16 August 2013

Letter from Lhasa, number 327.
Resistere non serve a niente di Walter Siti

Letter from Lhasa, number 327. Resistere non serve a niente di Walter Siti
by Roberto Abraham Scaruffi

Siti, W., Resistere non serve a niente, RCS Libri, Milano, Italy, 2012.
(Siti 2012).
Walter Siti


Nel 2013, questo romanzo vince il Premio Strega. Aldo Busi, in competizione con esso, col suo El especialista de Barcelona, ne aveva detto: “«Siccome in estetica non esiste la pubblicità negativa, voglio spendere una parola in favore del romanzo di Walter Siti di cui ho letto con raccapriccio le prime venti pagine. Io non l'avrei pubblicato nemmeno dietro falso nome.»”

Lo confesso, non mi interesso né di Premi Strega né di quali siano gli autori del momento. Di fronte ad una tale dichiarazione dell’effervescente Busi, solo recentemente da me scoperta, mi sono detto che dovevo dare un’occhiata. Fortunatamente, il libro di Siti era piratato, per cui...

È un romanzo storico, storico contemporaneo. Un romanzo verità anche se salvando l’identità dei protagonisti e con qualche parte forse solo verosimile, non necessariamente vera (ma neppure necessariamente non vera), e le solite omissioni ed altri accorgimenti perché sennò il regime non ti pubblica o peggio.

Scritto in italiano sufficientemente formale, solo con qualche divagazione/libertà linguistico-letteraria, non in pingin alla Busi (io stesso quando scrivo novelle, non col mio nome, amo usare un mio pingin, pur dicendomi che lo stile pulito, da maestrine, sarebbe meglio), il libro si apre con una paginetta che si vorrebbe poliziesca, con un capitoletto socio-antropologico e si arriva alle 20 pagine lette con raccapriccio da Busi, che non l’avrebbe “pubblicato nemmeno dietro falso nome”, con un resoconto di uno spaccato dell’alta, o solo ricca, società.

Il romanzo di Siti è ben ambientato. Dal canto suo, per esempio, Busi, quando accenna ai frattali, dice che si è documentato, ma si vede che non c’ha capito nulla né s’è fatto capire nulla. Se si gusta ciò che scrive, lo si gusta non per queste sue [non] precisioni. Invece Siti transita con competenza nel mondo della finanza, nei concetti statistici e matematici che sciorina. O conosceva già tutto bene di suo, o se l’è fatto spiegare bene, o l’ha ben studiato ed assimilato per il libro. Mi sembra citi una ‘consulente’ per questo aspetto. O le ha fatto mettere le mani nella scrittura, oppure è lui che ha ben capito concetti e pratiche.   

La costruzione psicologica dei personaggi è ben curata e ricca. La scrittura scorre ordinata. Le divagazioni sono lente ed intellettuali. Il tutto è nettamente differente sia dallo stile torrentizio alla Busi che dalla semplicità, magari apparente, della letteratura anglo-americana, o di parte di essa.

Quando, verso la fine, fa andare il protagonista a letto con una bambina (12 anni e quattro mesi; sì, è sotto l’età del consenso italica di un anno e otto mesi) che si compra (come fosse una bustarella, una mazzetta, una tangente pretesa) da un cliente in posizione di inferiorità, l’autore non cede al tragico, né al macabro, e neppure al morboso et similia. Il tutto si risolve in modo piuttosto tranquillo. Chi ha traumi è semmai il protagonista, il grande, non la piccola, sembrerebbe. 

Essendo pubblicato dalla RCS, oltre che per poter anche solo immaginare di vincere lo Strega, chiaramente l’autore deve muoversi secondi i conformismi di regime. In relazione alla finanza ‘criminale’, o con connessioni criminali, cita ed ironizza su FI, l’UDC, la LN, Berlusconi, lo IOR. Ma si guarda bene dal nominare od anche solo accennare alle ‘monarchie’ od ai borghesi torinesi, milanesi, o d’altrove, a Mediobanca, alle sinistre proprietà privata del Quirinale e di Mediobanca tramite il “grande corruttore” CDB ed in altri modi. Fa pure di più. Finge simmetria buttando lì un innocuo, per lo stesso sinistro ultra-militante, “sull'incapacità delle sinistre di rimodellare il capitalismo.” Non è loro compito, né loro ambizione, né pretesa d’altri. Le sinistre sono graditissime ed indispensabili “al capitalismo”, perché le si comprano a poco, pochissimo, obbediscono solerti, si possono mandare a quel paese con facilità e rimobilitarsele all’occorrenza ché sempre anelano di servire.  

Avesse mai alluso alle vere centrali del potere d’Italiozia, in relazione ai rapporti organici con le mafie, con le criminalità organizzate ufficiali (quelle vere sono le oligarchie stesse si creano ed usano quelle ‘illegali’), non lo avrebbero pubblicato e non avrebbe visto né royalties/commissioni, né premi. Insomma, le oligarchie predatorie d’area mediobancaria, quelle che controllano Italiozia da sempre, se la sono mangiata ed ora se ne vanno all’estero mentre essa implode e loro continuano a speculare sull’implosione da loro stessi creata, sono (cosa impossibile!) presentate come estranee alle mafie, alle criminalità organizzate ...nella percezione del lettore del romanzo, com’esso mette le cose. Se le mafie sono controllate dallo Stato, tramite i CC, a maggior ragione chi controlla lo Stato controlla ed usa pure le mafie, le criminalità organizzate. Sono lo stesso blocco di potere, economico, politico e sociale. Se frazioni di esse hanno dato, in passato forse, qualche spicciolo a Berlusconi, chissà dove hanno investito ed investono tutto il resto. Di sicuro nella City ed altri centri finanziari, ma pure nella finanza ed industria a controllo mediobancario ed area, a cominciare dalla Milano del Corsera, degli arcivescovi gesuiti, dei sinistrini e sinistroni. Inevitabile!   

Non che vi sia nulla di male, da un punto di vista liberal, né da un punto di vista liberale o liberista. Il male consiste, anche su questo, nei moralismi partigiani, la trave nel proprio occhio mentre si urla al filino in quello altrui.

Hanno mobilitato migliaia di militari ed agenti per tracciare o rintracciare quel forse 0.01% e per dimostrare, non riuscendoci (non giudizialmente; per lo sputtanamento planetario poteva o potrebbe anche essere tutto inventato e fa lo stesso), fosse arrivato a Berlusconi. Non si sono occupati, non stranamente, dell’altro 99.99%. È andato e va a loro, quelli che starnazzano sull’eventuale 0.01% altrui.

Ah, questi reati, come molti altri che si sono inventati in Italiozia per montare persecuzioni e sputtanamenti, per auto-destabilizzazione, non sono tali per esempio in Gran Bretagna. Invero neppure negli USA. Questi due Imperi fanno i moralisti cogli altri, colle loro province compradore.  

L’autore può coinvolgere perfino Cuba (nulla di male, l’accenno dell’autore è plausibile), in relazione a quei traffici finanziari. Ma quelli dell’oligarchia predatorio-compradora d’Italiozia proprio no. Sono intoccabili ed, a priori, insospettabili. La censura, la mistificazione, non ammette smagliature. 

Comunque, la narrazione tiene. Il lettore colto di sicuro se la gode, al di là delle inclinazioni politiche o di convenienza sia dell’autore che di chi se lo legga. Il lettore non appena, o non almeno nelle intenzioni, colto magari neppure legge libri o non uno di questo genere. Non importa.

Il titolo, forse non dei migliori, lancia il messaggio che la vita è quella che è, cosa che ha una sua verità pur difficile, per molti ‘impegnati’, da accettare. Da accettare a parole perché poi, più sono impegnati, più... Lasciamo perdere. 

Il mondo dell’economia, non solo della finanza, è, in parte, come viene qui rappresentato. Ogni azienda, scendendo dai manuali di economia, ha una natura intrinseca che i moralisti definirebbero ‘mafiosa’. Ciò discende anche dalla psicologia umana e da come funziona lo Stato reale o realmente uno Stato. Anche se in questo romanzo, per gli accenni e per quel che non si dice, si tenta di farla apparire come una finanza sottomessa dalle criminalità organizzate. È sottomessa o le sottomette?

No, le dinamiche sono altre, secolari, immanenti. A certa propaganda ed ideologismi ha fatto e fa comodo mostrare ciò (le mafie che strabordano nell’economia e finanze ‘sane’) come un’emergenza dei tempi contemporanei. È solo lo Stato che cerca di non apparire nella sua vera natura, pur gonfiandosi a dismisura, che crea e sviluppa sue criminalità organizzate (tautologico: se non fossero sue non sarebbero criminalità organizzate, bensì solo devianze individuali!). Non vi sono dinamiche inverse o perverse dal male al bene. Sono da quello che si auto-vende come il bene a quello che viene presentato come il male, quando fa comodo presentarlo come il male. Come sempre, male è bene sono interconnessi, semplificazioni, banalizzazioni, etichettature a priori.  

Certo, “il mercato” è ottimo. Siccome nessun mercato può esistere senza regole e senza chi le faccia applicare, normale che poi ognuno si tiri il mercato, magari o inevitabilmente con le cattive, dalla propria parte se riesce. Per questo si chiamano classi dominanti.   

Il messaggio in background vuole qui essere lo stereotipo e/o l’idiosincrasia che la finanza si è mangiata l’economia cosiddetta reale e l’ha rimpiazzata con un mondo come immaginario. E che questo mondo immaginario sia divenuto facile preda delle mafie, che sono tra l’altro un’economia del tutto reale, realissima.

Non è proprio così. In Italiozia, il “mondo immaginario”, che poi è l’onnipresenza statale, per nulla immaginaria, l’ha creato la spesa pubblica spesso fuori controllo con relativa tassazione, spesa pubblica smisurata, e fuggente e sfuggente secondo suoi avvitamenti e progressive implosioni, e riduzione del sistema bancario ad appendice statale e del debito pubblico, non per finanziare imprese se non quelle delle oligarchie predatorie.

In realtà, la speculazione finanziaria ha una sua funzione equilibratrice. Che qualcuno la usi come copertura per truffare il cliente, magari non ricco, succede perché glielo lasciano fare. Vedi i vari fondi di investimento, e similari, che promettevano grandi cose, erano garantiti (a parole) dal sistema bancario e poi sparivano senza che nessuno ne sapesse più nulla. Erano e sono solo sistemi per mettere le mani sui soldi altrui e tenerseli per sempre, senza andare in galera come ladri e rapinatori proprio perché coperti dal sistema. Queste sono truffe, truffe coperte dallo Stato.

La speculazione di borsa ha al contrario una funzione equilibratrice. Si potrebbe magari discutere se uno dovrebbe perdere e guadagnare sui propri soldi, e solo su di essi, oppure se sia giusto che la professionalizzazione abbia creato figure, dall’impiegato al CEO, che guadagnano anche quando lo speculatore fallisce. È qui che si apre la via alla truffa, quando tanti sono convinti a dare i propri soldi senza avere ben chiaro, perché nessun ha prospettati loro ciò avrebbe dovuto, i rischi veri.

Nella speculazione, il gioco è infine a  costo zero, senza, in media, né vincitori né vinti. Non del tutto, essendovi costi. Calcolando le spese di funzionamento, da un punto di vista statistico vi è una piccola perdita comune, in media, che tali costi rappresentano. Se nonostante in media perdano tutti, un poco, se la speculazione finanziaria continua e fiorisce, è perché sono proprio le grandi imprese dei vari mercati che ne hanno bisogno, dunque la creano, come mezzo per ridurre il rischio delle fluttuazioni, dunque per stabilizzare i mercati e per, di conseguenza, permettersi un minimo di pianificazione aziendale senza cui le aziende non potrebbero vivere e sviluppasi.

Per cui, non v’è nulla di più falso che rappresentare la finanza speculativa come al di fuori dall’economia reale. V’è tanto moralismo anche sui “soldi sporchi”. I soldi sono sempre gli stessi. Quando a qualcuno potente fa comodo, ecco che definisce e fa definire come sporchi e/o riciclati i soldi altrui.

A parte ciò, vantaggio di questo libro è di non cadere nella tentazione del poliziesco con quelli che arrestano il cattivo del momento e col bene che trionfa, almeno in qualche microcosmo effimero. Resistere non serve (o serve, dipende su cosa e quando) perché la vita continua.

La stessa fine del racconto si esibisce in un possibile reinizio tra lui e lei, in qualche modo su altre basi, ancor più ciniche che in precedenza e per questo, forse, più vere. Non significa nulla, ma un vento di ottimismo a volte lo si deve soffiare quando i titoli sembrano qualunquisti, se non ci si vogliono inventare altre cose, chessó lui che si ‘compra’ una sposa cinese o filippina e mette su una famiglia felice od, all’opposto, che rinuncia alla sua sfera emozionale che del resto non pare particolarmente sviluppata, né coltivata, mentre lei si sposa con qualcuno ricchissimo e fa la casalinga.

Riescono bene anche le conclusioni senza conclusione, troncate, tanto un qualunque racconto deve pur finire e può finire anche senza inventarsi una fine. Occorre genialità ed un colpo di inventiva a costruire una conclusione alla Falling in Love, con Robert De Niro e Meryl Streep. Lì è consistente con la costruzione psicologica del rapporto; tutta la costruzione è geniale. Qui non so.

Uno che aveva problemi con proprio corpo e poi li ha trasposti nella sua relazione con le donne (semplifico all’estremo, vi sono anche altri aspetti), e che fa il trader di successo, va con una che gli costa un occhio della testa pur avendo lei una redditizia professione nello spettacolo, che non gli dà nulla psicologicamente e poco nel resto, neppure il possesso assoluto (anche solo assoluto-fisico) di sé stessa, ed ha reputazione universale di troia?! Ed il tutto viene rinnovato, nel finale, dopo una rottura tra i due.

Sembra più calzante con una psicologia da malavitoso, che il protagonista qui proprio non ha, secondo la narrazione. Naturalmente, è facile criticare il lavoro altrui e, poi, non è decisivo come l’autore preferisca chiudere, o meno, il proprio romanzo storico dei giorni nostri.



Siti, W., Resistere non serve a niente, RCS Libri, Milano, Italy, 2012.