18 November 2012

Letter from Lhasa, number 292.
Sodomie in Corpo 11


Letter from Lhasa, number 292. Sodomie in Corpo 11
by Roberto Abraham Scaruffi

Busi, A., Sodomie in Corpo 11. Non viaggio, non sesso e scrittura, Mondadori, Milano, Italy, 1988.
(Busi 1988).
Aldo Busi


Quest’opera è un lungo testo, dell’ordine delle 130’000 parole, che si snoda a più livelli, da frocerie (quasi onnipresenti e che sono la fisicità dell’autore) e psicologismi, a discussioni letterarie e non solo, a vite quotidiane ed altro ancora.

È interessante, per esempio, lo smerdamento del Principe di Machiavelli. In realtà, di tutto l’autore tende a dare una sua interpretazione personale ed originale. Busi è come un essere contro e che quindi, un po’ su tutto, inserisce il cervello ed espone quel che ne esce.

(Busi 1988) è una lunga introiezione guardinga al mondo ed ai personaggi circostanti che si srotola in un monologo infinito ed intrisa della filosofia della vita dell’autore, o comunque del suo essere, del tutto particolare. 

Sono psicologicamente e sociologicamente interessanti (per quanto strabordanti in tutto il volume, ma del resto il titolo e tema...) le sue sodomie e connessi, per chi non conosca quel mondo per esperienza diretta o prossima. Anche le sue considerazioni sociologico-esistenziali sono sempre penetranti e pertinenti oltre che, del tutto giustamente, senza speranze ed inzuccheramenti. Le sue visioni politiche e politologiche sono di grande scientificità, checché lui ne creda, seppur buttate lì col linguaggio dell’ovvio e del vagamente provocatorio. Di conseguenza, pure la sua visione della storia, egualmente qua e là concessa nel testo, dove non esistono grandi sistemi ma il fluire, ricorrente, delle cose sempre uguali.  

Da pagina 213 e per un tratto piuttosto lungo, ora abbandonato ora ripreso, Busi dice come si nasca scrittore, secondo lui ovviamente. In effetti, è subliminalmente preciso perché non racconta come si possa divenire o trovarsi scrittori, eventualmente riconosciuti tali. Più semplicemente sbrodola come lui sia o si senta scrittore. Certo è scrittore riconosciuto (perché pubblicato, diffuso e venduto sui media, prima ancora che in bottega, da una macchina editoriale) sebbene i più lo conoscano come opinionista ed opinionato. Per cui, ti parla di sé. Generalizzi pure. Lo fa. Non necessita di autorizzazione. Lo ha già ‘autorizzato’ l’editore. Ma che il lettore non si beva che, se non si è ritrovato più o meno come Busi racconta di sé, non possa essere o divenire scrittore o supposto tale. Si diventa scrittori in mille modi e non è neppure vero che si debba essere eretici per essere tali. Le sue lunghe considerazioni su come si diventi tali sono la sua impersonalizzazione di come lui lo sia divenuto. Fingendo di generalizzare, parla di sé in modo impersonale.

Esiste lo scrittore? Busi presenta una distinzione tra scrittore e letterato:
“Un romanziere serio - poiché io non voglio prendere in considerazione il generico writer, écrivain o scrittore o Schriftsteller - non è mai in crisi come un generico uomo di lettere. Un romanziere propugna la vita, cioè un testo una struttura una figura retorica aggiornata e in sé senza tempo come è la vita, mentre un letterato si àdà da fare per un contesto e affianca uno specifico establishment perché ha un fine del tutto pragmatico: un certo potere sociale all’interno della solita classe sociale. Le due economie non potrebbero essere più diverse: lo scrittore attinge dal denaro collettivo, il letterato sempre dal denaro privato o, peggio ancora, pubblico.
“Il romanziere non ubbidisce a alcun potere prestabilito e è privo di auto-censura nel censurare indiscriminatamente ogni potere che venga a limitare i diritti elementari della vita, cioè alcune convenzioni sulla vivibilità sociale sotto ogni bandiera e sistema. Ogni romanziere che accetta, anche indirettamente, di farsi carico di un potere, scade nel letterato.
“Se c’è un dovere morale per eccellenza del romanziere serio è proprio quello di non essere in crisi, mentre l’inevitabile diritto di un generico uomo di lettere è di esserlo permanentemente nella misura in cui aspira alla serietà. Capisco che possa essere in crisi un critico, uno storico, un giornalista, un filosofo, un poeta laureato, uno scienziato, un segretario di Principe, anzi, la crisi gli dà credibilità (hanno tutti le facce lunghe, crescono attorno a esse e al luogo comune del dubbio come se esso fosse la maschera di una dignità profonda perché tormentosa), un romanziere non lo capisco affatto. Non ne ha bisogno: se lo è non può esserlo in crisi.
“Il romanziere ha una visione, l’uomo di lettere la foto segnaletica che gli viene incoccardata in fronte per poter definirsi tale. Il romanziere forgia il marchio che l’uomo di lettere subisce dai suoi padroni.
“L’uomo di lettere trova supporto in quella che Marx chiama sovrastruttura, che ai nostri giorni ormai s’è ridotta a uno spolverino di plastica trasparente da mettere in borsetta per acquazzoni improvvisi, mentre il romanziere lavora e trova supporto esclusivamente nel proprio lavoro e nei modelli che egli stesso forgia per sé e per chi vuol adottarli perché, come ben si sa, la struttura nei paesi capitalistici non esiste, non è mai esistita, non esiste più, non esisterà mai più, insomma, è disposta a tutto meno che a esistere, tanto è vero che nessuno sa cos’è né dov’è finita, e pertanto il romanziere è costretto a arrangiarsi all’interno della sua visione, che è la sola struttura ideologicamente pertinente al suo lavoro.”
(Busi 1988, p. 273-275).

Questa visione di Busi che usa un termine, romanziere, spesso usato per trasmettere il senso di una sotto-professione, o come di una sotto-cultura rispetto ad altre ritenute superiori (scrittore viene ritenuto onomatopeicamente più serio e professionale), elevandolo all’altezza professionale che lui rappresenta in questi tratti piuttosto elaborati, complessi e, forse, completi per quanto si possa poi elaborare su ogni cosa, e renderla ‘più completa’ o di completezza differente. La rappresentazione di Busi sul punto è ben più estesa della non breve citazione sopra riportata. Ci si deve solo districare nei suoi linguaggi che sono linguaggi del dubbio e di ricerca, o, a volte, metaforici ed allegorici.

Busi è critico di tutti e di tutti, e dunque pure analitico, all’estremo. ...Come dove distingue la sua effeminatezza ludica, da quella innata e natural-seduttiva ma che a lui non si confà e che lo urta. ...Secondo quel che lui dice, sulla base di suoi linguaggi che spesso si fan complicati, indicando elaborazioni di concetti. 

Il testo è ricco di descrizioni crude, che spesso urtano e che fanno parte del suo modo di vivere il sesso, spesso come violenza e sempre arraffato da chiunque venga, salvo quando nell’Africa nera si astiene.

Sul Kenya emerge evidente che, quando Busi si faccia Simenon, gli manchi la naturalità didascalica simenoniana che si impone come ricerca di spiegazioni plausibili, dunque come mistificazione, a tutto vantaggio, nel Busi, di un verismo e realismo delle rappresentazioni che sono quel che sono e che lui trasmette al lettore coi suoi disagi od agi, sempre con compartecipazione, com-passione con altre individualità.

Aldo Busi usa il suo essere come eversione-sovversione, o più banalmente è il solo modo in cui sa o sapeva vivere. Che non c’entra nulla colle sue preferenze ed avversioni sessuali. Qualunque preferenza ed avversione l’avrebbe usata in modo eversivo-sovversivo. Lui vive la scrittura come libertà. Ciò banalmente significa che vive ed avrebbe vissuto qualunque altra attività come libertà, ovviamente sconfitta dal sistema di potere cui non si asserve. Il suo anelito di libertà sarebbe ancora più sconfitto se vi si asservisse. “Uno scrittore è un esploratore, pertanto va in perlustrazione; se va in missione, è un impiegato.” (Busi 1988, p. 289).
 
Busi offre la sua esistenza ed il suo corpo per una continua, infinita, fuga. Si mescola all’altro, per poi fuggirne e fuggire da sé stesso. Fugge da un qualche sé stesso sa di non poter fronteggiare. 

La conclusione del libro è ovvia. Non v’è, ...come in ogni vero scrittore che ad un certo punto deve solo arrestarsi, rispetto ad un testo, senza chiudere nulla. ‘Il romanziere’ non ha scritto un romanzo. Ha scritto un’altra cosa sarebbe potuta continuare all‘infinito.


Busi, A., Sodomie in Corpo 11. Non viaggio, non sesso e scrittura, Mondadori, Milano, Italy, 1988.