15 December 2014

Letter from Lhasa, number 361.
Io ho paura (1977) di Damiano Damiani

Letter from Lhasa, number 361. Io ho paura (1977) di Damiano Damiani 
by Roberto Abraham Scaruffi

Il film è ben costruito. Anche se non poteva dire di più. Lo Stato non lo avrebbe permesso ed il film non sarebbe mai uscito.

“I Servizi” non sono i soliti disservizi di disinformazione, bensì Polizie Segrete. Quelli della ‘Difesa’ sono ufficiali dei Carabinieri, di solito, in quei ruoli. “Il generale”, il capo della Polizia Segreta militare, coi suoi, non è un deviato, bensì lo Stato.

Il film non può dire che obbediscono ad ordini del Capo del Governo, del Capo dello Stato, del Ministro dell’Interno, eventualmente di quello della Difesa, e con supervisione NATO.

Il film è preciso, anche se lì racconta la solita favoletta sui neri. Non solo i neri. Pure tutti gli altri sono stati e sono manipolati, sia con contatti diretti che in altri modo, dalle Polizie Segrete Carabinieri-NATO agli ordini del governo e della Presidenza della Repubblica.

È anche ben rappresentato un certo dualismo v’era nella PS. L’ufficiale superiore in divisa ben sa che sono tutti affari di Stato e che si deve obbedienza alle Polizie Segrete Carabinieri-NATO. Il dirigente in abiti civili, il “capitano La Rosa”, evidentemente crede vi siano degli spazi di manovra.

Il giornalista di sinistra naturalmente fa parte di una macchina agli ordini delle Polizie Segrete Carabinieri-NATO. Per cui non può andare dietro ad un poliziotto che vuole parlare per salvare la pelle.

Il protagonista, Gian Maria Volonté / il brigadiere Graziano, si muove bene, nella rappresentazione poliziesco-cinematografica. Solo non capisce che telefonando al suo superiore verrà inevitabilmente intercettato, per cui va all’appuntamento con quelli mandati dalla Polizia Segreta Carabinieri-NATO per assassinare pure lui e dunque chiudere il caso. Il terrorismo è di Stato ma non lo si deve risapere. Il minchione medio deve credere alla “forze oscure”.


Le prove sono state rimosse rimuovendo i personaggi avrebbero potuto far risalire alle responsabilità di Stato e di governo. Lo spettatore ‘avvertito’, cioè il lobotomizzato medio, percepirà una delle solite storie di “servizi deviati” mentre il film dice ben di più anche se deve auto-censurarsi per poter uscire nelle sale cinematografiche.   

06 December 2014

Letter from Lhasa, number 360.
Svaniti nel nulla di Tom Perrotta

Letter from Lhasa, number 360. Svaniti nel nulla di Tom Perrotta
by Roberto Abraham Scaruffi

Perrotta, T., Svaniti nel nulla, Edizioni e/o, Roma, Italy, 2012.
(Perrotta 2012).
Tom Perrotta


Lei, Laurie, è atea, direi atea militante. O, definendosi lei agnostica, agnostica militante, di quelli lo affermano anziché abbossare. Anche se è vero che incontrandosi e scontrandosi con coloro si affermano in modo forte, atteggiandosi dunque a credenti militanti, sia forse, talvolta, e per taluni o per molti, inevitabile, affermarsi, diciamo al loro livello, con la loro stessa forza di affermazione, della loro affermazione.

C’è chi di fronte ad affermazioni forti di altrui personalità lascia perdere. È, in genere, prova di forza. C’è chi, prova di debolezza, deve affermarsi, eventualmente contrapporsi. 

L’autore si crea una protagonista demo-liberal. “Ogni fede è follia!” [non è una citazione precisa dall’autore che esprime questo concetto, a proposito della protagonista Laurie, ma costruendo differentemente la frase]. Detto ciò, credono un po’ a tutto, od a molto, purché non si parli di Dio. Si nega un Dio per crearsene mille altri. O così, in genere, moltissimi, od un po’ tutti, fanno. Se Dio è creato dall’animo umano, anche il non-Dio lo è.    

Ecco che, senza motivo, persone, le più differenti, in tutto il mondo, nello stesso momento, sparirono. Sparirono a milioni. Ora erano qui. Ora si erano come dissolte. Avvenne un 14 ottobre. L’accaduto venne chiamato l’Improvvisa Dipartita.

Ci fu chi cominciò a mitizzare gli scomparsi. Altri semplicemente li volevano ricordare. Altri ancora ne cercavano e denunciavano difetti e perversioni, anche per iscritto, su un giornaletto di un pastore od ex-pastore, giornaletto che tutti disprezzavano ma che andava sempre esaurito. Della serie: se la sono voluta.

L’autunno seguente comparvero quelli che giravano a coppie dello stesso sesso (con funzioni di ‘sorveglianza’, in pratica solo molestando, stalkizzando, gli altri), vestiti di banco, non parlavano, abitavano in proprie strutture di proprietà, non riconoscevano il potere, per quanto potevano, dunque cercavano di non  pagare tasse, non accettavano leggi e regolamenti se cozzavano coi propri usi ed interessi, e, ovviamente, donavano alla setta, chiamata dei Colpevoli Sopravvissuti, tutto quello che avevano avuto nella loro vita precedente. 

Laurie infine aderisce ad essa, lasciando così il marito Kevin, il sindaco della cittadina, ed i sue figli Tom e Jill (la figlia).

C’è pure la solita storia della congregazione, differente da quelli in bianco, nata attorno ad un uomo colpito dall’Improvvisa Dipartita e che si ritrova con qualche potere particolare, o così riesce a far credere, ma a cui il successo da poi alla testa. Non è tanto questo che lo rovina ma la solita FBI che deve distruggere tutto e tutti, tutti coloro non si assoggettino alla sua dittatura totalitaria. Lo mettono nel mirino, lo arrestano e lo sputtanano per via mediatica. Banali storie di sesso con ragazzine al di sotto dell’età del consenso che, negli USA, è più alta che altrove. Negli USA, la prosecuzione non è obbligatoria per cui, alla fine, usano questo solo se vogliono rovinarti per ragioni loro, di totalitarismo di regime. Lo Stato non ammette concorrenti! 

Tom aderisce per qualche tempo, in pratica fin dai primi passi fino al disincanto sul fondatore che si trasforma, a questa congregazione di cui vede gli inizi promettenti.

Mille storie di vita, e davvero piene di vita, con la immanenza dell’assenza, la grande assenza creata da quel 14 ottobre dell’Improvvisa Dipartita.

Le scene, o solo accenni, di sesso sono troppo terra terra per sembrare veri. Una coppia che si fa scoraggiare da due ‘bianchi’ che li seguono. Sesso orale, in tranquilla vacanza, al loro primo incontro di quel tipo. Quelli che fanno ripetitivamente, ormai da tempo, un gioco di società per scopare con chi avrebbero voluto in partenza, oppure che non fanno nulla se vengono coppie ‘sbagliate’. Lui che si masturba sotto le coperte con lei. Due uomini dei ‘bianchi’, dove l’astinenza è obbligatoria, che si sodomizzano a letto, e pure facendosi chiaramente sentire, dunque volendo essere scoperti, nella casa, un ‘avamposto’, dove abitano con un due donne della stessa setta. Il solito santone della congregazione che lui stesso ha creato, nel mondo della “libera impresa”, che si fa la corte di ragazzine da mettere incinta con la scusa che la prima vi resta sarà la portatrice del successore, del nuovo Gesù. Quella ci resta dà poi alla luce una bimba!

Su queste cose, di sesso, l’autore sembra uno Slavoj Žižek che si crede un genio osannato mentre ripete solo le solite banalità arricchite di aneddoti. Il vantaggio espositivo e psicologico è che, non scendendo nei dettagli, per non dare tinte pornografiche alla propria narrazione, per non renderla scabrosa, viene lasciato tutto alla fantasia del lettore che può anche far cadere gli accenni e concentrarsi su altri aspetti della storia e delle storie.

Tali devono essere le regole dello scrivere per case editrici, dove generi per tutti non si vogliono far trascendere un letteratura porno. E dove il destreggiarsi col porno pur non scadendo nel porno è troppo difficile per autori con altro ritmo e differente respiro narrativo.  

L’autore rappresenta invece molto bene il mondo di finzioni, come in effetti è il mondo reale nelle interazioni interpersonali accessorie, dove tutti parlano e si atteggiano mentre a nessuno ne importa nulla di nulla, se non dei propri bisogni primordiali spesso difficili a lasciar scorrere, essendo i singoli oppressi dalle consuetudini e stereotipi sociali, luoghi comuni socialmente assimilati ed interiorizzati, bisogni primordiali spesso inespressi ed irrealizzati dei quali resta tuttavia il disagio insopprimibile. 

I personaggi e le storie, sempre una scusa per esprime delle sensazioni e dei concetti, sono ben congegnati. Il libro si conclude senza conclusioni, colla vita che continua, aperta, per quello che può essere dei dettagli secondari delle esistenze.



Perrotta, T., Svaniti nel nulla, Edizioni e/o, Roma, Italy, 2012. 

05 December 2014

Letter from Lhasa, number 359. I cari estinti

Letter from Lhasa, number 359. I cari estinti
by Roberto Abraham Scaruffi

Pansa, G., I cari estinti. A faccia a faccia con quarant'anni di politica italiana, Rizzoli, Milano, Italy, 2010.
(Pansa 2010).
Giampaolo Pansa


In effetti, il giornalista politico, il che, mutatis mutandis, vale per moltissime professioni, per poter vivere come tale e sopravvivere come tale, deve essere al livello del qualunquismo medio e raccontare quello che si deve per tenere il lettore al suo naturale livello di qualunquista medio.

Come un po’ in tutta l’industria ‘culturale’, sia essa ‘pubblica’ o privata, deve sembrare che dica, e deve in effetti dire, delle banalità in un modo che sembri geniale, che le banalità sembrino delle genialate. Il recettore ha la percezione di ricevere qualcosa per i soldi e tempo investiti a recepire i contenuti gli vengono somministrati, e si sente pure adulato dal poter ricevere qualcosa da personalità gli sembrano superiori, o sono comunque obiettivamente poste in posizione di autorità rispetto al pubblico da esse dipendente. Il dispensatore è egualmente adulato, appagato, dal suo ruolo di fatto di docente, dove, innanzitutto, cosa comune tra i docenti, deve vendere sé stesso.  

È un gioco dei ruoli, come un po’ tutte le interazioni nella sfera cosiddetta sociale. Alla fin fine, è in parte casuale che uno si trovi, in una certa interazione, o magari in tutte o quasi, in posizione o di dipendenza o di autorità. Si tende ad identificare il ruolo colla persona. O la persona col ruolo. Dove il ruolo è dato. Mentre la persona diviene quella richiesta dal ruolo. È una forma di reificazione. Ma funziona così in qualunque posizione sociale o produttiva. Qualcuno ha creato una casella. In quella casella va infilato qualcuno che si fa plasmare dalla casella. Non vi è nulla di automaticissimo, sebbene poi il gioco funzioni in questi termini. Improbabile il singolo cambi la casella, casella che si è creata come è per un insieme di circostante sembra trascendano le individualità. 

Il giornalista racconta il potere come vuole apparire. Se non lo facesse, si troverebbe sbalzato fuori per non avere fatto il proprio lavoro, quello per cui è pagato.  Il giornalista deve rappresentare cose che suonino bene, creare pezzi che vengano facilmente e gradevolmente digeriti. Qualcuno, in redazione, controlla ed aggiusta tutto secondo criteri censori vari. Ma, alla base, il ‘pezzo’, su qualunque medium appaia, deve suonare bene. Le censure operano già al livello della banalità del pezzo mediatico. Spazio, toni, convenienze etc sono previamente definite. Chi prepara il pezzo opera già a livello di convenzioni, e cerca di non essere censurato e corretto, od eccessivamente censurato e corretto. Sennò, poi, il ‘pezzo’ non appare sul medium a cui era destinato. 

Quando il cronista tenta di fare lo storico ed/od il politologo diviene piuttosto ridicolo e peggio. Ad un Eugenio Scalfari magari non lo dicono che è tale, e l’industria propagandistica lo fa sembrare egualmente un genio, perché ormai è stato creato come tale ed è servito e serve ai lavori sporchi di regime, per cui le sue logorree ed eiaculazioni vengono lasciate spargersi nel nulla, tra l’incomprensione e la non lettura. Per cui, che siano sciocchezze, non interferisce comunque col regime di cui resta saldo supporto.

Non che molti supposti storici e supposti politologi siamo meglio. Anzi sono spesso ancora peggio non essendo neppure cronisti, passando dall’ideologia alla propaganda senza neppure il contorno euristico di cronache di quello il potere vuole sia di esso visto e raccontato, cioè il colore, l’immagine, i prodotti dei suoi apparati pubblicitario-propagandistici.

Pansa parla dei partiti come se non fossero macchine che i poteri hanno voluto e vogliono. Quelli delle cosiddetta prima repubblica, ma pure quelli della seconda [la prima e mezzo, visto che la Costituzione formale è poi la stessa, dunque uno straccio usabile a piacimento dai padroni inglesi d’Italiozia], li creano gli anglo-americani, che operarono in questi ambiti con tecniche di Polizia Segreta per cui ovviamente non visti e non raccontati. La DC-Vaticano avevano un ruolo, quello di riempire le istituzioni di governo ai vari livelli, a cominciare da quello centrale. Il PCI pure, quello di spauracchio per la DC-Vaticano di cui gli inglesi non si fidavano.

Non solo: l’inglese metodologicamente non si fida per cui previene creando gli antidoti, qui altre pedine da muovere per non perdere il proprio potere nei vari contesti. Gli altri, PSI incluso, erano i cespugli, talvolta ondeggianti. È anche un fatto che i poteri sia burocratici che formalmente privati poi livellino un po’ tutto e tutti al di là delle ideologie di facciata o delle genesi anglo-americane [che pur permangono nei bilanciamenti dei poteri, delle forze] ed/od interne.

Ovviamente i Pansa, non che G.P. sia peggio degli altri, discutono su quello i partiti avrebbero dovuto o potuto essere anziché spiegare quello che erano e perché. Beh, lo spiegare non lo fanno gli storici ed i politologi, o coloro reputati tali, che si occupano in gran parte della mistificazione, della propaganda. Non che sia poi una grande colpa, in termini relativi, nel contesto dato, che non lo facciano giornalisti pur scrittori di libri.

Il livello del dover e del poter essere è il livello della fantasia. Che serve per non disvelare l’esistente.

Checché ne pensi, o lasci trasparire, Pansa, la per lui guerra civile fu tra fascisti pro-tedeschi e fascisti pro-angloamericani, tra prostituiti di qua e di là. Usciti vincitori gli angloamericani, i loro fascisti, e coi ruoli decisi dai vincitori, gestirono, per quello la politica può gestire, lo Stato nelle sue varie articolazioni. Ovviamente il controllo angloamericano era ed è sia sulla politica e le istituzioni, che a livello di poteri reali economico-finanziari. Non è che per esempio Mediobanca, banca formalmente pubblica,  nasca, in regime di monopolio essendo l’unica cosiddetta Merchant Bank italica, per altri fini che il controllo stretto, angloamericano, sulle oligarchie industrial-finanziarie formalmente private. 

I partiti della cosiddetta prima repubblica vengono distrutti, coi relativi equilibri istituzionali, per decisione, o con nulla osta, angloamericano. Non esistevano forze interne che di testa loro (per quanto G.Andreotti, sulla via di divenire Presidente della Repubblica, che lancia Di Pietro, si fosse illuso) potessero distruggere i partiti per fondare e consolidare la dittatura del Quirinale compradoro, dunque sotto stretto controllo angloamericano.

Questo è un libro nostalgico. Col mito del buon tempo antico. Non è una colpa. È una scelta dell’autore, la sua percezione della realtà. Personalmente non credo a grandi differenze tra gli umanoidi, nei decenni, nei secoli, nei millenni. L’autore riferisce la sua esperienza personale che lo porta evidentemente ad altre conclusioni o percezioni. A livello psicologico, può essere, banalmente, la nostalgia per la propria giovinezza e la propria mezza età traslata sugli eventi storici.

Il PCI era una perfetta macchina nazisto-tangentaro-clientelare basata sulla falsa coscienza di tutti, suoi dirigenti e proseliti inclusi. Non a caso lo creano gli inglesi. La DC, creata tale dalla Chiesa, viene invece sfasciata dagli angloamericani che la vogliono come i loro comitati elettorali ma con la legislazione (che progressivamente peggiora rendendo qualunque atto politico criminalizzabile, ...oppure no se coperti dalle Polizie Segrete Carabinieri-NATO) e la disorganizzazione italiche.

Sansa è del tutto privo di dimensione storica, cosa del resto comune, in genere, ai giornalisti che differentemente non potrebbero fare i cronisti, i cronisti-cronisti banali-banali, e, al contrario, relativizzerebbero tutto, non venendo così capiti da lettore medio che non è che poi abbia grande livello di comprensione di questioni sociali ed istituzionali, e tanto meno delle dinamiche storiche. Certo, vi sono lettori medi magari geni in scienze e/o tecnologie, ma che, nel contempo non capiscono nulla di questioni sociali e storiche. Seguono i media per sapere cosa pensare, e cosa pensare dati i loro livelli di ignoranza o di qualunquismo in questioni sociali e storiche. Inutile immaginarsi che possano o debbano essere differenti. Le persone sono poi quelle che sono e non serve a nulla mutarle.

Un esempio. Sansa intervista Andreotti ad una Festa dell’Amicizia, precisamente il 10 settembre 1982 a Viareggio. Vorrebbe affrontare con lui la questione mafia, ovviamente al livello di comprensione suo [di Pansa] e del pubblico, mentre Andreotti banalizza e difende in modo totale sé stesso, la DC e pure gli altri partiti. E che, Andreotti non lo sapeva che le mafie ritornano con gli Alleati, che iniziano proprio con esse l’occupazione, e pure la gestione iniziale, d’Italiozia, e che dunque hanno copertura anglo-americana per cui, anche lo Stato italico volesse, non potrebbe fare nulla contro di esse, per cui le cogestisce con gli anglo-americani?! E Sansa fingeva di ignorare ciò? In tutto il mondo, in Italiozia pure, terrorismo e mafie sono create e gestite dai governi/Stati tramite le Polizie Segrete per cui i regimi negano in pubblico quello che fanno in privato, cioè in modo occulto. Si può supporre che G.Andreotti non conoscesse queste cose? Assolutamente no, anche visto che da statista ci ha sempre sguazzato nel mondo delle Polizie Segrete e della manipolazione ed uso di mafie e terrorismi. Avesse mai raccontato queste cose in pubblico sarebbe stato, se non rinchiuso, subito liquidato, messo fuori dal mondo politico ed istituzionale, ma pure da quello intellettuale che, su queste cose,  vive di luoghi comuni accettabili dal regime e dai regimi, dall’Impero. Il punto è che neppure un Sansa sa queste cose, o se le sa si è vietato di ricordarle e di pensarle, cose che, chiunque avesse un minino di dimensione, di cultura storica, non potrebbe non sapere, non potrebbe non conoscere e non esporre se avesse un minimo di onestà intellettuale. O se Sansa le conosce o le intuisce, se le nega con la sua baggianata ricorrente, nei suoi scritti, delle prove e degli indizi. È vero che su un organo di stampa, su un massa media, non si possono dire cose non provabili, salvo essere liquidati dagli stessi editori che giustamente temono cause legali. È anche vero che si considera provabile il comunemente accettato, il conveniente, insomma. Eppure, ci sono tanti modi per dire le cose, se le si comprendono, e la questione delle prove ed indizi [prove ed indizi da processo] non può, da un punto di vista euristico, essere usata per raccontare solo quello che ti fanno vedere, cioè pura propaganda, pure balle. Non che si debba inventare. Ma esistono meccanismi deduttivi che per esempio una dimensione storica affina. Non solo. Per esempio, se uno ha solo entrate da 1'000 od anche 2'000 euro al mese e si fa una casa da un milione, difficile dire che non sia corrotto o simili. Certo si può conclamare che non ci siano prove, mentre in realtà non ci sono prove che sia onesto, salvo vincite a lotterie od altri introiti straordinari. Pansa non solo è debole sulla questione prove ed indizi. Quando accenna a ciò, farebbe meglio dire che non può o non poteva dire certe cose perché suoi colleghi, di grado superiore al suo e con compiti di controllo del suo lavoro, semplicemente non glielo permettevano o non glielo avevano permesso per cui lui si censurava preventivamente. Non  solo sbaglia, è debole, debolissimo, a livello metodologico sulla questione verità o possibili o provabili verità, per cui uno si relega nella menzogna che pur non sembri tale. Appunto, manca di dimensione storica. O, se la ha, non la fa trasparire. È anche vero che, se avesse interrogato Andreotti ed altri sulla verità storica delle mafie e dei terrorismi, o lo avrebbero rinchiuso o liquidato in altro modo dal mestiere di giornalista.

Oppure si formuli una differente ipotesi. Ma non è che sappia e si mascheri per poter continuare a fare il giornalista, il cronista delle apparenze della politica. Non sa le cose. Si è vietato di saperle, che è ancora peggio. Non è sufficientemente davantologo, come moltissimi. Sta tutto sotto il naso e per questo si racconta al popolino che non lo si vede. Non è, per tornare alle questione mafie, ma pure a quella terrorismi, che le cose non siano note. Sono note. Ma le si negano per le masse, ed in queste masse ignoranti [che non vuol dire necessariamente sceme, ma che comunque ignorano queste cose] ci sono pure i Sansa.

Beh, ci fermiamo qui. I doppi o tripli e multipli pensieri non ci sono solo nella romanzeria orwelliana, bensì sono realtà immanenti e non da oggi. C’è quello che si fa e quello che si racconta, quello che gli inglesi chiamano il making sense. Il making sense è il bisogno umanoide di imbellettarsi. Si chiama mystification o mystifying, mistificazione. Appunto, non nasce oggi e neppure ieri ma è immanente nei millenni. O fa parte della psicologia umana o è il potere che vuole così, che non è poi differente. Agli effetti pratici, non è che faccia differenza se sia una caratteristica innata oppure se sia il potere che abbia pure la facoltà di plasmare la natura innata, o supposta tale, degli individui. Che gli umanoidi si sottomettano al potere ed ai poteri ha una caratteristica innata di sopravvivenza. 

Un altro esempio, dove casca o caschi l’asino, qui il giornalista. Tu G.Andreotti ordini ad un officiale di Polizia Segreta Carabinieri-NATO-Gladio di liquidare A.Moro [ché sennò sarebbe divenuto Presidente della Repubblica in prima votazione alla scadenza di Leone], ma lo vuoi liquidato con ignominia quindi dopo un lungo rapimento in cui si sputtani e si faccia sputtanare come un debole. In effetti, un Andreotti rapito si sarebbe fatto ammazzare, o non, senza concedere nulla. A rapimento in corso, ma pure dopo, tu Andreotti conclami come un’ovvietà che le vedove degli assassinati, ma pure la popolazione, non avrebbero compreso che si fosse trattato per uno statista rapito con chi aveva assassinato ed assassinava pure poliziotti e militari dei CC. Di fatto, tutti sapevano dove fosse detenuto Moro e le BR erano eterodirette delle Polizia Segreta Carabinieri-NATO-Gladio. Ovviamente Andreotti vuole Moro demolito e morto, anziché liberato. Sennò neppure lo avrebbe fatto rapire, mentre tutti sapevano che le BR avrebbero rapito ed assassinato Moro. Era mesi che lo pedinavano e senza che vi fossero interferenze di polizia. Dunque le BR erano eterodirette e coperte. Facevano quel che altri, qui G.Andreotti, volevano facessero.

Ritorniamo alla banalità, all’apparente ovvietà, del non possiamo trattare perché il popolo, e specificatamente sbirraglie e militari, non capirebbero. Tu lo hai fatto rapire. Tu lo vuoi morto. Tu sai dove è detenuto. Ma conclami che non puoi trattare. Non c’era neppure bisogno di trattare visto che tu sai dove è detenuto. Sei tu, tu G.Andreotti, che lo hai fatto rapire e lo vuoi morto. Tu Andreotti hai fatto assassinare la scorta. Per cui è tutto il gioco ad essere truccato. Lo stesso Craxi che sa, da Dalla Chiesa, dove Moro sia detenuto, e che dunque sa che è Andreotti che lo ha fatto rapire e lo vuole assassinato e poi lo fa assassinare, non può andarlo a dire in giro perché lo rinchiuderebbero e comunque lo farebbero fuori dalla politica, e non sarebbe mai divenuto uno statista, quale poi diverrà come capo del governo. Craxi lo avrà pure ben capito che quando viene fatto far fuori Dalla Chiesa lo è per quello Dalla Chiesa aveva raccontato a lui, Craxi, durante l’operazione Moro, cioè che era Andreotti che manovrava tutto. Eppure nessuno può dirlo. Ah, queste cose le racconta Pecorelli ed Andreotti, col suo blocco di potere militare, lo fa assassinare. I giornalisti non le sapevano? I Pansa non lo sapevano? Ah, no, per poter continuare a fare i giornalisti di regime devono tacere, tapparsi occhi e le orecchie. Devono tapparsi pure il cervello e così continuare a disquisire di cazzate e solo di cazzate. Manca la dimensione storica ma pure quella cronistica. Del resto, pure moltissimi storici si tappano pure il cervello per poter continuare a fare gli storici riconosciuti come tali, cioè di regime, gli storici-agitprop.

La ‘logica’ da bar, tale era ed è quella all’Andreotti, funziona. Basta non discutere i presupposti, bensì discutere sui presupposti definiti dal potere. Basta fare gli showmen degli apparati di propaganda. Che è quello fanno politici e statisti, a livello di discorso pubblico. 

Finché i Pansa banalizzano sono dei geni, e ben pagati. Raccontassero le cose, diverrebbero dei pazzi e sarebbero liquidati in vario modo. Un Pier Paolo Pasolini, che cercava e cercava, è stato intrappolato ed ammazzato da Polizie Segrete su ordine governativo. Anche se tappare la bocca lo si fa in mille altri modi, prevenendo l’ascesa, o stoppandola ed affondandola in vario modo.  

Interessante, da un punto di vista storico, che già prima della caduta del muro di Berlino, per quanto ormai fosse visibile che l’URSS e l’Impero Sovietico non reggessero più, nei centri dell’Impero si parlasse apertamente, non per le masse, di liquidare il sistema Costituzionale italico uscito dalla IIGM. Siamo nel maggio del 1989, al congresso del PSI. “Il giornalista americano mi domandò ancora: «Finirà per colpa della corruzione? Da noi si dice che i partiti italiani vivono grazie alle tangenti. La loro immoralità è dilagante. Prima o poi i vostri giudici usciranno dal letargo e faranno piazza pulita di tutto. A cominciare dai leader politici».” (Pansa 2010, p. 300 del file .pdf).

Di tangenti e ‘corruzione’ vivevano dal 1942-43, e già prima, dalla creazione d’Italiozia e pure prima. Se se ne ‘accorgono’ nel 1989, o nel 1992, o quando si voglia, è perché ci sono altri affari in gioco. La realtà, in queste cose, si crea a seconda delle esigenze di potere, del potere e dei poteri. 



Pansa, G., I cari estinti. A faccia a faccia con quarant'anni di politica italiana, Rizzoli, Milano, Italy, 2010.