro ai giovani” solo se si contrae al massimo il mercato del lavoro, ...sì da non dare lavoro né “ai giovani” né ai meno giovani. Politiche di sviluppo e di flessibilità, che non sono opposte a politiche davvero sociali (si può invece vedere che più forti sono i partiti comunisti e massimalisti, più bassi sono i salari e peggiori le condizioni dei lavoratori: gli schiamazzi sul “sociale” li fanno per coprire corruzioni-predazioni burocratiche ed oligarchiche cui il personale politico e sindacale “comunista” e massimalista partecipa da coprofittatore oltre che da sbirraglia contro lavoratori con propensioni al pecoronismo), sono sempre soluzioni dinamiche anche nel caso di cambiamenti di struttura demografica. Politiche di sviluppo non vuol dire prefigurarsi società perfette nè futuri personalmente auspicabili. Anzi, significa intervenire il meno possibile se non per garantire quadri concorrenziali certi e veri. Gli investimenti “per lo sviluppo”, lo dimostra anche la penisola italica, si sono sempre tradotti in sprechi di investimenti che hanno solo prodotto sottosviluppo, soprattutto dove lo Stato non abbia burocrazie credibili. Dove lo Stato ha burocrazie credibili, queste non si sognerebbero mai di “investire per lo sviluppo”. Lo sviluppo competitivo si produce se burocrazie efficienti garantiscono il quadro normativo di mercati concorrenziali e se non pretendono loro di farsi imprenditori, cosa che non sanno né possono fare in modo efficiente. Anche perché, se burocrazie producono direttamente, è improbabile possano sviluppare la loro altrimenti naturali ed essenziali attitudini di controllo. I regimi di Stato direttamente interventista del presente e del passato, anche lontano, sono in genere campi di concentramento o caserme di regimi militari pesanti e costosi, oppure aziende con padroni-schiavisti [faraoni, etc] eventualmente illuminati come imprenditori. È sempre imprudente generalizzare troppo, in queste cose. Né dobbiamo qui dimostrare alcunché. Esistono contingenze d’area, “culturali” e temporali, sebbene criteri d’efficienza o meno non abbiano poi logiche diverse in epoche differenti ed in posti differenti del mondo, a tecnologie date. Lo stesso militarismo efficiente, “liberale”, all’inglese, segue altre vie dalo statalismo “faraonico”-schiavistico. Lo “schema” liberale (che non ha nulla a che fare col solo assonate libertarismo) non è necessariamente minore intervento dello Stato. Tutt’altro. È solo qualitativamente differente. Lo stesso mercato del lavoro con le differenze tra schiavismo e regimi competitivi, può ben evidenziare la differenza tra statalismo economico e liberismo economico. Il regime competitivo necessita dello Stato come garante della riproduzione della forza lavoro (oltre che dei mercati), Stato che, però, se pretende di governare la forza lavoro come sotto lo schiavismo di Stato, o quasi, finisce per creare sia inefficienze economiche che danni agli individui, senz’alcun vantaggio collettivo.

Del resto, secondo visioni ideologiche e ideologizzate non si governarno realtà inevitabilmente in movimento e non necessariamente conformi a visioni dell’uno o dlel’altro genere.
“[...] In labor markets, the reality is more complex and less demographically deterministic than conventional wisdom suggests. Although the region’s aggregate labor supply will decline over the next 15 years, the declines will generally be modest. The greatest challenge will be for countries that will have large declines in their working-age populations but already have high participation rates.
“But changes in labor markets are not immutably determined by demographic legacies. First, productivity improvements are the core predictor of growth, so measures taken to improve labor productivity would swamp any quantity effects of smaller labor forces. In fact, growth decomposition exercises show that in most of the region’s countries in recent years, the growth in labor productivity has been the single greatest contributor to increases in per capita income (figure O.5). Second, the impact of aging on the labor supply can be at least partially offset by increases in the low labor force participation rates. Third, if political resistance is overcome, intraregional migration from younger countries can augment the labor forces of the aging countries.
“Despite good reasons to believe that demographic trends in the region do not inevitably mean problems for the labor market, policy makers need to carefully monitor and manage the situation over the next couple of decades, enacting appropriate policies to counter the effects of aging. Managing the situation will require labor market, pension, and education and training reforms, as well as better management of migration.”
(Chawla 2007, p. 14-15).

Le migrazioni, difficilmente arrestabili sia in entrata che in uscita, e qualitativamente differenti a seconda delle etnie e delle qualificazioni professionali che si attirano e che si respingono, sono un’ulteriore complicazione che mal si conforma a “visioni”, oltre a poter produrre sia benefici che sconvolgimenti nel medio e lungo periodo. Sono governabili, ma non sono davvero resistibili. Se c’è la pressione ad entrare si entra. Se c’è la pressione ad andarsene ci se ne va. Muri e pattuglie servono a poco.
“Migration, which was tightly controlled before the transition, loosened afterward. It has been marked by two sorts of flows, driven primarily by differences in economic opportunities. First, there have been flows from aging countries to other aging ones—most recently, with accession to the European Union, flows from the aging countries of Central and Eastern Europe to other aging countries in Western Europe. Second, in the years of transition, there have been continued flows from the young and poorer countries of the Commonwealth of Independent States (CIS) in the Caucasus and Central Asia to aging and richer CIS countries, particularly Kazakhstan and Russia. Younger countries with growing working-age populations already have negative net migration, while the reverse is true for most aging and old countries, with some exceptions.”
(Chawla 2007, p. 17).

Non è comunque affatto detto che massicce migrazioni verso le aree di sviluppo, o comunque di maggior benessere, significhino, sul lungo periodo che i “giovani” ed anche meno giovani stranieri siano disposti a mantenere i vecchi pensionati indigeni in cambio del solo fatto sia stato consentito loro di immigrare. Dipende dal tipo di immigrazione, così come dipende dal contesto statuale le migrazioni trovano. Una cosa è l’immigrato negli USA, altra l’immigrato islamico nel sud-Europa, per sempio. Ma anche negli USA, massicce migrazioni latine o da altre aree, dunque non linguisticamente e culturalmente assorbili o comuque integrabili in un qualche ordine preesistente, cambiano, alla fine, l’ordine linguistico e culturale precedente, anche eventualmente con situazioni di rottura che possono ad un certo punto prodursi. Lo scontro degli USA contro l’Islam ha rilevanti valenze (“metaforico”-militari) rispetto a sconti interni agli USA possono nel futuro prossimo prodursi tra white-British ed altri virtualmente maggioritari come numero. Differenti flussi migratori in relazione a contesti differenti producono risultati finali differenti. Oltre certe dimensioni e caratteristiche non c’è semplice integrazione nel quadro legale e statuale preesistente. Nondimendo, resistere a flussi migratori non ha gran senso, soprattutto se si rivela impossibile.

Se si osservano le strutture della popolazione e le previsioni sulla loro evoluzione, si vede come si tratti, per i vari Stati, più di essere in condizioni di adattarsi flessibilmente ai cambiamenti che di grandi complicazioni guidate da pre-giudizi o da pre-visioni o pre-ideologie. Tuttavia, la flessibilità è proprio ciò che manca in percentuali rilevanti di Stati. Se varia l’“assistenza” alle varie fasce d’età, ciò che conta è essere in grado di fronteggiare rapidamente ogni cambiamento, incluse le assunzioni e dismissioni di personale, e le inevitabili riconversioni professionale. Ci saranno variazioni, per esempio, nel personale insegnante come in quello d’assistenza sociale e sanitaria, oltre alle variazioni connesse all’evoluzione economico-tecnologica. Con le variazioni della struttura demografica devono necessariamente variare le concezioni passate e presenti di “vecchio”, “anziano” e “giovane”. Stati non efficienti, dunque con poca o nessuna dimestichezza con gestioni manageriali mancano proprio di flessibilità sia culturale che operativa. Per chi conosca una realtà tuttora “sovietica” come l’italica non avrà difficoltà a vedere cosa significhi e quali problemi crei la mancanza d’una cultura e d’una pratica della managerialità e della flessibilità. Anzi, “flessibilità”, così come “efficienza”, viene considerata una parolaccia.

Il Rapporto si articola in 6 parti principali (1. The Demographic Transition in Eastern Europe, 2. Demographic Change and Labor Markets, 3. Aging, Savings, and Financial Markets, 4. Aging and Pension Expenditures, 5. Aging, Long-Term Care, and Public Expenditures, 6. Aging and Education) con abbondanza di analisi, grafici, proiezioni, considerazioni. L’economia tende ad essere la “scienza” dell’intervento statale, per quanto lo stesso intervento statale dipenda poi nella realtà dalle strutture burocratiche degli Stati, dunque da fattori istituzionali e manageriali o meno. In taluni Stati, le strutture burocratiche sono più o meno manageriali. Nella maggioranza sono parassitarie quando non adirittura predatorie. Più uno Stato interviene direttamente nell’economia, tanto più i suoi interventi sono vani e dannosi, pur necessitando di strutture burocratiche che si pletorizzano progressivamente. Stati davvero capaci di regolare e controllare hanno, al contrario, strutture efficienti, flessibili e leggere, dunque poco costose pur procurando grandi vantaggi e benesseri collettivi. Se si garantiscono i mercati non si interviene sui mercati se non in modo limitato e non diretto. Se si interviene direttamente nella produzione con la proprietà e la gestione, si perde ogni capacità di regolazione efficiente del quadro delle regole, e pure la capacità di ben gestire la produzione se mai s’era avuta.

Per esempio, diminuire i costi e tempi d’aggiustamento, e fornire assistenza vera a fasce di popolazione necessitevoli e per il periodo necessario, oltre a quadri normativi certi (dunque non troppo complicati, né ambigui) di riferimento, costa meno e rende di più a tutti. Per tante ragioni, gli Stati preferiscono ingerirsi in cose non sanno fare con grandi costi e grandi danni. Più si ingeriscono, meno sanno controllare. Dunque il “servizio” che forniscono è spesso un danno per tutti, a parte taluni profittatori, burocrati corrotti inclusi.

Un’analisi delle necessità professionali, può indurre Stati corrotti e predatori a pianificare “grandi” riconversioni di masse di lavoratori, oppure prepensionamenti di talune categorie e massicce assunzione di altre, sussidi, etc.. Al contrario, è magari decisamente più vantaggioso per tutti, incluse le categorie professionali direttamente toccate, che uno Stato sia in grado, per ciò cui ad esso compete, di facilitare il licenziamento e le assunzioni chessò di maestre e di infermiere, eventualmente con indennità limitate nel tempo, od anche forme di sussidio permanente a chi resti fuori dal mercato del lavoro (per quanto nessun sussidio sia neutro rispetto ai comportamenti individuali e collettivi che induce), che ad impegnarsi direttamente ed in dettaglio nel processo d’aggiustamento. Uno Stato interessato a standard, in tutti i settori, deve saper controllare con corpi ispettivi efficienti e leggeri, che è antitetico all’ingerenza diretta nella gestione. La penisola italica è un ottimo esempio di Stato che gestisce tutto, sulla carta, senza controllare nulla. Ciò si traduce in costi enormi e fuori controllo, con danni anziché benessere collettivo, non essendovi alcun controllo sui risultati. Lo Stato che gestisca tutto è davvero il regno dello speculatore privato anziché essere il regno del consumatore con diritti alla qualità dei servizi. Anche nella riconversione o formazione professionale, quanti soldi vengono dati per corsi che non servono a nulla e che non portano da nessuna parte, o che magari servono come copertura, in talune aree, ad ulteriori sussidi ai partecipanti? Se uno Stato queste cose le sa fare, e ne verifica l’utilità, possono avere un senso. Se le si fanno solo per gettare soldi al vento, si contribuisce di più alla vitalità economica e del mercato del lavoro risparmiandoseli per ridurre il debito pubblico o la tassazione.

Non c’è nessuna conseguenza inevitabile, derivante dall’invecchiamento della popolazione, salvo l’illudersi che lasciare immutato il quadro normativo possa tutelare o proteggere “diritti” e standard preesistenti. In quel caso, la conseguenza inevitabile è il deperimento comune senza avere realmente tutelato nessuno. Ciò che diviene progressivamente non più compatibile inevitabilmente viene superato dalla realtà stessa, seppur in modo più faticoso e pasticciato che se si adeguano i quadri normativi. Se l’età del pensionamento resta bassa, si tradurrà in abbassamenti di fatto delle pensioni percepite. Se si manterrà il valore reale di pensioni percepite che pesano eccessivamente, si avranno scompensi ad altri livelli di spesa. Se la spesa statale complessiva è o diviene eccessiva, si amplierà l’economia in nero, oppure si deperirà tutti nell’ozio e nella disperazione, se per qualche ragione pure una vasta economia in nero divenisse impossibile. È un po’ come quando si aumentano le tasse a livelli che scoraggino il lavoro ulteriore. Od il sistema si ferma, o si sviluppa un settore in nero, o si mescolano variamente astensioni da ogni attività ed attività in nero. Si può anche fingere di lasciare regimi pensionistici per varie ragioni non più sostenibili. Si produrranno solo danni a tutti, mentre se comunque ci saranno forze imprenditoriali esse tenderanno ad esprimersi non visibili oppure se ne andranno altrove. Per fingere di “tutelare i deboli” (la classica scusa per proteggere le predazioni di burocrazie ed oligarchie corrotte) o per fingere di tutelare gli iscritti a corporazioni demenziali, si saranno solo danneggiati ancor più i poveri che se le corporazioni “di difesa” non fossero esistite. I “sindacati dei lavoratori” avranno solo difeso la consistente minoranza di superpensionati delle burocrazie predatorie.

Non c’è dunque nessuna “inevitable consequence” dell’invecchiamento rispetto alla spesa pensionistica che debba incrementarsi per adattarsi o far fronte all’“increased number of elderly people” (Chawla 2007, p. 151). Dipende tutto dal quadro di pensiero e comportamentale che si assume. Basterebbe, per esempio, darsi una norma generale, anche molto “rozza” che un sistema economico-sociale, dunque un sistema pensionistico di Stato, possa reggere una certa percentuale di pensionati o sulla popolazione complessiva, o sulla popolazione al di sopra di una certa età (i 18 anni, od i 23, ad esempio), oppure una certa percentuale sul PIL o sul PNL per spesa “pubblica” per pensioni, e poi adeguare il sistema di conseguenza. Stabilito il vincolo, si adegua la normativa a seconda dell’evoluzione demografica o del reddito. Per esempio, si stabilisce che i pensionati totali (d’invalidità inclusi) non possano superare il 20% della popolazione complessiva (in Italia ora s’approssimano al 30% della popolazione totale). Considerare il reddito può creare la possibilità di trucchi statistici, più difficili o comunque minori se si considera la quantità della popolazione. Ecco che si adegua l’età pensionabile di conseguenza. Certo, la sopportabilità d’una certa quantità di pensionati dipende anche dalla spesa per pensioni e dall’esistenza o meno di altri sussidi a senza reddito per cause varie. Se la vita media si sposta verso i cent’anni anziché essere sui sessanta è evidente che le età pensionabili minime non possano essere le stesse nel tempo. Tutela dei diritti e delle libertà individuali vorrebbe che la pensione non fosse un obbligo né una prigione, per cui il pensionato fosse libero di lavorare in modo del tutto regolare se crede e se trova, magari senza neppure decurtazione della pensione. Se la pensione è salario differito per cui si sono pagati dei contributi, e pure le tasse per la parte che consiste in sussidi di Stato, non si vede perché si debba essere disincentivati a lavorare se pensionati; il lavoro contribuisce al reddito collettivo, anche se nelle aree a mentalità “sovietica”, Italia inclusa, ogni posto di lavoro viene considerato sottratto ad un bisognoso di lavoro! Tutelare diritti di libertà e di benessere è l’esatto contrario delle tecniche all’italiota di “svuotare” il mercato del lavoro con la scolarità inutile e coi pre-pensionamenti. Il tutti più poveri non è vantaggioso per nessuno, burocrazie ed oligarchie predatorie escluse che la povertà diffusa rende onnipotenti e ricchissime.

Certo, un assetto di una qualche razionalità e flessibilità del mercato del lavoro e pensionistico rispetto alle variazioni demografiche in relazione al sistema pensionistico, non garantisce, di per sé, né la produttività del lavoro, né sviluppo, né l’ordine pubblico. Sono sepre tante le variabili in campo. Tuttavia, Stati che non siano neppure capaci di soluzioni semplici a problemi semplici, ancor meno sanno intervenire su punti ancor più più delicati per d’interesse collettivo. Ottimo esempio, l’italico, con i “difensori dei lavoratori” storicamente e tutt’ora esperti nel mantenere bassi salari e povertà diffuse, con costi del lavoro altissime. La differenza tra il poco che va ai lavoratori ed il tanto che deve pagare l’impresa se ne va in predazioni burocratiche e private (alle oligarchie con la mediazione di Stato; vedasi tutto il sistema dei finanziamenti apparentemente un po’ a tutti, corporazione per corporazione, per rendere tutti più poveri arrichendo davvero solo qualcuno, seppur fingano sia “redistribuzione sociale”).

Seppur i numeri aggregati dicano sempre poco, oggi la media della spesa pensionistica è del 12.7% del PIL nella UE. In Italia, è del 14.2%. L’Ucraina (che non è nella UE, e neppure area ricchissima, né particolarmente concorrenziale) spende il 15.4% (Chawla 2007, p. 157-158). Naturalmente se Stati UE che sono al di sopra della media si conformassero alla media, la media stessa si abbasserebbe. Se uno Stato della popolazione dell’Italia si conformasse a quel 12.7%, quell’ora 12.7% si ridurrebbe. Comunque, più che la spesa complessiva pesano negativamente tutte le politiche per scoraggiare il lavoro per “creare posti di lavoro per i giovani”, anche se, invero, a nessuno interessa creare posti di lavoro, altrimenti non si opererebbe per ridurre l’occupazione complessiva e per preservare rigidità a tutti i livelli, da politiche della casa che “tutelano” l’immobilità della forza lavoro ad aiuti non, eventualmente, per cambiare azienda ma per restare nella stessa (se grande [di qualche oligarca predatorio], dunque assistita dallo Stato) magari a far nulla (vedi la Cassa Integrazione che s’allunga all’inverosimile, per anni, in certi casi e poi con pre-pensionamenti ad hoc). Sono logiche del tutto demenziali, dove ogni demenza si “spiega” con altre demenze connesse. Il tutto per il comune impoverimento, o riduzione dell’arricchimento, strenuamente perseguito.

In effetti, se affrontato con un minimo di razionalità, l’invecchiamento delle popolazioni, non contiene nessun elemento insuperabile né di complicata soluzione, purché non si perseguano soluzioni cervellotiche, immobilismo coperto da “grandi” discussioni incluso (si vedano le continue trattative governo-sindacati d’Italia sul nulla dove si sa quel che si dovrebbe fare ma ci si copre dietro sindacati [che lo stesso Stato finanzia lautamente] per non far nulla, o sempre meno di quel si dovrebbe ed in ritardo considerevole). Forse, nel non cercare soluzioni sta la chiave, purché non si frappongano ostacoli agli aggiustamenti che la realtà spontaneamente crea: lo Stato agevolatore ...anziche predatore. Vanno semplicemente rimossi ostacoli al dispiegamento delle forze produttive che dappertutto esistono ed operano purché lasciate interagire. “Le riforme” non sono altro che quello, nell’Europa dell’Est ed aree connesse, dove le si son fatte davvero.
“The good news, then, is that policy reforms can successfully mitigate the impact of aging on future pension spending. This news is especially encouraging given that the region faces two additional problems that have implications for financing incomes for the elderly. The first is the provision of old-age assistance to individuals who are not covered under the social insurance programs. This assistance will require additional expenditures from governments, so they will need the fiscal space to accommodate these expenditures. Moreover, some of the countries with pension systems that will be fiscally sustainable in the future have achieved that goal through considerable current or future lowering of benefit levels. At some point, these benefits may not be adequate, and social assistance may need to augment them, in addition to covering the elderly who fall outside the contributory system.”
(Chawla 2007, p. 162).

Il Rapporto evidenzia l’importanza di sistema di persioni volontarie non essendo sostenibile un unico sistema pubblico onnicomprensivo, in un’economia di mercato:
“Regardless of whether they have a publicly administered, earnings-related benefit or a flat social benefit, all countries in the region should put in place a supervision mechanism for voluntary pensions. In an environment of reduced public benefits, middle- and high-income individuals will want to supplement their old-age income in some manner, and financial institutions will begin offering products to satisfy this need. Thus, whether or not it is regulated, a voluntary pensions market will arise. Once such a market appears, it will be better to regulate and supervise the products being marketed than to leave individuals at risk. The regulation may be as basic as indicating that pension products fall under the saving provisions of banking products or that they will be regulated as insurance products. But some regulation is required to prevent the pension products that will be offered in the market from falling through regulatory cracks. Governments can use the lure of tax-advantaged pensions to grant licenses to providers that follow the regulations, where pension products already exist.
“In countries that opt to follow the basic social pension approach, the supplemental pension is even more necessary, because middle- and high-income individuals will clearly want to receive higher benefits than the basic benefit and will be willing to pay for them. Ideally, these pensions should be provided by private pension fund managers on a defined-contribution basis, resulting in no government liability. However, the financial market structure in each country would need to be evaluated to determine whether sufficient financial market instruments exist to support a defined-contribution system and whether it can be sufficiently regulated. The incomplete financial markets in the region were discussed in chapter 3. In low-income and some middle-income transition economies, it may be determined that the financial market infrastructure is insufficient to support such a pension system, even on a voluntary basis. Governments would then face three choices: (a) allow such pension systems, but insist on overseas investment as a means of protecting the assets of workers; (b) begin a new publicly managed pension system that explicitly excludes the use of government subsidies; or (c) provide no tax-advantaged supplemental pension at all. “In countries that opt to follow the basic social pension approach, the supplemental pension is even more necessary, because middle- and high-income individuals will clearly want to receive higher benefits than the basic benefit and will be willing to pay for them.”
(Chawla 2007, p. 171-172).
Lo Stato deve proteggere dalle truffe creando e sorvegliando mercati finanziari sani oppure orientando le contribuzioni pensionistiche private verso mercati finanziari sicuri all’estero.

Dove il sistema finanziario è restato sovietico come in Italia, per esempio i fondi pensione non decollano per assenza di mercati finanziari concorrenziali ed il sistema pensionistico di Stato è sempre meno sostenibile pur assorbendo risorse ingenti. Inoltre, la predazione di Stato s’è nel tempo mangiata del tutto la capitalizzazione previdenziale. Mangiarsi la capitalizzazione previdenziale, che oggi, in larga misura, o del tutto, non esiste più, è stato un mezzo per occultare il debito pubblico reale che è varie volte quello già enorme ufficiale, che è oltre il 100% del PIL (è drammaticamente cresciuto durante il golpe presidenziale del 1992 ed anni seguenti, e non è ancora tornato al livello del 1991-92) e, dopo una prima contrazione, dopo un vero balzo (sotto Scalfaro ed i suoi governi presidenzial-“giudiziari”), non dà segni di rientro progressivo. La capitalizzazione previdenziale in passato esistente è stata progressivamente elargita ai clienti di regime, oltre che spesa per far fronte ad interventi “sociali” di Stato da esso non finanziati. Gli enti previdenziali pagano ora le pensioni con le entrate di cassa. Non hanno più vere riserve. I contributi pagati dai lavoratori sono stati in pratica rubati, seppur per spese clientelare anche a pioggia. Insomma, si sono distrutte sviluppo ed occupazione, però, si sono distribuite elemosine, e per farlo s’è pure mangiata la capitalizzazione pensionista, innanzitutto quella INPS: il modello di sottosviluppo DC-PCI-sindacatiConfederali-Confindustria. Il patrimonio immobiliare degli enti previdenziali è stato distruibuito a sindacalisti e ad altri clienti e profittatori di regime. Immobili risidenziali, per esempio, già affittati in genere su base clientale sono poi stati ceduti agli affittuari a prezzi largamente al di sotto i prezzi di mercato. Se fatta un po’ di cassa per spese clientelari e si sono svuotate le riserve previdenziali. Con oltre il 100% di debito pubblico, un sistema finanziario concorrenziale non decolla, in Europa. L’Italia non è il Giappone, che ha uno statalismo efficiente, grazie ad oligarchie sviluppiste (in Italia le oligarchie sono predatorio-sottosviluppiste). Il risparmio va, in un modo o nell’altro, nel debito pubblico e nella finanza protetta di banche non concorrenziali. La borsa è dominata da cartelli finanziari. Rientrare dal debito pubblico, tagliando spese burocratiche (cioè dismettere burocrazie) e clientelari, vorrebbe dire avere uno Stato un minimo sano che fa terrore a burocrazie e doligarchie predatorie. Siccome non si vuole colpire con l’accetta la burocrazia predatoria (si preferisce lasciarla predare e con predazione in aumento graize alle vaste coperture politiche ed istituzionali), resta il debito pubblico, resta uno Stato corrotto e corrutttore, restano la predazione burocratico-oligarchica, resta un sistema finanziario non di mercato e non concorrenziale, restano mercati del lavoro, ed altri, pervertiti da interventi per farli malfunzionare e così giustificare altri interventi corporativi che permettano rendite sindacali e politiche sul finto allievamento dei problemi gli stessi sindacati e la stessa politica hanno creato e creano in continuazione.

Con la capitalizzazione previdenziale sottratta dal sistema oligarchico-burocratico-sindacale per distribuita ai vari clienti e profittatori, e senza processi di rientro da un debito pubblico enorme, i fondi pensione non possono decollare.
“A move to a funded system usually involves transition costs: all or part of the contribution of today’s workers is invested in their own funded accounts, leaving less or no revenue to finance today’s pensioners. Such a move can be financed only if the pension costs have been reduced. Privatization revenues from the sale of former public enterprises have often been earmarked to help finance these pension reforms.
“As already noted, the financial market infrastructure in the middle- to low-income transition countries is unlikely to be able to support mandatory funded pensions, although it needs to be evaluated on a case-by-case basis. In these countries, the financial imbalances in the inherited pension systems tend to be greater, making it fiscally more difficult to move to a funded pension system right away—especially because many of the middle- to low-income transition countries have not successfully privatized large public enterprises, ruling out this additional source of revenue.”
(Chawla 2007, p. 173).
Stati a spesa “pubblica” fuori controllo, come è il caso dell’Italia, per esempio, non possono permettersi di sottrarre liquido per ripristinare un’accumulazione previdenziale in precedenza mangiata “dallo Stato”. Se si pagano le pensioni con le entrate di cassa, se queste non ci sono più perché si riprende ad accumulare per pensioni future, bisogna che uno Stato con qualche capacità di gestione finanziaria faccia uscire da qualche altra parte per 10% o 12% o 15% sul PIL che viene speso in pensioni. Non certo aumentando la tassazione dove questa sia già alta, perché ciò deprimerebbe lo sviluppo dunque le stesse entrate fiscali complessive.

L’Italia, pur con la continua illusione d’essere una “potenza”, è al livello dei “middle- to low-income transition countries” anche se nessuna transizione verso una sana economia di mercato è visibile in Italia. Pur di non ristrutturarsi drasticamente, già ha distrutto più di 1/3 di PIL [col golpe quirinalizio del 1992] per “entrare in Europa” di fatto con moneta supersvalutata. Un anticipo, con supersvalutazione secca, di altrimenti impossibili successive svalutazioni per mantenere il modello sottosviluppista di concorrenzialità estera attraverso continue svalutazioni del sistema-Italia, dunque della sua valuta. Che è differente, appunto è sottosviluppista, da una valuta temporaneamente svalutata per creare industrie nazionali concorrenziali e che s’espandono internazionalmente. L’“entrata in Europa” non s’è accompagnata ad alcuna vera ristrutturazione. S’è avuta anche una destrutturazione ulteriore dello Stato con la distruzione parziale ma rilevante della politica (golpe quirinalizio del 1992, e poi golpismo quirinalizio permanente) per permettere a burocrazie ed oligarchie corrotto-predatorie di operare ancor più fuori controllo. Si può vedere ogni giorno come tutti sappiano ciò che si dovrebbe fare rispetto al mercato del lavoro ed al sistema pensionistico e tuttavia facciano l’opposto, perché forze potenti operano proprio perché si faccia all’opposto e solo l’opposto, sì che tutto perisca purché si preservi la predazione burocratico oligarchica. Tutta la lotta continua nel governo Prodi tra ciò che non si può davvero fare ed i massimalisti (inclusi quelli di centro alla Prodi che vogliono rifarsi una propria IRI) che pretendono si faccia almeno un po’ di impossibile (in senso sottosviluppista) riflette questo scontro tra gruppi predatori compatibili nella visione sottosvilupppista ma incompatibili nei loro specifici interessi materiali dato il carattere limitato delle risorse per le predazioni d’ogni singolo gruppo predatorio, se tutti predassero nella misura ciascuno volesse. Uno vorrebbe rifarsi la propria industria “pubbblica” di coska. Altri se la fanno davvero a livello locale. Altri vorrebbero mettere dappertutto pannelli solari. Altri vorrebbe tutti dipendenti pubblici e parapubblici e tutti in pensione presto. Altri vendono per quattro soldi patrimoni immobiliari e finita la predazione voglioni ricostruirli sì da poterli ridistribuire a clienti e poi, in futuro, poterli loro, e a sé e ad altri, quasi riregalare.

L’assistenza sanitaria agli anziani sembra un problema enorme solo se si pretende di adattarsi semplicemente agli sterotipi sull’età e sulla vecchiaia, e pure sulle malattie da benessere come la sovra- e cattiva alimentazione:
“There are widespread concerns that rapidly aging populations in many countries in Eastern Europe and the former Soviet Union will have significantly higher health care requirements, simply because the elderly have a high demand for ambulatory, inpatient, and chronic care. Another critical issue is long-term care for the very old. Such care becomes costly as the availability of informal (family-based) care declines, and it can have large opportunity costs if younger people spend time caring for the elderly that they would otherwise spend in the labor force.
“There is, therefore, a real potential for medical and health costs to rise as populations age, especially in countries where levels of health spending are already higher than available resources, though the magnitude will depend crucially on whether longer life spans mean more healthy years or added years of illness and dependency. Indeed, there is increasing evidence that older people already are healthier than their counterparts of a few decades ago and have healthier lifestyles relative to previous generations, with the result that the threshold for frailty and disability is being pushed later into old age.”

Se si contraggono le necessità d’istruzione ed assistenza alle fasce basse d’età, mentre aumentano le necssità delle fasce d’alte, è una questione di flessibilità della mano d’opera da allocarsi dove necessario con le eventuali riconversioni professionali, quando le qualifiche necessarie non esistano già sul mercato. Non è vero che figure professionali eccedenti in un settore restino disoccupate, in un mercato del lavoro flessibile. Le rigidità dei mercati rendono i movimenti difficili ed impossibili. Lo stesso rapporto evidenzia come l’allungamento della vita s’accompagni a migliori condizioni di salute.

Tuttavia c’è un vasto mercato, con interssi giganteschi, che profitta sul fabbricare malattie per specularci poi ulteriormente sopra

Un problema enorme, che si preferisce non affrontare per ragioni commerciali, dunque di interessi fortissimi, è quello della salute della popolazione, che influisce sia sulla produttività lavorativa che intellettuale, oltre che sui costi sanitari: l’alimentazione. Si mangia troppo e male. L’obesità, con mille patologie connesse, è la malatia dello sviluppo. Si passa, come per incanto, dalla denutrizione all’obesità. La stessa dietetica non suggerisce soluzioni perché, se le suggerisse, apporterebbe colpi mortali ai mercati del commercio alimentare come a quelli, speculari, dei farmaci e delle strutture sanitarie. Tanto meno le varie macrobiotiche che vendono fumo, per fan finta di nutrirsi bene spendendo di più ...per nulla. Che la popolazione stia male rende. Sebbene possa anche divenire una strozzatura dello sviluppo vero. Perché se lo sviluppo se ne va in obesità, e simili, ed in farmaci per compensare la spesa eccessiva e dannosa in alimentazione, sia lo sviluppo è in larga parte fasullo, sia la produttività del lavoro ne risente oltre che la felicità individuale. Se il lavoratore sta male da eccesso di ctativa alimentazione, ne risente sia la sua vita lavorativa che quella extralavorativa. Del resto, i supermercati, come tutto il commercio alimentare, prospera sulla cattiva ed eccessiva alimentazione. Vai in un supermercato ed esci pieno di cose inutili che ti fanno male. È lo stesso nei mercati, se si pretende di “mangiar bene”, quando il vero mangiar bene è il mangiare povero e scondito. Egualmente, il settore sanitario prospera sulla cattiva ed eccessiva alimentazione. Una fetta rilevante dell’economia si basa sul malessere. Poi, ci sono gli interventi chirurgici magari inutili fatti solo perché il servizio sanitario paga bene chi li fa e contorno, dal cesareo alle valvole cardiache. Quanti posti di lavoro e profitti sparirebbero, sia nel settore alimentare che farmaceutico-sanitario, se si abbondasse in riso e pasta o polenta sconditi? O se si sopprimessero le mille merendine per bimbi, e non solo, così buone ma che li rovinano fin da piccoli? Eppure, quanto ne guadagnerebbe la salute individuale e collettiva. Certo, l’“economia” “deve” occuparsi solo di ciò che produce profitti, occupazione, redditi anche se poi i redditi se ne vanno in costi connessi allo star star male, però il PIL sembra di molto maggiore. Del resto anche chi venda, chessò, telefonini deve creare una cultura dell’essere sempre “on line” viva voce, sebbene per qualche categoria può essere importante ed essenziale mentre per la stragrande maggioranza si riduce a patologia. ...Ma se il mercato dell’assistenza psicologica ne guadagna, e magari pure la super alimentazione da ansia e depressione (cui il telefonino contribuisce), ecco che il PIL aumenta ulteriormente e l’“economia” “va bene”!
Non è questione di star dietro a verdastri bugiardoni, profittatori e finti coi loro finti pauperismi da vendere ai creduloni per guadagnarne loro. È solo questione di cercare di star bene.

Ad ogni modo, l’invecchiamento delle popolazioni libera risorse prima impiegate per occuparsi della fasce più giovani:
“The transition to a market economy and political liberalization have presented major challenges to the education systems of Eastern European and former Soviet countries. Reforms have been initiated throughout the region to meet these challenges, but the reforms are by no means complete. The demographic changes taking place are now imposing additional stresses on the region’s education systems. Lower fertility levels in general are reducing the demand for preschool, primary, and secondary education and are shifting demand toward higher education. To the extent that they have already affected education systems, these changes have exacerbated the problem of redundant capacity of staff and facilities at the primary and secondary levels and the problem of shortage of capacity in higher education. Only at the preschool level have education systems adapted themselves to reduced demand, and this adjustment occurred for entirely extraneous reasons.”
(Chawla 2007, p.217).
Esistono anche le [non-]”soluzioni” all’italiota: inventarsi lavori inutili per il personale eccedente, o lasciarlo senza far nulla, e poi pre-pensionarlo.

È sulla base delle soluzioni o non-soluzioni trovate nel settore statale, pur senza statalismi opprimenti, che aree deperiscono mentre altre prosperano.

Il Rapporto è dell’ordine delle 300 pagine, con analisi, valutazioni, previsioni, tabelle, grafici. Quanto sopra non ne è un riassunto.


Chawla, M., Betcherman, G., and Banerji, A, with Bakilana, A. M., Feher, C., Mertaugh, M., Sanchez Puerta, M. L., Schwartz, A. M., Sondergaard, L., and Burns A., FROM RED TO GRAY. The “Third Transition” of Aging Populations in Eastern Europe and the former Soviet Union, The World Bank, Washington, D.C., USA, 2007,
http://siteresources.worldbank.org/ECAEXT/Resources/publications/454763-1181939083693/full_report.pdf
(Chawla 2007).

19 June 2007

Lettera da Lhasa numero 61. Menzogne di politicanti, moralismo interessato dei malaffaristi e cecità delle plebi

Lettera da Lhasa numero 61. Menzogne di politicanti, moralismo interessato dei malaffaristi e cecità delle plebi
by Roberto Scaruffi

Sergio Romano, Gli intrecci tra finanza e politica. Minimizzare è un errore, Corsera, 17 giugno 2007
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Editoriali/2007/06_Giugno/17/minimizzare_e_un_errore.shtml
(Sergio Romano, 17 giugno 2007).

Sergio Romano, Una crisi grave e le riforme che non arrivano. Se la politica è solo potere, Corsera, 10 giugno 2007
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Editoriali/2007/06_Giugno/10/romano.shtml
(Sergio Romano, 10 giugno 2007).


La fonte di quest’offensiva propagandistica è il Corriere. È del resto funzione dei media, soprattutto dove sono organi di interessi imprenditoriali oligarchici. Berlusconi, “il cattivo”, è un imprenditore soprattutto del settore. Gli altri, “i buoni”, usano in genere i media per facilitare loro operazioni finanziarie ed industriali in altri settori. Vuoi demolire un concorrente? Ci sono mille modi, se controlli media influenti e godi d’una certa impunità sistemica perché “buono”, dunque coperto da chi ha potere istituzionale sulle procure.

Questi sono comunque solo gli editoriali d’un commentatore, già diplomatico, ora anche professore, colto, acuto e brillante in vari campi. Non quando vuole fare il moralista ed il politologo.

La Stampa è della Famiglia Agnelli. In genere si scrive famiglia senza prima lettera minuscola, solo perché i filmetti e la letteratura di diffamazione hanno sempre toccato i siciliani ed altri meridionali, mai, davvero, i torinesi, tanto meno coloro che come gli Agnelli sono stati resi politicamente e sistemicamente ancora più forti dalla scomparsa della monarchia. Un autore anglofono (forse anche altri) fece il paragone coi siciliani. Avrebbe potuto farlo anche rispetto a Famiglie anglofone. Comunque nella fantasia popolare di chi li conosce, i “torinesi” sono i buoni, non una Famiglia. Che siano presenti, ed in forze, dappertutto li rende davvero una Famiglia e ben complessa e potente.

Repubblica e relativo gruppo, pur in qualche modo nel sistema di potere degli Agnelli, è “organo” (semplificando) di Carlo De Benedetti, finanziere dalle innumerevoli attività ed interessi in vari campi, luoghi e tempi.

Il Corriere è l’organo del potere economico e finanziario dei “milanesi” (gli interessi che gravitano sulla principale borsa, città e regione industriale della penisola italica) e degli Agnelli, pur con altre partecipazioni d’altre fonti. Un vero e proprio soviet (un “sindacato”) di “padroni” potenti e ben coperti lo possiede, lo gestisce, l’orienta, lo usa per i profi fini. Una cosa molto anglofona, forse, nelle forma, sebbene i soldi da vere attività imprenditoriali spesso manchino e suppliscano i giochetti finanziari e militari. Teoricamente, il Corriere e connesso gruppo mediatico sono acquistabili. In pratica, ultimo testimone vivente Ricucci, se l’acquisti, magari ne diventi pure il principale azionista, ma “il sistema” [predatorio] non t’accetta finisci in galera e liquidato per via [extra-]“giudiziaria” (visto che poi i processi è facile finiscano con assoluzioni, dato che veri reati non ve ne sono, ma intanno hanno liquidato l’esterno non voluto). Il Corriere (l’RCS) non è dunque un semplice gruppo mediatico. È un gruppo di potere per altri fini. Non è comprabile coi soldi, seppur le azioni siano liberamente in borsa.

(Sergio Romano, 10 giugno 2007) illustra, con linguaggio piano scorrevole, davvero da favoletta, una situazione italica, oggi, secondo lui, simile a quelle del 1992, anzi peggiore. Romano non può dirlo, tanto meno sul Corriere, inoltre Romano è un fine diplomatico con l’eloquio compìto ed aristocratico del diplomatico raffinato, nel 1992 c’è stato un colpo di Stato presidenziale, promosso proprio dal blocco d’interessi che il triangolo mediatico sopra accennato ben rappresenta e di cui è garante, che ha segnato il passaggio dalla Repubblica partitica del 1948 (o, se si preferisce, dalla Repubblica del colpo di Stato anti-monarchico del 1946, quando il Re, lo diciamo senza alcuna simpatia per lo stesso, fu caricato a forza su un aereo e mandato in esilio perpetuo pur con risultati dubbi del referendum istituzionale) ad una Repubblica quirinalizia, essendo la Presidenza della Repubblica divenuta centro istituzionale e politico diretto del blocco di interessi burocratico-oligarchico corrotto-predatorio che oramai domina apertamente e direttamente la pensisola italica.

Dipinta in sintetico modo favolettistico la situazione del 1992 ed eventi connessi, Romano scrive, ed è esatto, che, come conseguenza di quegli eventi, “Non bastava quindi cambiare governi. Occorreva rifare la Costituzione. Furono inutilmente create due commissioni bicamerali. [...] Il risultato è zero.” Prosegue: “Quindici anni dopo gli scandali di Tangentopoli scopriamo che questa classe politica sta facendo esattamente il contrario di ciò che dovrebbe fare. Anziché lavorare al governo del Paese e alla riforma dello Stato occupa il potere come un territorio conquistato e sta elargendo a se stessa, come certi ecclesiastici alla vigilia della Riforma, sinecure, prebende, manomorte e vitalizi.”

È tutto verissimo. Tuttavia, è tutto falso se non si dice che il centro istituzionale e politco, dunque il vero Governo, e pure il vero Parlamento, visto che comanda entrambi, è il blocco burocratico-oligarchico corrotto-predatorio attraverso la Presidenza della Repubblica, le sue forze poliziesco-militari, le sue procure. Basti vedere, e lo può vedere chiunque, cosa possa fare il circuito mediatico-giudiziario. I media sono dell’oligarchia “privata” e non. Il Presidente del CSM è il Presidente della Repubblica, con poteri davvero assoluti, di fatto, soprattutto sulle Procure. Del resto per fare il tiro a segno con politici e statisti bastano le Procure (dunque, la “polizia giudiziaria”), coi loro GIP, ed i media. Che poi i distrutti siano assolti dopo uno, cinque, dieci o vent’anno, è irrilevante ai fini della loro liquidazione ormai avvenuta. Se puoi distruggere con facilità, ed è pubblico che ciò può essere fatto e viene fatto, puoi ricattare quasi chiunque.

Se si punta il dito, o lo si punta contro chi può davvero tutto (nel nostro caso la Presidenza della Repubblica con relativo blocco burocratico-oligarchico corrotto-predatorio), oppure si coopera di fatto a coprire le responsabilità e ad accusare chi non è davvero responsabile. Una colpa hanno i politici, ma essa nessuno la dice: essere così o terrorizzati od incoscienti, che non puntano il dito contro la Presidenza della Repubblica con relativo blocco burocratico-oligarchico corrotto-predatorio. In genere, i delinquenti od i “delinquenti” temono la pubblicità. Cominciare con lo smascherarli, col parlarne, non sarebbe del tutto inutile.

Romano, sul Corriere, fa solo demagogia in (Sergio Romano, 10 giugno 2007). Non abbiamo considerato l’Opera Omnia di Romano, per cui ci limitiano qui ai suoi due ultimi scritti sul Corriere. Del resto neppure ci interessa specificatamente Romano, quanto accennare all’operazione del Corriere, sviluppata certo non solo ne principalmente attraverso lui. Tuttavia, il linguaggio di Romano ha la forza della naturalezza. Il suo sconcerto sembra vero e si trasmette al lettore.

Si veda (Sergio Romano, 17 giugno 2007). Certo, i DS (le frazioni di centro del già ex-PCI), a cominciare i loro massimi esponenti, escono dagli eventi recentemente messi, in parte, pubblici, come dei mentitori esperti un doppi linguaggi e doppi pensieri, quelli reali e quelli per le plebi. E, tuttavia, Romano, come molti, troppi, e pure con linguaggi ben più crudi e suggestivi della pacata perfida eleganza di Romano, potevano raccontarlo per sessant’anni o 86, non solo ora, che quelli, e non solo loro, sono tali. All’improvviso, e solo quelli, invece, divengono obiettivo ed additati al pubblico disprezzo per il crimine d’aver osato impadronirsi, pagandolo, del Corriere-RCS e nel contesto, ora, d’una nuova operazione quirinalizio-burocratico-oligarchica (inutile far finta che esistano investigatori, procuratori e media che rispondano solo alle legge ed a Dio) contro “la politica”.

Può anche essere ottimo diffondere le intercettazioni. Le si rendano pubbliche tutte, col solito meccanismo “giudiziario”. Si rendano pubbliche le milioni d’esistenti. Può anche essere ottimo aprire documentate discussioni pubbliche sulle connessioni ed interferenze tra mondo degli affari e politica ed istituzioni. Ma allora perché si diffondono solo le intercettazioni di chi ha osato (non autorizzato dal sistema mafioso, per cui sono definiti “arrembaggi” o peggio) comprare il Corriere e banche e non pure, per esempio, quelle su chi, usando investigatori ed altre varie burocrazie varie dello Stato, ha operato (e certo pure telefonato, manovrato, magari corrotto) operato per tenerselo pur non avendo i soldi per difendersi da chi i soldi li aveva e rastrellava azioni?

Rutelli, Veltroni, Napolitano, investigatori e procuratori, i personaggi del patto di sindacato del Corriere, i proprietari di Repubblica, Stampa, Messaggero, od altri centri d’intersse, non fanno affari e non ne parlano con politici, statisti, burocrati vari? Alle plebi sceme sono stati improvvisamente additati alcuni cattivi da linciare in un mondo di buoni e di disinterssati. È tipico di intimidazioni o liquidazioni in corso da parte del “sistema”. Tutte le Purghe funzionano così.

Il meccanismo mediatico-giudiziario è semplice. Un investigatore fa le domande e solo le domande su chi e cosa si vuole colpire. Non ascolta eventuali testimonianze e confessioni su altri e su altro e, comunque, non le verbalizza. Usa solo il materiale investigativo su chi e cosa si vuole colpire. Lo passa o fa passare ai media. Sono operazioni con coperture sistemico-istituzionali. Un singolo investigatore facesse tali cose sbagliando obiettivo, toccando qualche “intoccabile”, o finisce in ospedale psichiatrico, o ammazzato, o comunque liquidato rispetto alle investigazioni “eretiche” sta conducendo. È successo. Ora per esempio, hanno marginalmente toccato Prodi, perché Prodi deve essere liquidato sebbene il panorama sia così desolato e desolante che non sanno bene con chi sostituirlo per essere sicuri di non danneggiarsi di più che a tenerselo ancora. Del resto, col suo club dell’IRI, neppure un Prodi è del tutto privo di potere di ricatto e di danno rispetto ai suoi.

Certo, come nel 1992 ed anni sucessivo, come già prima. Il metodo operativo è sempre lo stesso.

Le devastazioni ed il discredito del blocco di interessi burocratico-oligarchico corrotto-predatorio sono nuovamente tali che esso è nuovamente tentato da un nuovo assalto in forze generalizzato contro “la politica” per stornare su essa l’attenzione e l’isteria colelttive e per spingere su qualche suo fedelissimo. A differenza del 1992, non hanno una lira da svalutare d’1/3 come droga momentanea per le esportazioni delle proprie aziende rese strutturalmente non competitive dalla predazione e dal parassitismo burocratico-oligarchico e per tenere bassi salari, né un vasto [oggi è ridotto] patrimonio dello Stato da rubacchiare essendolo già stato allora. Si veda a chi, come ed a che prezzi sono state allora date aziende previamente ben finanziate. Come nel 1992, cercano di creare l’immagine d’una politica corrotta rispetto ad una società e burocrazie statali altrimenti sane, naturalmente con un Presidente-Monarca che si simula vittima anziché presentarsi apertamente come carnefice quale istituzionalmente, da troppo tempo, nel contesto dato, è quale massimo responsabile istituzionale dello sfascio delle strutture burocratiche dello Stato e della inconcludenza degli organi elettivi e di governo.

Al contrario, in Romano, è tutto semplice, piano, scorrevole, naturale. Davvero tutte quelle forze sane, tutte quelli potentissime Confederazioni d’ogni corporazione non sanno crearsi, tutte assieme, loro “forze sane”, un partito da 60% con cui esautorare i politicanti oggi inetti ed aprire l’età dell’oro? Che aspettano?

Un altro editorialista del Corriere, Angelo Panebianco, scriveva il 14 giugno 2007: “Quello che gli osservatori internazionali registrano è in realtà un circolo vizioso: la politica italiana è debole perché screditata agli occhi di molti. Ed è screditata perché giudicata abile a impicciarsi in ogni genere di affari ma incapace di perseguire con rigore e serietà mete generali. La debolezza, a sua volta, rafforza la tentazione della politica di occupare tutti gli spazi disponibili. Il discredito, di conseguenza, continua a crescere. E non si vedono in giro dei Blair o dei Sarkozy in grado di spezzare il circolo vizioso.”

Siccome le Coop ed i DS volevano comprarsi qualche banca di rilievo ed entrare con posizioni di primo piano nel gruppo del Corriere, ecco che ciò diviene “impicciarsi in ogni genere di affari”. In verità, qualunque cosa “la politica” faccia c’è subito qualche corporazione che starnazza e che colpisce. E chi starnazza e colpisce ha in genere l’appoggio decisivo, quando non la promozione, del centro istituzionale più potente, il Presidente e la Presidenza della Repubblica con relativo blocco di interessi burocratico-oligarchico corrotto-predatorio coi suoi apparati “militari” e media. Non si vede proprio come “la politica” potrebbe mai “ perseguire con rigore e serietà mete generali”.

Facile scrivere: “E non si vedono in giro dei Blair o dei Sarkozy in grado di spezzare il circolo vizioso.” Maccome, avete avuto dei Presidente onnipotenti, che dettavano e dettano la linea a Governi e Parlamenti: Scalfaro, Ciampi, ora Napolitano, col potentissimo blocco di potere che fa capo alla Presidenza della Repubblica, con tutte le varie Confederazioni delle varie corporazioni padronali e plebee. Cos’hanno fatto? Cosa fanno? Ah, dicono che colpa è di chi loro stessi riducono all’impotenza. Proprio vero che chi è onnipotente non viene mai messo in discussione. È invece proprio quello che andrebbe fatto. Anche se nulla serve a niente in Italiozia. L’autodistruzione non è arrestabile. Stato inventato ha Londra un secolo e mezzo fa non è mai divenuto Paese, né può divenirlo ora od in futuro.


Sergio Romano, Gli intrecci tra finanza e politica. Minimizzare è un errore, Corsera, 17 giugno 2007
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Editoriali/2007/06_Giugno/17/minimizzare_e_un_errore.shtml
(Sergio Romano, 17 giugno 2007).

Sergio Romano, Una crisi grave e le riforme che non arrivano. Se la politica è solo potere, Corsera, 10 giugno 2007
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Editoriali/2007/06_Giugno/10/romano.shtml
(Sergio Romano, 10 giugno 2007).