09 December 2006

Lettera da Lhasa numero 38. Aspetti dell’industria telecom cinopopolare

Lettera da Lhasa numero 38. Aspetti dell’industria telecom cinopopolare
by Roberto Scaruffi

Cheng Li, China’s Telecom Industry on the Move: Domestic Competition, Global Ambition, and Leadership Transition, China Leadership Monitor, No.19, Fall 2006,
http://www.hoover.org/publications/clm/issues/4469916.html

Il saggio qui presentato illustra la rapida espansione dell’industria delle telecomunicazioni sul mercato cinese [della RPC], la competitività delle aziende cinesi rispetto alle estere sul mercato cinese e le loro prospettive di rapida proiezione internazionale. Inoltre propone alcuni dettagli sui gruppi dirigenti delle aziende telecom cinesi.

Quella delle telecomunicazioni è stata una delle industrie a più rapida espansione nelle due scorsi decenni in Cina [RPC]. Le aziende cinesi sono ormai passate dalla produzione di imitazioni di bassa qualità e prezzo alla padronanza di tecnologie di frontiera ed alla loro applicazione a produzioni di qualità e d’alto valore. A ciò si combinano strategie di rilevanti investimenti all’estero. Gli ultimi anni hanno anche visto la progressiva acutizzazione della competizione tra le maggiori aziende telecom, sia cinesi che estere, per conquistare fette del fiorente mercato cinese.

Sulla base degli accordi della WTO, ci si aspetta che, con la fine del 2006, cessi il monopolio statale nel settore e che, dunque, un vero mercato competitivo emerga in tutto il settore. [*] Col 2007, aziende estere potranno detenere fino al 49% nelle rete di servizi di telecomunicazione. Si attende anche l’imminente lancio del processo di commercializzazione delle telecomunizioni mobili di terza generazione [3G Mobile Communications] che dovrebbero essere in pieno servizio per i giochi olimpici di Pechino del 2008. [**] Le telecomunicazioni mobili di terza generazione combinano tecnologie senza fili con capacità di trasmissione dati. Secondo stime del governo cinese, l’investimento totale per realizzare tale salto tecnologico dovrebbe essere tra i 500 e di 1,000 miliardi di RMB, cioè tra i 62.5 ed i 125 miliardi di dollari USA.

In aggiunta alla concorrenza sul mercato cinese, è in pieno sviluppo la conorrenza di aziende cinesi sul mercato mondiale. Col sostegno del governo cinese, la Huawei [ http://www.huawei.com/ ] e la ZTE [ http://wwwen.zte.com.cn/ ] sono in intensa concorrenza con rinomate aziende estere. La Huawei (fornitore di soluzioni telecom), da piccola azienda creata nel 1987 a Shenzhen nel 1987, ha ora un patrimonio [registered assets] totale di 3.2 miliardi di RMB ed ricavi [revenue] per 47 miliardi di RMB. La Huawei ha creato all’estero 85 filiali, centri di ricerca e stabilimenti. Ha dispiegato tecnologie terminali senza cavi in più di 100 paesi provvedendo servizi a circa un miliardo di clienti. Nella prima metà del 2006, aveva realizzato un totale di contratti di vendita per 5.2 miliardi di dollari USA, di cui il 65% su mercati esteri.

L’aggressività della Huawei sul mercato mondiale ha causato la reazione dei suoi rivali internazionali. Infatti recenti fusioni ed acquisizioni tra Ericsson e Marconi, Alcatel e Lucent, e Nokia e Siemens sono ritenute essere avvenute, almeno in parte, come reazione alla concorrenza da parte della Huawei e della ZTE. Le ambizioni globali della Huawei sono condivise da altre maggiori aziende cinesi.

Ulteriore fattore importante, per guardare con interesse al mercato telecom cinese, è il fattore umano. Professionisti giovani, e con buona formazione ed esperizena nel settore si sono fatti strada sia nel Ministero dell’Industria Informatica della RPC [LII] che nelle sei maggiori aziende telecom cinesi. Nel contempo, un gran numero di aziende manifatturiere del settore telecom andranno presto incontro a ricambi generazionali che rappresenteranno anche veri e propri salti culturali dal punto vi vista professionale e di visione della realtà. Tra l’altro, studi recenti segnalano la carenza di managers anziani con esperienza internazionale in economie a rapido sviluppo (RDEs) come la cinese, l’indiana, la russa e la brasiliana, con l’effetto di limitare lo sviluppo futuro di grandi aziende in questi paesi. [***]

Nel 2005, i 6 principali fornitori cinesi di servizi telecom (China Telecom, China Mobile, China Netcom, China Unicom, China Railcom e China Satcom) erano di proprietà statale ed avevano un patrimonio totale di 10,600 miliardi di RMB, con ricavi per 6,600 miliardi di RMB e profitti per 600 miliardi di RMB. Queste aziende rappresentavano 1/6 del patrimonio totale ed il 20% dei profitti di tutte le aziende direttamente sotto la direzione della State-Owned Assets Supervision and Administration Commission [SASAC http://www.sasac.gov.cn/ ]. La SASAC cura gli investimenti dello Stato e le relative gestioni aziendali, per conto del Governo centrale cinese, in 9 differenti settori.

In Cina, lo sviluppo del settore telecom è stato estremamente rapido negli ultimi anni. Le vendite del settore telecom sono passate da 156.2 miliardi di RMB nel 1995 a 1,157 miliardi di RMB nel 2005. I telefoni mobili sono passati da 48,000 nel 1991 a quasi 438 milioni nel 2006, coi due fornitori di telefonia mobile, China Mobile e China Unicom, che si sono posizionati tra le aziende più profittevili del mondo. Alla fine del 2006, la Cina, sommando telefonia fissa e mobile, aveva un totale di 805 milioni di abbonati telefonici. I cinesi [RPC] con telefoni mobili sono passati dal 6.7% nel 2000 al 32.6% nel 2006. Intanto il numero di utilizzatori di Internet raggiungeva i 123 milioni, un po’ meno del 10% della popolazione. Seppur rilevante in termini assoluti (la Cina è seconda mondiale dopo gli USA, in termini assoluti), la Cina ha più di 4 volte la popolazione degli USA, 1,3 miliardi contro 0.3. E, tuttavia, si deve considerare che ancora 15 anni fa lo sviluppo telecom cinese era pressoché inesistente, sottoposto a grandi restrizioni amministrative e con costi proibitivi per le masse popolari. Inoltre, solo alla fine degli anni ’90, il Governo cinese ha preso in esame l’apertura del mercato telecom cinese a competitori esteri. Le telecomunicazioni hanno, non solo in Cina, rilevanza politica e di Stato. Gli stessi due maggiori gruppi cinesi del settore della telefonia mobile sono ben lungi dall’essere in reale concorrenza reciproca. Nel 2005, China Mobile aveva un profitto netto di 53.6 miliardi di RMB, che era 10 volte maggiore quello di China Unicom. Ciò che indica l’assenza di reale concorrenza.

Al fine di mantenere il controllo politico delle telecomunicazioni, cosa che invero viene criticata alla Cina sebbene tutte le potenze facciano inevitabilmente lo stesso, la Cina ha aperto all’intervento estero l’industria delle attrezzature telecom, ma non quella della fornitura dei servizi telecom. È un modo del tutto corrente per sviluppare un settore fisico con tecnologie già presenti su mercati esteri, senza perdere il controllo delle reti di comunicazione ed informazione. Non che la proprietà in mani “nazionali” sia il solo modo di controllare delle reti, tuttavia dipende dai metodi di controllo si possono usare, si sanno usare e si usano. È questione di tecnologie e di regimi di controllo.

Nel 2003, le aziende manufatturiere estere operanti in Cina coprivano il 23% di quel mercato. Di conseguenza, la Cina era divenuta un seducente e profittevole mercato d’investimento e produzione manifatturiera per numerose importanti aziende estere del settore. Queste profittavano dell’opportunità d’un mercato grande ed in rapido sviluppo. La Cina profittava della tecnologia di cui, attraverso la loro presenza produttiva in Cina, la stessa Cina finiva per impadronirsi e padroneggiare. Oggi si importa tecnologia. Domani la si padroneggia. Dopodomani si diviene protagonisti ed esportatori di tecnologia sul mercato mondiale.

Huawei [ http://www.huawei.com/ ], creata nel 1988 da un ingegnere in congedo dell’esercito, con 14 dipendenti e 21,000 RMB di capitale, si dedica alla produzione di interruttori elettronici. Passa poi alla produzione di altri componenti per telecomunicazioni. In un mercato già massicciamente occupato da imprese estere, Huawei penetra prima dove esse sono pressoché assenti, cioé nella vasta campagna cinese. Nella retorica, parlano di tecniche maoiste, l’accerchiare le città dalle campagne. In realtà, è il banale metodo di radicarsi dove concorrenti pur ben superiori non riescono ad arrivare per poi muovere, da quelle basi, dove i concorrenti superiori sono invece ben presenti. All’inizio si cresce e ci si rafforza dove si trova spazio libero, mercati non sfruttati. Oggi, Huawei ha più di 44,000 dipendenti, di cui il 48% nella Ricerca&Sviluppo. 1/4 dei dipendenti sono al fuori della Cina. In aggiunta ai centri di R&S in Cina a Beijing, Shanghai, Nanjing, Shenzhen, Hangzhou e Chengdu, ne ha, all’estero, a Bangalore in India, Silicon Valley e Dallas negli USA, Stoccolma in Svezia, e a Mosca in Russia. Leader nella fornitura di reti di telecomunicazione della prossima generazione, sono suoi clienti 28 dei 50 maggiori operatori mondiali del settore e più di un miliardo di consumatori. Con altre grandi imprese cinesi del settore, sta ora muovendo all’assalto del mercato mondiale.

Per il momento, le aziende cinesi del settore hanno ancora un carattere marginale sul mercato mondiale. Una caratteristica delle aziende cinesi, che viene ritenuto uno svantaggio, è il loro carattere generalista dunque un’immagine poco facalizzata e focalizzabile. La maggioranza delle imprese cinesi non ha marchi universalmente noti. Inoltre, secondo uno studio cinese recente, più dell’80% delle aziende cinesi orientate all’esportazione non ha alcuni prodotti le caratterizzino nettamente, non hai dei prodotti “di bandiera” [“core products”]. Non è ovviamente solo un problema di immagine, per quanto la percezione dell’affidabilità tecnologica e di continuità del servizio conti nella scelta d’acquisto di prodotti. E, tuttavia, è del tutto inevitabile per nuovi entranti su mercati in espansione anche qualitativa ma non del tutto nuovi come filone di prodotti. Ciò nonostante, anche, ma non solo, per l’espansione hanno saputo assicurarsi sul mercato interno, un tempo dominio assoluto di competitori esteri, continua la loro progressione sul mercato mondiale pur occupato da grandi aziende sperimentate ed agguerrite.

La competitività mondiale delle aziende cinesi dipenderà, anche in questo settore, dal fattore umano. Per cui, i policymakers ed i centri di direzione imprenditoriale della RPC hanno promosso anche nel settore delle attrezzature telecom politiche di reclutamento di managers capaci ai massimi livelli delle aziende. Due differenti tabelle della ricerca presentano le caratteristiche d’età, di formazione scolastica e di esperienza del Ministri e vice-Ministri del Ministero dell’Industria Informatica, e dei vertici dei sei principali operatori telecom. Ulteriori informazioni soggettive e d’impresa le si trovano in una successiva tabella sui vertici delle 15 maggiori aziende elettroniche ed informatiche cinesi. Un’altra tabella illustra il background dei managers della ZTE [ http://wwwen.zte.com.cn/ ], il maggiore fornitore cinese di attrezzature telecom.

Nelle conclusioni, il saggio evidenzia come la diffidenza politica [“political distrust”] (le ragioni salariali sono infatti superabili, o si supereranno da sole con l’apprezzamento del RMB quando un giorno avverrà) relativamente a stranieri o emigrati cinesi (i cosiddetti cinesi d’oltremare, in traduzione diretta dall’inglese) potrebbe essere un collo di bottiglia nella sviluppo del settore. Sebbene, lo stesso saggio l’accenna, non è che le imprese estere siano differenti: nessuno seleziona i managers astrattamente migliori indipendentemente da caratteristiche “nazionali”. In realtà, ed il saggio lo dice nelle conclusioni, le aziende cinesi del settore sembrano ben avviate a dotarsi dei managers di cui necessitano attraverso la maturazione, in primo luogo, dei propri già operativi.

Piuttosto, sarà interessante vedere come interagirà la RPC con l’altro gigante, sia come vastità di mercato, che come intelligenze ed imprenditorialità, l’India. Anche a causa delle politiche demografiche cinesi, la popolazione della RPC è di 1.3 miliardi contro già 1.1 di quella indiana. La popolazione non è automaticamente mercato interno sebbene, nel caso di economie in forte sviluppoo quantitativo, finisca per l’esserlo. L’economia indiana progredisce, per il momento, a ritmi inferiori alla cinese, sempre che i dati si hanno siano esatti. Si dovrà, da questo punto di vista, vedere quello che succederà quando lo sviluppo cinopopolare dovesse declinare, sempre che l’attuale sia reale e non derivi, in parte, da statistiche gonfiate.


Cheng Li, China’s Telecom Industry on the Move: Domestic Competition, Global Ambition, and Leadership Transition, China Leadership Monitor, No.19, Fall 2006,
http://www.hoover.org/publications/clm/issues/4469916.html



[*]Aspettativa del tutto illusoria, io credo, sia perché un perfetto mercato competitivo a-“nazionale” non esiste da nessuna parte nel mondo, sia perché i cinesi e lo Stato cinese [tutti gli Stati cinesi, invero] hanno caratteristiche esasperatamente xenofobe che si riflettono direttamente nel mondo degli affari. Che si preferisca fingere non vederlo ha delle ragioni “di guerra”, visto che anche altri oggi dominano il mondo sono simili ai cinesi.
[**] Sulla stampa specializzata si stanno tuttavia sollevando dubbi che la scadenza possa essere rispettata viste le dilazioni nel lancio.
[***] Tale è almeno la valutazione ne viene data ora e secondo ottiche non è detto si dimostrino poi realistiche. La supposta carenza di esperienza manageriale internazionale è forse un fattore più facilmente e rapidamente colmabile di altri.