06 November 2006

Lettera da Lhasa numero 36. Trappole della disuguaglianza e politiche dello sviluppo

Lettera da Lhasa numero 36.
Trappole della disuguaglianza e politiche dello sviluppo

by Roberto Scaruffi


Rao V., On "Inequality Traps" and Development Policy, Africa Region Findings, 268, November 2006, The World Bank Group,
http://www.worldbank.org/afr/findings/english/find268.htm
http://www.worldbank.org/afr/findings/english/find268.pdf
Vijayendra Rao

Secondo Rao, le trappole della disuguaglianza consistono in disuguaglianze che si riproducono attraverso le generazioni. Queste trappole della disuguaglianza sono differenti dalla trappola della povertà. Per Rao, se, nella trappola della povertà, il povero resta povero proprio perché è povero, invece, nelle trappole della disuguaglianza, i poveri sono poveri perché i ricchi sono ricchi. Dunque, nelle trappole della disuguaglianza, ricchezza, potere e status sociale interagiscono sia per proteggere il ricco dalla mobilità verso il basso, che il povero dalla mobilità verso l’alto.

Per cui, sono i blocchi alla mobilità sociale che creano sia la povertà cronica che la ricchezza cronica. Inoltre, una società ed un’economia senza mobilità interne sono complessivamente meno ricche, o globalmente più povere e subordinate, nello scenario mondiale. Per cui, tutti sono o più poveri o meno ricchi, sebbene il ricco sia garantito nella sua ricchezza relativa. Ed anche il povero, o l’intermedio, è “garantito” che resterà povero, o in posizione intermedia, salvo farsi largo, in taluni casi, in modo tuttavia non istituzionalizzato: in attività, lavori e “professioni” marginali e, comunque, senza venire realmente accettato nei circoli chiusi del potere e dei poteri.

Rao cita l’esempio delle società patriarcali, in cui le donne si vedono negati i diritti di proprietà e di eredità, così come si trovano in condizioni di ristretta libertà di movimento a seguito di norme sociali che creano spazialità separate per uomini e donne. Ciò riduce le possibilità per le donne, al di fuori del matrimonio, ed aumenta la loro dipendenza dagli uomini, escludendole da ogni decisione rilevante sia in casa che fuori. Nell’ottica ricchezza-povertà, in tali sistemi, gli uomini sono “i ricchi” e le donne “i poveri”. Se tali meccanismi si riproducono di generazione in generazione, ecco creata una trappola della povertà per le donne, trappola della povertà che persiste e si riproduce nel tempo.

Secondo Rao, gli stessi meccanismi si possono creare tra classi ricche e classi povere. Se il lavoratore agricolo di un grande proprietario fondiario resta analfabeta e malnutrito, magari pure indebitato con lo steso proprietario fondiario, è improbabile che egli ed i suoi discendenti possano rompere il ciclo della povertà. La formalizzazione di gruppi dominanti e di gruppi subordinati, eventualmente caratterizzati da appartenze di casta e razziali, con relativi vincoli, rafforza la loro perpetuazione intergenerazionale.

Rao ricorda come le reti sociali cui possono accedere i poveri siano differenti da quelle cui possono accedere i ricchi. Ciò impedisce al povero di uscire dalla povertà, così come mantiene il ricco nella ricchezza. Le connessioni socio-familiari, o l’assenza di connessioni socio-familiari, sono più importanti delle capacità, anche quando capacità riescano a farsi largo all’interno del ciclo della povertà. Ciò vale a livello di formazione scolastico-professionale, come a livello di collocazione lavorativo-professionale. Le connessioni sociali aprono porte e riducono vincoli. L’assenza di connessioni chiude porte ed aumenta i vincoli.

Per cui, scrive Rao, le connessioni rappresentano una forma di capitale che è differentemente distribuito e di cui, quindi, si può usufruire, o meno, differentemente a seconda della propria collocazione socio-familiare. Inoltre, esistono forme di internalizzazione psicologica delle proprie origini sociali. Aspetto che riduce le stesse aspirazioni degli appartenenti alle classi inferiori, mentre mantiene alte le aspirazioni degli appartenenti alle classi superiori.

Rao indica, ma è tautologico, la soluzione, a livello di politiche, di definizione ed attuazione di politiche, innanzitutto nel riconoscimento del relativo depotenziamento dei deboli o subordinati, che conduca nell’inclusione degli stessi deboli e subordinati nella definizione di politiche che creino un’eguaglianza d’azione o d’iniziativa relativamente agli strati superiori. Ciò che Rao chiama partecipazione o iniziative partecipative o “democrazia deliberativa”.

In realtà, l’inclusione del debole nel processo elaborativo e decisionale è la stessa logica dell’azione sindacale. Il sindacalista viene cooptato, in parte, a livello di consumi e d’opportunità dei discendenti, di fatto viene comprato, dalle classi superiori perché loro possano restare superiori attraverso meccanismi di controllo sociale, d’elemosine, per le classi inferiori perché restino inferiori e felici d’esserlo, senza nessuna vera mobilità sociale. La mobilità sociale è la vera rottura della logica di classe trasformata, per esempio grazie ai cosiddetti movimenti socialisti e comunisti creati dallo stesso Capitale più parassitario, in vera e propria logica di casta. I cosiddetti movimenti socialisti e comunisti, ma anche altri, sono stati e sono meccanismi di corruzione materiale, e quello che è ancor peggio, psicologica, dell’oppresso per dare ad esso qualche contentino materiale ed il miraggio d’un paradiso terrestre che mai arriverà. Mentre la vera rivoluzione-disgregazione e cambiamento dello stato di cose presente è far saltare la barriere alla mobilità sociale. Che, tra l’altro, come già detto, aumenta la ricchezza complessiva. Di certo, alla fine, la distribuisce pure più equamente e più paritariamente della logica di casta.

La stessa logica sindacale o parasindacale si crea a livello globale, dove caste superiori di paesi poveri si ergono a paladini del “terzo mondo”. Il problema è la mobilità sociale interna e, connessa, l’assenza di mobilità a livello globale con imperialismi decadenti ed aggressivi che si fanno paladini dell’immobilismo in nome della stabilità, cioà della preservazione del loro dominio, ed in nome della pace, cioé la minaccia di scatenare guerre anche globali se la loro superiorità militare viene messa in discussione ed avviata a superamento. Anche qui, l’innovazione creatrice d’opportunità è la mobilità che crei gerarchie differenti ed aperte, non la cooptazione di caste inferiori servili alla tavola, o nelle cucine, delle caste dominanti.

Che si passi, in tal modo, sia all’interno che a livello globale, a forme differenti di dominio e controllo è del tutto inevitabile. Da non confondersi dominazione e controllo con trappole della disuguaglianza, come Rao fa. Soppressione della disuguaglianza sociale, l’imposizione dell’assoluta eguaglianza tra individui differenti, significherebbe società ed economia stazionarie, sopprimendo pulsioni sia sociali che personali al miglioramento. Di fatto, ci si condannerebbe tutti e ciascuno, al regresso ed alla decadenza. Il problema non sono le disuguaglianze ma l’assenza di mobilità sociale che crea trappole della disuguaglianza. Il problema è la trappola ed il relativo intrappolamento, non le disuguaglianze.

La penisola italica è, per esempio condannata alla decadenza ed alla disgregazione statuale, ormai piuttosto rapide ed evidenti, proprio perché, dalla sua unificazione in singolo Stato, la monarchia piemontese, poi romanizzatasi (o romaneschizzatasi), ed i suoi successori al Quirinale si sono limitati ad assemblare le caste chiuse già esistenti, nelle varie nazioni della penisola, in un fascio autopreservantesi, stato di cose che ormai cozza contro un mondo sempre più mobile, o meno immobile, anche nelle aree tradizionalmente più mummificate. Mentre l’Inghilterra, ed aree limitrofe, ha nei secoli, oltre a dominare il mondo, sopravanzato e dominato la stragrande maggioranza dell’Europa continentale variamente asserragliata nella difesa di caste immobili, proprio perché l’Inghilterra ha sempre goduto di una grande mobilità sociale all’interno d’una struttura di classe apparentemente immutata. La struttura è immutata, non la sua composizione interna ed la conseguente mobilità verso l’alto e verso il basso di singoli da una classe all’altra. Aspetti istituzionali si combinano con mentalità e pratiche diffuse, sia dove vi siano culture della mobilità che dove vi siano culture dell’immobilità sociale.


Rao V., On "Inequality Traps" and Development Policy, Africa Region Findings, 268, November 2006, The World Bank Group,
http://www.worldbank.org/afr/findings/english/find268.htm
Vijayendra Rao