Letter from Lhasa, number 232. L’ardito d’assalto di regime Ernesto Galli della Loggia s’inventa i fasulli pilastri della conservazione italiotica
by Roberto Abraham Scaruffi
Il Corriere della Sera, sommo organo tradizionale delle oligarchie compradoro-sottosviluppiste lombarde e nordiche s’esibisce, da sempre, nel solito orientamento ideologico “colto”, per chi ne legga pure gli editoriali. V’è una linea politica dei media che s’esprime attraverso le scelte di cosa pubblicare o meno, e come, dai titoli, ai contenuti dei testi, allo spazio occupato. Vi sono poi le razionalizzazioni della stessa presentate come colte ed espresse attraverso gli editoriali. L’editoriale (in genere in prima pagina, per quanto non necessariamente e/o non solo), ovviamente anche altri spazi e pagine si prestano all’orientamento ideologico del lettore volenteroso, deve non tanto convincere quanto dare argomenti presentati come del tutto ovvi e naturali, colti e coltissimi, per il lettore che voglia sentirsi confortato in sue percezioni istintuali e, eventualmente, farsi portavoce attivo della politica del giornale.
Del resto, i media servono a plasmare le menti. Le stesse notizie non esitono al di fuori della loro interpretazione. Un’enunciazione è già un’interpretazione. Vi sono scelte su su cosa “informare” e come. Per cui, per gli editoriali, pure per altri spazi più ideologici del quotidiano o altro media, si affidano a penne di “nomi” o di chi possa rapidamente divenire un “nome”. Gli accademici sono una categoria privilegiata, per quanto non l’unica, da cui prelevare penne desiderose di mettersi a disposizione. Galli della Loggia, che ormai troneggia da lungo tempo sul Corriere della Sera, quasi da due decenni, è uno di questi accademici. Ve ne sono altri. La varietà permette di meglio coprire vari aspetti della linea del giornale e rende pure più semplice sostituire chi, per qualunque motivo, non servisse più o non potesse più applicarsi nel servizio.
In gran parte è tutta una finzione. Gli interessi di chi controlla il quotidiano vengono presentati come linea politica lungimirante, quasi filantropica, al servizio di un qualche inesistente, soprattutto in Italiozia, bene comune. Gli intellettuali che si prestano a questo lavoro ( un po’ tutta la produzione intellettuale ha aspetti ideologici vari, seppur una vera produzione scentifica dovrebbe prescindere dai fini, dal voler andare a parare da qualche parte) sono lautamente pagati e ne hanno vari benefici accessori. Mentre se sgarrano possono venire rapidamente liquidati e dimenticati, soprattutto quando siano al servizio delle oligarchie chiave di regime. È il caso di coloro vengano reclutati dal Corriere della Sera.
Per chi venda la sua penna per quel tipo di servigi, chiave è scrivere delle cose che sembrino sensate e scientifiche, meglio se suadentemente asettiche, e riuscire ad interpretare le necessità dei commitenti, che sono, appunto, coprire loro interessi materiali, di bottega, dietro delle ideologie che non sembrino solo sofismi di copertura. Si tratta, in fondo, di un lavoro liturgico per turlupinare i lettori e soddisfare i committenti. È quello fa qualunque propagandista di partito.
Il capitalismo italiotico è, storicamente, quello che è: socializzazione delle perdite e garanzia di Stato dei profitti. È un capitalismo di parastato e di tipo sottosviluppista pur ai confini di aree di alto sviluppo, dunque mascherato nel suo sottosviluppismo cronico. Del resto, la genesi dello Stato italiotico è quella che è. Viene creato nel 1861, con intermediazione francese, a seguito di una tipica operazione terroristica britannica. È storia. La si conti con le favole di mai esistite rivoluzioni nazionali italiche. Sono favole. È la classica propaganda di Stato per inventarsi una coesione nazionale non è mai estita né esiste. Non c’è un popolo perché non Vi sono delle vere oligarchie. Non c’è una vera oligarchia nazionale e nazional-sviluppista, perché non c’è un popolo, una nazione. V’è un popolo solo nel senso tecnico-giuridico di “cittadini”, sudditi, di uno Stato.
Infatti, Italiozia è solo uno Stato, non un paese nel senso inglese di country. Al di là delle chiacchiere dei propagandisti, non esiste un senso di appartenenza. Non esiste ai livelli bassi. Non esiste ai livelli alti, di direzione. Persiste un senso di frammentazione che, tra l’altro, il bloccato “miracolo economico” degli anni ’50, bloccato su intervento dell’Impero, ha lasciato intatto. Al contrario, sebbene la cosa non sia meccanica, un miracolo economico prolungato sull’arco di decenni può costruire un senso di appartenenza, di impresa comune, dove questo non esistesse precedentemente. Non sono guerre e rivoluzioni (le rivoluzioni non esistono, sono immagini propagandistiche ex-post) che creino necessariamente una nazione. È il convolgimento di tutti e di ciascuno in un’impresa comune di ampia portata.
La meridionalizzazione delle burocrazie statali non ha creato un’identità. Ha solo accentuato la inefficienza delle già corrotte burocrazie savoiarde. La meridionalizzazione, che è certo una democratizzazione (coi suoi decisivi aspetti corruttivi quando essa sia fine a sé stessa), ha esteso costi, inefficienze, corruzioni dello Stato e di quella viene impropriamente chiamata società. Di società ne resta sempre poca, pressoché nulla, quando lo Stato si estenda sia come poteri che come dimensioni. Stato e societá sono antitetici, checché ne dicano. Anche democrazia e libertà sono antitetiche per quanto la propaganda, le chiacchiere, le usino confuse, sinonimo l’una dell’altra, dunque di nulla.
L’editoriale del 12 giugno 2011, di cui al link, “spiega”, non spiegando in realtà nulla, perché il blocco burocratico e “capitalistico” parastatale di regime non voglia ne possa attuare alcuna riforma strutturale. Naturalmente, “spiega” tutto mentendo e dando la colpa a chi non può nulla anziché alle onnipotenti oligarchie compradore di regime, che essendo onnipotenti compradore sono onnipotenti solo finché servono l’Impero, i due Imperi, il britannico e lo statunitense, e ne profittano per loro stesse, del loro servaggio, a discapito di tutti gli altri.
L’idea forza, che qui è una debolezza, è, in Galli della Loggia, che non si possano fare “le riforme”, che esse non si facciano, perche esse sono impopolari. Non è dunque “colpa”, o interesse, del blocco burocratico e “capitalistico” di parastato compradoro. La colpa e degli altri, non degli interessi di cui il Corriere della Sera è uno dei due organi principali, con laRepubblica, bensì degli altri, della gente, di chi non può nulla. Loro, gli illuminati delle burocrazie e del capitale, le vogliono. La gente non le vuole. Le istituzioni le controllano loro e sotto la supervisione ferrea dell’Impero. Il popolo vota senza contare nulla, visto che poi le politiche dei governi sono pressoché le stesse, chiunque governi formalmente. E, tuttavia, per Ernesto Galli della Loggia, chi può e non fa non ha colpa. Chi non può ha colpa che chi può non faccia nulla. Ernesto Galli della Loggia dà veramente il meglio di sé!
Il governo reale e le sue istituzioni di riferimento non sono comunque sottoposti ad alcun giudizio elettorale periodico. Il governo reale non fa “le riforme” e neppure le fa fare ai governi formali ed ai parlamenti. Il governo reale Quirinalizio ha strumenti terroristici decisivi con cui implementa l’immobilismo sottosvillupista voluto dall’Impero: le Polizie Segrete Militari-CC-NATO con procure annesse.
Eppure, la colpa è, secondo Galli della Loggia, della gente che non le vuole. Le riforme sono impopolari. Ecco perché il governo reale, di cui il Corriere della Sera è uno degli organi, non le fa. Sarà la “forza” del pensiero nullo, quella che trasuda da tali “geniali” argomentazioni editoriali.
Un’altra mistificazione di fondo dell’argomentare di Ernesto Galli della Loggia è “le riforme”, l’ammucchiata, cioè confondere la principale con le conseguenti, metter tutto assieme, secondo già gli slogans delle propagande politicantiche.
Non sono tutte uguali, “le riforme”. Esistono delle precondizioni per iniziare un vero processo di modernizzazione. La riforma delle riforme, e sarebbe dovere della politica, se l’Italiozia non fosse uno staterello compradoro, sarebbe quella istituzionale.
Il regime partitocratico e la Costituzione del 1948 sono prodotto dell’occupazione anglo-americana, che implementa gli accordi della Conferenza di Teheran di fine 1943. Il prodotto è un regime Costituzionale pasticciato, debole, tipico di un’area sottosviluppista, cioè da mantenersi in posizione geneticamente subordinata. Per cui, Italiozia, che già non aveva una vera classe dirigente, un’oligarchia sviluppista (contrariamente a Giappone e Germania, per esempio), viene pure dotata di una struttura Costituzionale che peggiora quella precedente, in senso sottosviluppista come conseguenze economiche.
La partitocrazia italiotica scaturisce dagli accordi di Teheran di fine 1943. Cessati quegli accordi per cessazione di uno dei contraenti principali, l’impero Sovietico, la partitocrazia italiotica viene affondata e sostituita formalmente, nel 1992-Capaci, con la dittatura Quirinalizia.
L’Impero vieta da sempre ogni radicale modernizzazione italiotica. La vietava con la partitocrazia. La vieta in regime di dittarura Quirinalizia. Il Quirinale, con Polizie Segrete Militari-CC e procure annesse, come massimo centro compradoro, come governo reale d’Italiozia che tiranneggia i governi formali e gli stessi parlamenti, impedisce, come voluto dall’Impero, ogni riforma istituzionale.
La Costituzione era già stata modernizzata in senso radicalmente maggioritario e governista nel 2005. Sarebbe stata la base indispensabile per ulteriori riforme Costituzionali governiste e per le riforme modernizzatrici che solo un regime maggioritario (mai esistito dalla fine della guerra od oggi) può realizzare in un contesto come l’italiotico. Maggioritarismo e governismo non sono conseguenza di leggi elettorali come fanno dire, da sempre, a pseudo-politologi al soldo. Sono conseguenza, o meno, della struttura Costituzionale e solo d’essa.
La Costituzione materiale d’Italiozia è, dal 1992-Capaci, una dittatura Quirinalizia compradora. La sua Costituzione formale, pasticciata e confusa, ma che, tra l’altro, fa il Presidente settennale della Repubblica dittatore assoluto della magistratura, procure incluse, ha permesso questa evoluzione della Costituzione materiale dalla partitocrazia compradora alla dittatura Quirinalizia. La Costituzione del 2005 istituiva l’elezione diretta del Primo Ministro e privava il Presidente della Repubblica del potere di manipolare parlamenti e governi, per cui lo indeboliva nei suoi poteri terroristi (l’uso delle Polizie Segrete Militari-CC-NATO, con Procure annesse, per sovversione politico-istituzionale). Questa restaurazione di governi e parlamenti apriva la via ad ulteriori riforme istituzionali, oltre che a veri governi con reali poteri di governare veramente ed efficientemente senza continue interferenze e terrorismi Quirinalizi. Questo era inaccettabile per il l’Impero e per suo blocco Quirinalizio-compradoro.
Il veto assoluto dell’Impero produsse un’ossessiva campagna mediatica contro la riforma Costituzionale del 2005 che venne massicciamente cassata con il referendum Costituzionale anti-promulgativo del 2006. Fu la croce finale sulle riforme impossibili dell’Italiozia compradora e sottosviluppista e che lo vuole rimanere per il sado-masochismo del servaggio all’Impero senza vere contropartite. L’ossessiva campagna anti-modernizzatrice fu proprio condotta con l’argomento chiave che non si poteva né doveva avere un governo che governasse davvero perché il centro di potere reale doveva restare un Quirinale compradoro settennale (come Presidente in carica) garante del sottottoviluppismo. Ovviamente non usarono queste formulazioni esplicite ma delle metafore che la grande maggioranza si bevve. Prodigi della propaganda e del terrorismo CC-procure agli ordini Qurinalizi per cui ogni votazione diviene una crociata contro il già imprenditore che si sognerebbe di governare davvero e di creare un sistema Costituzionale dove i governi governassero ed il Quirinale non potesse interferire con governi e parlamenti! Ed ottennero un plebiscito contro la modernizzazione, per il sottosviluppismo.
Altre province dell’Impero, dalla Corea del Sud alla piccola Taiwan, sono diventate potenze industriali e tecnologiche in pochi decenni. Germania e Giappone lo erano già e lo sono restate ed hanno progredito pur sotto la devastante occupazione anglo-americana. L’Italiozia, ancor più in regime di dittatura Quirinalizia, ha liquidato qualche residuo settore di relativa eccellenza tecnologica, subisce la concorrenza delle aree emergenti, non è competitiva, e lo è sempre meno, rispetto alle aree di avanguardia tecnologica. Resta con uno Stato mastodontico sempre più opprimente, quanto inutile e dannoso, che fagocita gli stessi centri di piccoli e media imprenditoria privata magicamente soppravvivono e si riproducono in ambiente avverso. Non sono comunque essi che producano e sviluppino un’eccellenza sistemica.
L’Italiozia continua a pagare sia l’arresto, voluto dall’Impero, del miracolo economico degli anni ’50, seppellito per sempre cogli anni ’60 e seguenti, che le varie liquidazioni “giudiziarie” (volute dall’Impero ed implementate dal governo reale) di ogni possibile centro di vera concorrenzialità internazionale, che il veto dell’Impero ad ogni riforma Costituzionale che, sola, potrebbe creare governi capaci di governare e rispondendo agli elettori e dunque, forse, capaci di svincolarsi, almeno un po’, dai veti sottosviluppisti dell’Impero.
Ernesto Galli della Loggia confonde e mente, e non potrebbe non confondere e non mentire scrivendo su queste cose sul Corriere della Sera. Non sono, dice di fatto (ovviamente neppure li nomina, essendo concetti tabù, gli unici permetterebbero una qualunque analisi seria lui è pagato per non fare), il governo reale Quirinalizio ed suo blocco sociale di riferimento, il blocco burocratico e “capitalistico” parastatale compradoro, responsabili dell’immobilismo incapace di reagire al declino. Anzi, dice, loro non fanno nulla ma non fanno sulla perché sarebbe impopolare. Meglio, tace sul fatto che il governo reale non faccia nulla (per cui evita che il lettore focalizzi che chi potrebbe e dovrebbe non faccia), concludendo che sarebbe comunque impopolare far qualcosa in senso modernizzatore. “Geniale”! La colpa diviene delle vittime, di tutti coloro pagano lo sviluppo bloccato e la regressione costante rispetto a chi si sviluppa o almeno mantiene posizioni d’eccellenza, non in Italiozia ovviamente in regresso da ogni punto di vista.
L’individualismo corrotto e corporativo, che lui tratteggia coi suoi tre pilastri su cui si reggerebbe l’Italiozia (privilegio, corporativismo e demagogia), che sono la conseguenza dei veti dell’Impero e dei suoi referenti Quirinalizi e burocratico-oligarchici interni, viene da lui presentato come la causa dell’irriformabilità. Se entità superiori bloccano ogni possibile sviluppo, ovvio che ognuno corra a tutelare le sue posizioni a scapito degli altri, per quel che può. La corsa a tutelarsi è la conseguenza, non la causa del fatto che entità superiori vietino modernizzazioni ed i loro compradori in loco implementino tali divieti.
Per Ernesto Galli della Loggia, l’ardito d’assalto dell’Impero e del suo blocco burocratico e “capitalistico” parastatale compradoro di cui il Quirinale è, dal 1992-Capaci, la Cupola unica, l’Italiozia affonda non per i veti dell’impero, e neppure per l’acquiescenza ad essi del blocco burocratico e “capitalistico” parastatale compradoro-Quirinalizio li implementa felice. Per Ernesto Galli della Loggia, l’Italiozia affonda perché alla gente piace cosi e non vorrebbe nulla di meglio.
Invero, il consenso sul non fare lo creano, dal punto di vista del lavaggio del cervello, i media. Dal punto di vista materiale, lo creano la corruzione burocratica, i sussidi al “capitalismo” di parastato, l’azione terroristica delle solite Polizie Segrete Militari-CC-NATO quirinalizie con procure annesse. Corruzione e terrorismo di Stato, coi lavaggi del cervello di Stato, creano il consenso sul non fare per nascondercisi dietro. Cupola e tutore sommo e di tutto ciò è il Quirinale compradoro.
La versione favolettistica di queste realtà la fanno mettere nero su bianco agli Ernesto Galli della Loggia da Corriere della Sera. La mitologia sottosviluppista, che prima ha creato le forze oscure e poi i giustizieri venuti dai cieli, ora s’e arricchita con la “genialità” dell’impopolarità. Lo sviluppo e l’abbondanza sono impopolari per cui nessuno li vuole, fanno dire ad Ernesto Galli della Loggia. La gente ama la miseria, in pratica dice.
Siccome lo sviluppo si infrange sui veti dell’Impero e del suo blocco compradoro interno, tutti corrono, ovviamente, a cercare di assicurarsi privilegi per sé. Sono dinamiche di tipo implosivo, come sbocco finale.
Tassazione crescente, debito pubblico crescente non solo in termini assoluti, e pure per una spesa pubblica in gran parte di puro sperpero, salari pubblici crescenti mentre quelli privati stagnano, incassi abbondanti ma da predazione finanziaria per le oligarchie “private” di parastato, rapida perdita di competitività nei settori tradizionali mentre in quelli d’avanguardia s’è da tempo fuori, s’aggiunga pure la partecipazione masochistica a guerre pure costosissime come quella di Libia (già principale fonte energetica italiotica), non portano molto distante. È una logica da afflosciamento sistemico progressivo ed inarrestabile, senza alcun margime di manovra, visto che i licenziamenti che creano mobilità ed occupazione sono considerati un’eresia nell’Italiozia burocratico-oligarchico-quirinalizia. Non sono piccole e medie aziende, che esse stesse cercano di delocalizzarsi (per cui esce valuta e si contrae la base imponibile dal fisco italiotico), quelle che possano invertire tale tendenza sistemica all’afflosciamento rapido.
Il giocolierie editorialista inverte. Trasforma la conseguenza nella causa. Il popolo ama la miseria, suggerisce. Chi lo paga vuole questo da lui. Lui lo scrive.