08 May 2014

Letter from Lhasa, number 344.
El especialista de Barcelona

Letter from Lhasa, number 344. El especialista de Barcelona
by Roberto Abraham Scaruffi

Busi, A., El especialista de Barcelona, Dalai Editore, Milano, Italy, 2012.
(Busi 2012).
Busi Aldo


Per quanto non letterariamente rilevanti, le dediche iniziali fanno..., ...come dire in linguaggio elegante che..., che fanno..., sì, insomma, ...fanno pisciare. Dato che le dediche che possono eccitare qualcuno farebbero inevitabilmente pisciare qualche d’un altro, non è che le specifiche dediche facciano necessariamente pisciare tutti... In realtà, si potrebbe generalizzare che qualunque tipo di dedica, forse non solo le dediche a persone, faccia pisciare. Un autore serio che volesse mantenesi serio se le eviterebbe. Sono probabilmente un cedimento psicologico e culturale del Busi personaggio mediatico al Busi scrittore. 

È un’insicurezza caratteriale coprirsi dietro al lustro, o supposto tale, di altri. Gli adolescenti lo amano. Crogiolarsi in tali pratiche nella senilità non sembra scelta matura e saggia. Beh, Busi ha conservato l’irruenza di un bimbo ribelle, per quanto possa poi mai essere davvero ribelle un bimbo.... 

Esprimersi attraverso il prodotto-narrazione dovrebbe forse indurre ad estraniarsi da proclamazioni di fede immediate ed al di fuori del testo stesso, di qualunque genere esse siano. È comunque ancor più pericoloso affidarsi a personaggi correnti. A questo punto qualunque bandiera, personaggio o concetto, esterno alla narrazione stessa, lancia un messaggio magari inessenziale, e magari pure ingiustificato, rispetto all’intrinsecità dei contenuti un autore veicola o costruisce colla sua opera. Chessò, io autore potrei proclamarmi qualunque cosa, colla tecnica della appropriazione di contenuti di valore altrui, pur poi esprimendo contenuti intrinseci del tutto differenti. Un po’ è quello fa Busi. Meglio, ma anche più sicuro (da un punto di vista etico ed artistico, o scientifico), veicolare tutto attraverso la narrazione, nel momento in cui si fa lo scrittore, dunque si produce un pezzo letterario.       

Beh, ognuno fa poi quel che crede. Lui si schiera lì, con quelli lui cita, e lo fa con una dichiarazione di fede [non partitica nel senso corrente, e pure piuttosto eterogenea] affidata a ciò correntemente sono ritenuti i quattro citati, o tre di loro dato che del quarto viene usata una riflessione esistenziale apprezzabile o meno anche da chi non abbia una qualche conoscenza od opinione dell’opera ed autore da cui essa è tratta. Un’alternativa all’omissione avrebbe potuto essere un ‘subdolo’, ma pure ben più sostanziale, inserimento nella narrazione. In fondo, uno scrittore, nel momento in cui è tale, parla attraverso i suoi scritti. Lui sente il bisogno delle bandiere fuori dall’uscio. Un ‘fascista’ [tale lo definirebbero i compagnuzzi sulla sola base di ciò e di come scrive Busi] che deve fare l’inchino, o qualche inchino, a sinistra, o a quella viene ritenuta la sinistra inventata, o fatta inventare, dagli inglesi, a Salerno, nel 1944, dal loro Palmiro Togliatti, per la loro Italiozia in via d’occupazione.

A parte questa divagazione iniziale (quattro immagini di pochissime o poche parole uno potrebbe anche non notare - beh, anche le bandiere fuori da un edificio qualcuno potrebbe non notarle, a parte chi del mestiere o dei mestieri di mettere il naso nella coscienza altrui), se non altro l’autore ti porta subito nel discorso, in un qualche discorso che comincia a snocciolarti sotto il naso, negli occhi e nella mente. Anche quando tenti di attardarsi in descrizioni barocche, una benefica logorrea prende subito il sopravvento e con essa ti sommerge.

Si è vero, la soluzione sta dentro di te ed in quello che tu fai, non nella retorica della crisi, del “se c’è la crisi, io che posso fare?”. ...C’è sempre la crisi, secondo le propagande ufficiali, secondo i media, d’Italiozia... Appunto, non è vero e lui te lo dice. Tu sei tu, ed inizia dunque da te, anziché buttarti via ulteriormente! Busi è un individualista e lo conclama in continuazione. Non ti imbroglia coi collettivismi per cui la soluzione starebbe sempre altrove, cioè da nessuna parte. Le masse non hanno mai risolto alcun problema, a parte per gli imbroglioni o gli affaristi sappiano e vogliano manipolarle. 

Il richiamo a Joseph Marie de Maistre indica [forse... ...andrebbe esaminato e riesaminato quel che Busi snocciola sul personaggio, ed anche così non se ne caverebbe nulla, data l’ambiguità sulle sue vere intenzioni magari neppure vi sono!] un Busi che si muove fuori dalle convenzioni ipocrite e false, connettendosi alle permanenze storiche del mondo e delle cose. In effetti, si dice e ridice, si dicono e ridicono mille balle ‘democratiche’ e libertarie, ma il mondo è restato fermo alle subordinazione alle gerarchie di sempre, anche se ora con nome cambiato e tanta tantissima propaganda per mascherare che non è cambiato nulla nelle interazioni tra soggetti e classi, o categorie. Allo stesso tempo, citare de Maistre, forse per ridicolizzarlo, è pure esibire l’idiozia savoiarda di fatto nobilitandola. No, de Maistre non è “la reazione”. È solo non pensiero. Un ometto di regime che ha scritto e che qualcuno ha pubblicato perché non avevano di meglio. Il che è tutto dire, sui domini dei Savoia, sui loro funzionari, sui loro intellettuali. Lo si compari, fosse mai possibile una qualche comparazione, con l’intellettualità inglese, dell’Inghilterra sceglie di rompere col sottosviluppo ed imboccare un corso sviluppista. Appunto... chissà perché il Busi lo tira fuori. Meglio di quelli che dovevano almeno nominare Gramsci per ingraziarsi un PCI che di gramsciano non ha mai avuto nulla. O conosce bene la materia, oppure casualmente si era imbattuto nel savoiardo e lo ha citato per imbastirci sopra un pezzetto della sua narrazione. Busi non è di quelli abbiano bisogno di nominare Gramsci. I tempi sono altri. E poi ha già messo sulla porta, o sul davanzale, pur dopo un’oligarca burmese tanto adorata dall’Impero (almeno in apparenza), un giudice della Corona ispanica, e prima di un sognatore anarco-libertario statunitense, un Ingroia. I gusti sono gusti. Anche i tempi. 

Nella sua scrittura torrenziale, Busi passa con naturalezza dello “specialista di Barcellona” (che è un professore universitario specialista di madrigali portoghesi, di una sessantina d’anni, che l’autore disprezzava e ne era incomprensibilmente, dice, ricambiato, in procinto di sposarsi con un giovanotto di 28 perché questi potesse subentragli, un giorno, nel vantaggioso contratto d’affitto dell’alloggio dove convivevano da sei anni) all’arte di pisciare per strada, nei giardino, contro od in prossimità degli alberi.

Sì, Busi decide, alla fine, masochisticamente di andare ad alloggiare da questi e convivente, anziché in albergo, per quel suo soggiorno a Barcellona. Gli costa ben di più, ma ciò è quello il Busi vuol fare e fa, far loro la domestica, la domestica-mamma ed a proprie spese ovviamente, visto che i padroni di casa sono piuttosto esigenti oltre che dei perfetti pezzi di merda. Dovrebbe essere una caldissima primavera del 2010, se sono riuscito a districarmi nelle sue tutt’altro che lineari torrenziali e divertenti elucubrazioni. La data non è comunque importante. Siamo ai giorni nostri, non decenni o secoli fa.

Scene da un matrimonio tra il suo specialista e la moglie anch’essa professore, anzi professora, d’università, di matematica, d’una decina d’anni più di lui. Lui che si scopre, o forse solo si disvela, gay e lei che non vuole il divorzio ma solo un appartamento più grande perché lì lui possa gayeggiare nella casa comune, coi due figli. Poi, accettato il divorzio, lei si procura uno ricchissimo di una ventina d’anni più vecchio di lei. Beh, le donne cercano la sicurezza, per quanto non è affatto detto che pure lo spirito maschile la disdegni. 

All’Especialista e famiglia aggiunge, come ulteriore protagonista del suo scritto, una vicina di casa, Hada Espejismo, la Fata della candeggina, con cui lui, l’autore, fraternizza. Tra donne... Anzi, tra donne ed aspiranti donne, come Busi si presenta nella sua relazione con la vicina di casa dell’Especialista.

E ci si trova in un’altra opera sociologico-filosofica dell’autore che fa costantemente lezione sul suo modo di vedere le cose, con la trama solo come pretesto per tali disquisizioni.

Stile eccessivo?! Quando l’autore fa un po’ il gradasso e lo fa vedere, è facile definire uno stile come eccessivo.

Più che aforismi e battute, per quanto abbondino, il suo è uno stile torrentizio senza l’italiano da maestrine ma, al contrario, sufficientemente libero come si confà a tal modo di scrivere. Beh, uno potrebbe scrivere denso pure secondi i canoni della grammatica e della sintassi. È questione di esserne capaci e di volerlo. Spesso si fa di necessità virtù. Quando uno si è fatto un nome, dunque è entrato od è stato fatto entrare nei giri commerciali, poi gli incensatori di vocazione o per interesse compaiono come i funghi dopo la pioggia.  

Il presente compulsivo della scrittura?! Beh, lo stile torrentizio tende ad essere presente, visto che ti scorre impetuoso sotto il naso, qualunque siano i tempi dei verbi.

Fondazione del punto di vista?! Perché, il punto di vista, necessita di essere fondato?

Scheletri luminosi del metalinguaggio? Metalinguaggio o proprio linguaggio come linguaggio oggetto definito attraverso la supposizione di una lingua italiana come metalinguaggio? Od il proprio linguaggio come metalinguaggio avente come linguaggio oggetto la propria visione del mondo? O, più banalmente, uno stile espositivo sufficientemente libero senza attenersi ai formalismi della lingua. Ciò che rende il tutto sia più ostico che più denso, o più denso ma meno scorrevole se non abbandonandosi ad una lettura torrentizia senza porsi troppi problemi di comprensione razionale nutrendosi invece dei suoni che si creano nella proprie mente che scorre le parole e le frasi del testo.

Lo stile messo in esercizio, o lo scrivente o scrittore che si diverte, sembra, con le stesse ambiguità escono dallo scrivere? Ma anche l’affermazione di un linguaggio espositivo costruito con parole ed espressioni che si sovrappongono e cozzano tra di loro, che non si riesce a superare o semplicemente non lo si vuole, non lo si vuole nel senso che proprio non l’autore non ci prova, non ci vuole provare o non riesce.

Alterità linguistica?! Giochetti di parole, battute, trasformati in letteratura. In effetti sono letteratura, essi stessi quando fatti testo scritto. Cosa è altro e cosa è identico quando si scrive? Quali linguaggi sono identici e quali altri?

Il ludo verbale?! È che magari non sa scrivere in altro modo. Si può fingere diletto perché manca la policromicità espressiva di un vero scrittore, sempre che esistano i “veri scrittori”. In Busi, l’immaturità espressiva è evidente. Non è costruita, come lo sarebbe in un “vero scrittore”. Ma alla fine uno scrive come sa, e viene apprezzato o meno su questa base, per quanto l’industria culturale segua proprie logiche ed imponga gli autori.

Realtà manipolate?! È la logica della scrittura crearsi le realtà si desiderano o si desidera rappresentare. La scrittura, come qualunque linguaggio, è manipolazione. Fa esistere quel che vuole per il solo fatto di raccontarlo, di dirlo.

Sociologo e filosofo ma non scrittore?! Quale è poi la differenza, salvo forzare le conoscenze nei cunicoli ristretti delle discipline formalizzate?

Modo di scrivere manierato?! Forse è l’autore ad esserlo, per cui si limita ad esprimere sé stesso con naturalezza. 

Pagliaccio delirante ed arrogante?! Che scrittore ‘serio’ non lo è?



Busi, A., El especialista de Barcelona, Dalai Editore, Milano, Italy, 2012.