Letter from Lhasa, number 292. Sodomie in Corpo 11
by Roberto Abraham Scaruffi
Busi, A., Sodomie in Corpo 11. Non viaggio, non sesso
e scrittura, Mondadori, Milano, Italy, 1988.
(Busi 1988).
Aldo Busi
Quest’opera è un
lungo testo, dell’ordine delle 130’000 parole, che si snoda a più livelli, da
frocerie (quasi onnipresenti e che sono la fisicità dell’autore) e
psicologismi, a discussioni letterarie e non solo, a vite quotidiane ed altro
ancora.
È interessante, per
esempio, lo smerdamento del Principe di Machiavelli. In realtà, di tutto
l’autore tende a dare una sua interpretazione personale ed originale. Busi è
come un essere contro e che quindi, un po’ su tutto, inserisce il cervello ed
espone quel che ne esce.
(Busi 1988) è una
lunga introiezione guardinga al mondo ed ai personaggi circostanti che si
srotola in un monologo infinito ed intrisa della filosofia della vita
dell’autore, o comunque del suo essere, del tutto particolare.
Sono
psicologicamente e sociologicamente interessanti (per quanto strabordanti in
tutto il volume, ma del resto il titolo e tema...) le sue sodomie e connessi,
per chi non conosca quel mondo per esperienza diretta o prossima. Anche le sue
considerazioni sociologico-esistenziali sono sempre penetranti e pertinenti oltre
che, del tutto giustamente, senza speranze ed inzuccheramenti. Le sue visioni
politiche e politologiche sono di grande scientificità, checché lui ne creda,
seppur buttate lì col linguaggio dell’ovvio e del vagamente provocatorio. Di
conseguenza, pure la sua visione della storia, egualmente qua e là concessa nel
testo, dove non esistono grandi sistemi ma il fluire, ricorrente, delle cose
sempre uguali.
Da pagina 213 e per
un tratto piuttosto lungo, ora abbandonato ora ripreso, Busi dice come si nasca
scrittore, secondo lui ovviamente. In effetti, è subliminalmente preciso perché
non racconta come si possa divenire o trovarsi scrittori, eventualmente
riconosciuti tali. Più semplicemente sbrodola come lui sia o si senta
scrittore. Certo è scrittore riconosciuto (perché pubblicato, diffuso e venduto
sui media, prima ancora che in bottega, da una macchina editoriale) sebbene i
più lo conoscano come opinionista ed opinionato. Per cui, ti parla di sé.
Generalizzi pure. Lo fa. Non necessita di autorizzazione. Lo ha già
‘autorizzato’ l’editore. Ma che il lettore non si beva che, se non si è
ritrovato più o meno come Busi racconta di sé, non possa essere o divenire
scrittore o supposto tale. Si diventa scrittori in mille modi e non è neppure
vero che si debba essere eretici per essere tali. Le sue lunghe considerazioni
su come si diventi tali sono la sua impersonalizzazione di come lui lo sia
divenuto. Fingendo di generalizzare, parla di sé in modo impersonale.
Esiste lo
scrittore? Busi presenta una distinzione tra scrittore e letterato:
“Un romanziere
serio - poiché io non voglio prendere in considerazione il generico writer, écrivain o scrittore o Schriftsteller - non è mai in crisi come
un generico uomo di lettere. Un romanziere propugna la vita, cioè un testo una struttura una figura retorica aggiornata
e in sé senza tempo come è la vita,
mentre un letterato si àdà da fare per un contesto e affianca uno specifico establishment perché ha un fine del tutto pragmatico: un certo
potere sociale all’interno della solita classe sociale. Le due economie non
potrebbero essere più diverse: lo scrittore attinge dal denaro collettivo, il
letterato sempre dal denaro privato o, peggio ancora, pubblico.
“Il romanziere non
ubbidisce a alcun potere prestabilito e è privo di auto-censura nel censurare
indiscriminatamente ogni potere che venga a limitare i diritti elementari della
vita, cioè alcune convenzioni sulla vivibilità sociale sotto ogni bandiera e
sistema. Ogni romanziere che accetta, anche indirettamente, di farsi carico di
un potere, scade nel letterato.
“Se c’è un dovere
morale per eccellenza del romanziere serio è proprio quello di non essere in
crisi, mentre l’inevitabile diritto di un generico uomo di lettere è di esserlo
permanentemente nella misura in cui aspira alla serietà. Capisco che possa
essere in crisi un critico, uno storico, un giornalista, un filosofo, un poeta laureato, uno scienziato, un segretario
di Principe, anzi, la crisi gli dà credibilità (hanno tutti le facce lunghe,
crescono attorno a esse e al luogo comune del dubbio come se esso fosse la maschera di una dignità profonda
perché tormentosa), un romanziere non lo capisco affatto. Non ne ha bisogno: se
lo è non può esserlo in crisi.
“Il romanziere ha
una visione, l’uomo di lettere la foto segnaletica che gli viene incoccardata
in fronte per poter definirsi tale. Il romanziere forgia il marchio che l’uomo
di lettere subisce dai suoi padroni.
“L’uomo di lettere
trova supporto in quella che Marx chiama sovrastruttura,
che ai nostri giorni ormai s’è ridotta a uno spolverino di plastica trasparente
da mettere in borsetta per acquazzoni improvvisi, mentre il romanziere lavora e
trova supporto esclusivamente nel proprio lavoro e nei modelli che egli stesso
forgia per sé e per chi vuol adottarli perché, come ben si sa, la struttura nei paesi capitalistici non
esiste, non è mai esistita, non esiste più, non esisterà mai più, insomma, è
disposta a tutto meno che a esistere, tanto è vero che nessuno sa cos’è né
dov’è finita, e pertanto il romanziere è costretto a arrangiarsi all’interno
della sua visione, che è la sola
struttura ideologicamente pertinente al suo lavoro.”
(Busi 1988, p.
273-275).
Questa visione di
Busi che usa un termine, romanziere, spesso
usato per trasmettere il senso di una sotto-professione, o come di una sotto-cultura
rispetto ad altre ritenute superiori (scrittore
viene ritenuto onomatopeicamente più serio e professionale), elevandolo
all’altezza professionale che lui rappresenta in questi tratti piuttosto
elaborati, complessi e, forse, completi per quanto si possa poi elaborare su
ogni cosa, e renderla ‘più completa’ o di completezza differente. La
rappresentazione di Busi sul punto è ben più estesa della non breve citazione
sopra riportata. Ci si deve solo districare nei suoi linguaggi che sono
linguaggi del dubbio e di ricerca, o, a volte, metaforici ed allegorici.
Busi è critico di
tutti e di tutti, e dunque pure analitico, all’estremo. ...Come dove distingue
la sua effeminatezza ludica, da quella innata e natural-seduttiva ma che a lui
non si confà e che lo urta. ...Secondo quel che lui dice, sulla base di suoi
linguaggi che spesso si fan complicati, indicando elaborazioni di
concetti.
Il testo è ricco di
descrizioni crude, che spesso urtano e che fanno parte del suo modo di vivere
il sesso, spesso come violenza e sempre arraffato da chiunque venga, salvo
quando nell’Africa nera si astiene.
Sul Kenya emerge
evidente che, quando Busi si faccia Simenon, gli manchi la naturalità
didascalica simenoniana che si impone come ricerca di spiegazioni plausibili,
dunque come mistificazione, a tutto vantaggio, nel Busi, di un verismo e
realismo delle rappresentazioni che sono quel che sono e che lui trasmette al
lettore coi suoi disagi od agi, sempre con compartecipazione, com-passione con
altre individualità.
Aldo Busi usa il
suo essere come eversione-sovversione, o più banalmente è il solo modo in cui
sa o sapeva vivere. Che non c’entra nulla colle sue preferenze ed avversioni
sessuali. Qualunque preferenza ed avversione l’avrebbe usata in modo
eversivo-sovversivo. Lui vive la scrittura come libertà. Ciò banalmente
significa che vive ed avrebbe vissuto qualunque altra attività come libertà,
ovviamente sconfitta dal sistema di potere cui non si asserve. Il suo anelito
di libertà sarebbe ancora più sconfitto se vi si asservisse. “Uno scrittore è
un esploratore, pertanto va in perlustrazione; se va in missione, è un
impiegato.” (Busi 1988, p. 289).
Busi offre la sua
esistenza ed il suo corpo per una continua, infinita, fuga. Si mescola
all’altro, per poi fuggirne e fuggire da sé stesso. Fugge da un qualche sé
stesso sa di non poter fronteggiare.
La conclusione del
libro è ovvia. Non v’è, ...come in ogni vero scrittore che ad un certo punto
deve solo arrestarsi, rispetto ad un testo, senza chiudere nulla. ‘Il
romanziere’ non ha scritto un romanzo. Ha scritto un’altra cosa sarebbe potuta
continuare all‘infinito.
Busi, A., Sodomie in Corpo 11. Non viaggio, non sesso
e scrittura, Mondadori, Milano, Italy, 1988.