30 May 2011

Letter from Lhasa, number 230. La Germania “esce” dal nucleare, ...nel 2022

Letter from Lhasa, number 230. La Germania “esce” dal nucleare, ...nel 2022    
by Roberto Abraham Scaruffi


Italiozia [lo Stato compradoro degli espedienti, che ha visto ufficialmente la luce, macabra, nel 1861], che le guerre le ha perse sempre pressoché tutte, dato che poi ha sempre, semprissimo, perso le paci, nel nucleare c’è entrata male, male per volontà politico-istituzionale ed imperiale (con magistratura al seguito ed agli ordini, ordini sottosviluppisti, come sempre), e ne è infine uscita per sempre chiudendo in fretta e furia le sue quattro (3, una era stata in pratica già chiusa nel 1982) centrali nel 1987.

La Germania, che le paci le ha sempre vinte, pur, ora subordinata all’Impero (essendo stata occupata, dal 1945), eccheppur s’è infine costruita un suo sub-Impero, “l’area euro”, ora “esce dal nucleare”, ma ...nel 2022.

In pratica, la Germania ha chiuso le 8 [7 secondo Le Figaro] centrali più vecchie. Ne restano 9. 6 dovrebbero essere chiuse entro l’anno, o giù di lì. 3 entro il 2022.

La liquidazione delle centrali più vecchie apre obiettivamente la via ad una modernizzazione del nucleare, sempre che non emergano soluzioni più economiche. Se, invece, la Germania persisterà nel dogma della liquidazione del nucleare i costi dovrebbero essere sui 40 miliardi di euro, secondo la CDU. Si dovrebbe sapere in dettaglio come li hanno calcolati e con che proiezioni.

Purtroppo, le stesse “energie pulite” sono piuttosto sporche, per il momento, e devastano la natura, pur non potendo rimpiazzare le tradizionali sporchissime, a parte forse l’idroelettrica che è del tutto insufficiente, come quantità, oltre a presentare essa stessa problemi ecologici.  

La Francia, più prudente, secondo Le Figaro di oggi 20/05/2011, s’è avviata sulla via d’una valutazione tecnica: “la ­Direction générale de l'énergie et du climat (DGEC) a demandé à ses experts de calculer l'impact sur la facture d'électricité et les rejets de CO2 d'une baisse de 5 % de la part du nucléaire. Réponse en septembre.”

In pratica, la Francia rimanda tutto oltre settembre 2011, chiedendo intanto quanto, una riduzione del nucleare, inciderebbe su costi ed inquinamento. Vogliono far sapere agli stessi rosso-verdi dell’Impero, e dei suoi petrolieri, quanto si dovrebbe pagare di più e quanto ulteriore inquinamento si avrebbe riducendo il nucleare. In Francia, nel 2010, il nucleare ha fornito il 74% dell’energia elettrica. 74%!  

Anche se preferiscono non dirlo, oggi come oggi, meno nucleare equivale, oltre a maggiori costi monetari immediati (soprattutto col petrolio sempre più caro per finanziare le enormi spese militari degli Imperi e sub-Imperi), a più cancri, più malattie, maggiore mortalità. Altri modi di produzione dell’energia elettrica sono ben più tossici del nucleare, ...oggi come oggi.

V’è poi la via mascherata di ridurre i consumi di energia elettrica. Anche gli agit-prop germanici agitano la riduzione dei consumi. Certo, che si può... Basta deindustrializzare le aree di sviluppo tradizionale ed industrializzare altre aree come Cina, India e limitrofi, o le stesse aree dell’est Europa dove la manodopera costi tutt’ora poco sebbene sia probabile una rapida lievitazione dei costi per eccessiva prossimita geografica e geoeconomica ad aree ad alti costi. La via della delocalizzazione è proficua solo se i centri di direzione-controllo e di ricerca, dunque di produzione d’innovazione, restano nelle mani di chi deindustrializza. In pratica, si delocalizza la produzione pesante ed inquinante e si mantiene e sviluppa la produzione d’innovazione scientifica e tecnologica, inclusa la potenza militare che serve a mantenere subordinati i subordinati o a non divenire subordinati. Per cui, la via della delocalizzazione è conveniente ma solo per alcuni e non necessariamente per sempre.   

In realtà, la via della localizzazione, quando non si tratti di singole ed occasionali produzioni tradizionali, espone le potenze imperiali a crearsi concorrenti in grado di autominizzarsi delle potenze imperiali stesse. È quello che è gia accaduto in Asia, nel Sud-Est asiatico in particolare.

Se gli Stati produttori di petrolio sono restati subordinati sia all’Impero Britannico che allo Statunitense, essendo stati ridotti a centri talvolta ricchi ma importatori di tutto, al contrario in aree già sottosviluppiste come la stessa Cina Popolare, lo sviluppo indotto dagli investimenti esteri ha creato una potenza sia economica che militare in grado, in breve, di automizzarsi dagli stessi Imperi e di agire contro d’essi o di subordinarli, cosa che varrebbe pure se la Cina Popolare si frammentasse con una proliferazione di Stati sulla base delle sua attuali Province e Regioni Autonome e simili. La stessa piccola Taiwan ha saputo divenire un centro di produzione di alta tecnologia di livello mondiale, non solo un centro di montaggio. Il Giappone s’era già sviluppato di suo.    

Vi sono, naturalmente, anche forme di alleggerimento dei prodotti che dipendono da innovazioni nel settore dei materiali. Così come nuovi materiali possono ridurre i consumi di energia necessari per il funzionamento di prodotti. Il campo è vasto e tocca i settori più differenti, dai tradizionali a quelli ad altissima tecnologia.

Da un punto di vista razionale (la razionalità include ovviamente l’ecologia, l’ecologia-ecologia, non la pseudo-ecologia dei rosso-verdi dell’Impero e dei suoi petrolieri), il nucleare non è in dogma come non è un dogma il suo abbandono. Si tratta di valutare i costi, tutti i costi, d’esso così come delle altre fonti d’energia, sempre che si voglia energia e non si preferisca vivere senza.