by Roberto Scaruffi
È a giusto titolo che Sun Yat-sen / Sun Chung-shan / 孫中山 [Sūn Zhōng-shān] (1866-1925), è assunto come padre sia della Repubblica di Cina [RdC] che della, di fatto, sua continuazione e rafforzamento, la Repubblica Popolare Cinese [RPC]. Sun Yat-sen non innova la tradizione politica cinese. Anzi, riafferma e rafforza il tradizionale razzismo xenofobo esasperato del pensiero politico e della pratica corrente cinese. Razzismo xenofobo esasperato pressoché identico nella RPC, in quella che tuttora si definisce la RdC, così come in tutti coloro si definiscano cinesi [cinesi, nel senso di appartenza alla “nazione cinese”].
Tutti i razzismi sono così. Non vogliamo demonizzarne uno. Semplicemente ora parliamo di un travisamento linguistico compiuto da questo e per questo. Tutti i razzismi sono creazioni della psiche. La psiche s’inventa una nazione d’appartenenza. La propria nazione dev’essere superiore alle altre, se non altro perché è la “nostra”. Ecco lì il razzismo. Certo, esiste anche il razzismo del non credere a nulla forse, del “tutti siamo gli stessi”, o del rifiutare identità. Non lo so. Non vogliamo addentrarci in tale ambito dove è troppo facile il pensiero circolare ed in cui non vi sono, forse, vere soluzioni, vi sia mai qualche vero problema le richieda.
Ci limitiamo qui ad una notazione linguistica sui tre principi del popolo di Sun Yat-sen. Esistono delle ragioni, certo, per cui sull’uno o sull’altro dei tre principi del popolo / 三民主義 [sān mín zhǔyì] [*], 民族主義 / [mín zú zhǔyì], 民權主義 / [mín quán zhǔyì], 民生主義 / [mín shēng zhǔyì], siano diffuse traduzioni del tutto fantasiose.
Abbiamo omesso, per ora, la traduzione dei tre principi, 民族主義 / [mín zú zhǔyì], 民權主義 / [mín quán zhǔyì], 民生主義 / [mín shēng zhǔyì], perché è proprio a livello di traduzione che si fanno, talvolta, i giochi più fantasiosi. Nel cinese, le regole sulla relazione sostantivo-aggettivo sono le stesse che nell’inglese. L’aggettivo, o una forma considerata aggettivale, precede il sostantivo. Quanto ai caratteri cinesi, ogni carattere ha un suo signicato. Nella pratica contemporanea, esistono parole sia d’un carattere che di due, o anche di più per taluni concetti od espressioni. Nella traduzione, talvolta sono nostre parole che necessitano di più caratteri cinesi, altre volte sono caratteri cinesi che possono necessitare di nostre espressioni anche complesse. La lingua cinese è una lingua del potere centrale, dunque un lingua di censura e d’autocensura, una lingua che ti dice cosa e come devi pensare. Vi sono parole che non è solo che non siano conosciute, ma che proprio sono quasi vietate, per cui non davvero usate, dunque incomprensibili anche agli intellettuali (per esempio, la complessità della personalità è negata al suddito/schiavo considerato come insetto di cui il potere disponga a suo piacimento, dunque colpibile ed eliminabile senza grandi giustificazioni, e lo stesso potere non ha bisogno di complicazioni psicologico-linguistiche). Il potere centrale, quando ha bisogno d’una parola, il più possibile asettica, per caratterizzare qualche cosa, o l’introduce nell’uso o fa inventare il carattere se per caso non già esistente. Il cinese è da sempre la neo-lingua orwelliana. Se il potere non t’autorizza ad esprime qualcosa, è perché quel qualcosa non deve esistere, non esiste. In una lingua alfabetica ti inventi una parola. Anche in cinese puoi. Ma non puoi scriverla, dunque non la puoi diffondere né tramandare al di fuori di comunità linguistiche inevitabilmente ristrettissime, a meno di mettersi a scrivere in alfabeti che pur anche in cinese esistono al giorno d’oggi ma solo per ragioni fonetiche. In una lingua fondata sull’equivoco verbale, un uso occasionale e limitato d’una scrittura solo alfabetica porterebbe la mente, salvo evoluzioni future, a prendere in esame i caratteri, o le combinazioni di caratteri, con stesso suono oppure a non capire. È dal contesto, oltre che da chi usa il suono, che si suppone un suono corrisponda ad un certo carattere tra i vari possibili, dunque ad un significato. Mentre, in una lingua alfabetica, anche quando non si capisca, si può usare l’intuizione. Non nel cinese, lingua che rimuove il pensiero non autorizzato.
In un libro di lingua cinese, testo per stranieri, correntemente usato a Taiwan (Practical Audio-Visual Chinese, Level 2 - Part I, ISBN 957-09-1238-3, p. 257, libro di testo d’orientamento cino-unionista (la Grande Cina) [**], che naturalmente, come forse tutti i testi di lingue, di sicuro i cinesi, s’occupa pure d’indottrinamento dello studente d’altra lingua, racconta che 民族主義 / [mínzú zhǔyì] sono i “racial rights”, 民權主義 / [mínquán zhǔyì] i “political rights”, 民生主義 / [mínshēng zhǔyì] i “rights for life and the pursuit of happiness”. “民族主義 establishes equal rights to all races in the Chinese nation, and declares that Chinese citizens have rights equal to other citizens of the word. 民權主義 asserts that everyone has an equal right to participate in politics and the running of government. According to 民生主義 everyone should have equal access to daily necessities of life, including education, food, housing, clothing, transportation and recreation.”
La fantasiosa traduzione offerta da questo libro per stranieri colpisce subito per quel “rights”. Appena si conosca qualcosa di reale sulle Cine, diviene subito evidente come il concetto di diritto e di diritti sia del tutto estraneo alla mentalità ed alla pratica cinesi. Anzi i diritti e l’individuo, che solo sui diritti od almeno sulla loro presupposizione può farsi talvolta strada, proprio non esistono nelle Cine ed aree limitrofe e similari.
Tuttavia la vulgata sui tre principi è quella. Si veda la inevitabilmente causale rassegna (le fonti sarebbero troppe, anche solo su Internet), ora con presentazioni piatte e propagandistiche anche del contenuto reale dei tre principi, ora, invece, davvero pregevoli nella contestualizzazione ed esposizione degli stessi.
Qui, troviamo descritti i tre principi come i principi di nazionalismo, democrazia, benessere. E si conclamano pesanti influenze sia americane che confuciane nella loro elaborazione. |
Prima di vedere la lettera del nome dei tre principi, e perché sosteniamo il loro stesso enunciato (民族主義 / [mínzú zhǔyì], 民權主義 / [mínquán zhǔyì], 民生主義 / [mínshēng zhǔyì]) sia stato talvolta fantasiosamente tradotto, vediamo una rapidissima contestualizzazione storica. Poi concluderemo con qualche notazione generale che, oltre a sollevare ed a lasciare aperti problemi sulla definizione esatta delle Cine e del loro pensiero e pratica politico-istituzionale, speriamo indulga perlomeno a intravedere perché in effetti le traduzioni correnti dell’enunciato dei tre principi non potevano essere esatte, non solo dal punto di vista letterale. Non si può tradurre ciò che in altra lingua non esiste. Sebbene si dovrebbe almeno cercare una traduzione formale di quello nell’altra lingua si vuole, almeno nella forma, dire.
La dinastia Qing (1646-1912), una dinastia manchu, e per questo ritenuta straniera dai cinesi han (alla fine la razza-razza che in Cina “non conta” in realtà conta lo stesso! ...vedremo, poi, in breve perché conta, pur “alla cinese”) tenta, attorno al 1895, una via per nulla stravagante per porre le condizioni per liberarsi dalla dominazione straniera, inglés in primo luogo, la via della modernizzazione militare. Con aiuti di area non inglés, con assistenza tedesca, si creano nuove e moderne unità militari. Si cerca anche di creare un’industria militare moderna. Le industrie militari più moderne saranno a Wuchang. Non sarà certo un caso che la sovversione si concentri proprio lì, e non certo con aiuti d’area non inglés. Sarà a seguito di azioni terroristiche in preparazione nelle concessione russa di Wuchang, con incidenti che porteranno allo loro scoperta, che provocheranno un’insurrezione militare a Wuchang. L’ammutinamento militare di Wuchang è del 10 ottobre 1911. Un caso. E neppure raro, in quei tempi. E tuttavia, attorno a quell’evento casuale, l’impero si dissolve. Ciò che significa che non esisteva già più da tempo, come vero Stato. Gli ammutinamenti si susseguono e tutto si sfalda. Le unità militari moderne attorno a cui l’impero cercava di restaturare l’indipendenza statuale sono le prime ad ammutinarsi perché in esse è profonda la penetrazione delle organizzazioni rivoluzionarie. Nel 1912, viene proclamata la Repubblica di Cina. La leggenda delle rivoluzione delle mafie anti-manchu, dunque autenticamente nazionale e senza l’influenza straniera, non reggerebbe ad alcuna seria ricerca storica in uno Stato dove intensa era la presenza inglés e para-inglés in intensi affari con le mafie locali, dunque coi poteri reali locali. Los ingleses, prima, hanno sfondato la Cina con l’oppio, poi imposto apertamente con le due guerre dell’oppio (1834–1843, 1856-1860) vinte da ingleses ed alleati, ed altri traffici e penetrazioni, poi con l’assalto all’Impero e la proclamazione delle Repubblica. E poi, ancora, demolendo la Repubblica a favore della Repubblica Popolare maoista.
Che Sun Yat-sen (12 novembre 1866-12 marzo 1925) fosse un autentico nazionalista sceso improvvisamente dal cielo per guidare la rinascita cinese proprio non sembra. All’età di 13 anni andò dal fratello ad Honolulu (Hawaii, USA) dove poté studiare in scuole ed università americane. Ritornato in Cina nel 1883, raggiunge presto Hong Kong dove nel 1892 si laurea in medicina. Fa pratica medica ad Hong Kong nel 1893. Nell’ottobre 1894 torna alle Hawaii dove fonda un’organizzazione rivoluzionaria cinese. Nel 1895, a seguito della sua attività rivoluzionaria e del fallimento d’un complotto aveva organizzato, deve riparare all’estero per i successivi 16 anni, dove continua a capeggiare attività sovversive. I soldi non venivano certo dal nulla. Fa molto romantico scrivere e leggere che vive 16 anni raccogliendo fondi per attività rivoluzionarie ed organizzandole. Tuttavia, nessuno dà soldi ad un fuoriuscito che non abbia adeguati accrediti, dunque che non sia in networks di potere presenti e futuri. Nel 1896, a Londra, venne attirato all’interno dell’Ambasciata cinese ed arrestato. Fu l’intervento inglese a farlo liberare.
Quello che succede nel 1911 è del tutto casuale e spontaneo nei suoi improvvisi sviluppi. L’Impero di disgrega ed affonda, non solo la dinastia manchu dei Qing. Alla notizia degli eventi, Sun Yat-sen torna subito in Cina dagli USA. Il 29 dicembre 1911, una riunione dei rappresentanti provinciali a Najing lo elegge Presidente provvisorio della Repubblica di Cina e dichiara l’1 gennaio 1912 come primo giorno del primo anno della Repubblica, di fatto l’era repubblicana cinese su cui è tuttora regolato il calendario della Repubblica di Cina. Il crollo dell’Impero è il crollo della Cina, che s’era già disgregata decennio dopo decennio, secolo dopo secolo, quando dei barbari, “gli stranieri”, s’erano mostrati tecnologicamente e militarmente superiori. La Repubblica è cosa da operetta. Si deve comprare il consenso comprando capi militari, capi militari che sono più forti di chi li vorrebbe comprare. Il generale Yuan Shikai / 袁世凱 viene eletto Presidente della Repubblica il 14 febbraio 1912 e giura il 10 marzo 1912. Poi si auto-proclamerà pure Imperatore. Nel 1913, il Kuomintang vince le elezioni, ma Yuan Shikai / 袁世凱 muove contro di esso e Sun Yat-sen deve riparare in Giappone. Nel 1916, Yuan Shikai / 袁世凱 muore. La Cina s’è, nel frattempo, frammentata di fatto in signorie provinciali [province cinesi, grandi e popolate anche quanto Stati europei] capeggiate di fatto da generali. Sun Yat-sen ritorna in Cina, a Canton, nel 1917 quando i capi militari del sud glielo permettono. Ecco la storia della Cina, del suo “nazionalismo” e, poi, anche del suo “comunismo” è quella. Sun Yat-sen opera dentro quella tragicomica storia reale. E così i suoi successori, pur antagonisti tra loro.
Veniamo ai tre principi del popolo, 三民主義 / [sān mín zhǔyì]. Questa è l’unica traduzione esatta. 三 [sān], tre. 主義 [zhǔyì], principio/i o -ismo. 民 [mín], popolo. Non sempre le altre, quelle di ciascuno dei tre principi.
Se prendiamo民X主義 / [mín X zhǔyì] abbiamo, in modo simile, principio X del popolo oppure X-ismo del popolo, salvo che 民 [mín], popolo, combinato col carattere che segue non formi una qualche parola a sé stante ben definita nel contesto dato [***].
Vediamoli.
民族主義 / [mínzú zhǔyì].
民族 / [mínzú] significa nazione, nazionalità, gruppo etnico. Dunque, nazione o nazionalità, come gruppo etnico. Infatti, 族 / [zú] significa clan, razza, classe, gruppo. Non ha nulla a che fare con nazionalismo, dunque con nazione o nazionale nel senso di nazionalismo. Né con patria o patriottico. Nazione o nazionale nel senso di patria o paese (nel senso inglese, del tipo “questo è il mio paese”) è 國家 / [guójiā]. 國 / [guó] è paese nel senso di country. 家 / [jiā] è casa, famiglia. Stato, nel senso di unità amministrativa, parola che i cinesi non amano e che usano solo per Stati d’uno Stato federale è un altro termine ancora, 州 / [zhōu]. Infatti è usato sia per Stato sia per Prefettura. È la parola, il carattere, secondo me proprio per tradurre Stato, mentre i cinesi, xenofobi esasperati, insistono con 國家 / [guójiā]. Per loro devi avere una patria (nemica della loro!). Non concepiscono tu possa, banalmente, essere cittadino o suddito d’uno Stato 州 / [zhōu]. Patriottico è 愛國 / [àiguó]. 愛 / [ài] è amare. 國 / [guó] è paese [country]. Dunque amare il paese, amare il proprio paese, la propria patria.
Per cui, 民族主義 / [mínzú zhǔyì] non c’entra nulla col nazionalismo o col patriottismo. Avrebbero usato una parola specifica, che pur avevano, se avessero voluto esprimere un qualche concetto patriottico. 民族主義 / [mínzú zhǔyì] è un principio etnico o razziale. Con questo principio, scritto a quel modo, o s’afferma la razza han (o supposta razza; sono così tanti e così differenti!) rispetto alla dinastia manchu oppure la razza cinese rispetto al mondo, od anche entrambe. È un principio della razza.
Che la visione cinese di razza, così come quella di Sun Yat-sen che è identica, sia particolare, non inficia questa traduzione letterale né inclina nel senso di un nazionale nel senso di patriottico o nazionalistico. La razza è lo stesso gruppo etnico, soprattutto in Cina. Non è un fatto di caratteri somatici, bensì di uniformità di pensiero e di comportamenti. Per Sun Yat-sen, tutti i cinesi avrebbero dovuto divenire han. Essere han, a parte il richiamo ad una “razza” chiamata a quel modo, è ciò il potere politico d’un certo momento vuole si sia, incluso l’atei militanti o comunque dichiarati, od altro. La dinastia manchu era vissuta come non cinese, dunque da rovesciarsi, perché aveva mantenuto costumi differenti dalla maggioranza dei cinesi. Avesse fatto divenire tutti manchu o fosse essa divenuta han, ecco che allora sarebbe stata davvero cinese. Se è una concezione che va oltre come si intenda il razzismo od il razzialismo, non per questo s’avvicina ad un patriottismo che s’identifica in una patria fabbricatasi nella testa indipendentemente da come ci si vesta o quale religione (religione senza caratteristiche “razziali”) s’abbia i giorni comandati. Si potrebbe discutere se essa abbia similarità con certo repubblicanesimo rivoluzionario giacobino francese tuttora ostentato. L’esigenza d’appartenenza e d’uniformità del cinese, pur poi in costante competizione-conflitto con tutti gli altri cinesi, è più profonda. È come una prima irrinunciabile difesa di fronte ad un mondo esterno (alla Cina e alle Cine) di cui il cinese ha terrore. Tra loro si fregano. Ma devono rimuovere, distruggere, “lo straniero” perché con lui non sanno come comportarsi.
民權主義 / [mínquán zhǔyì].
權 / [quán] significa potere, peso. 民權 / [mínquán]. Democrazia, come dal greco forza o potere del popolo. Dunque Principio di democrazia, o principio democratico.
Parlare di diritti del popolo o di diritti politici, non solo non rispetta la lettera ma neppure il senso. Non vi sono diritti in Cina e nelle Cine. Tu sei un insetto in una casella decisa dal potere. Devi fare quel che ti si chiede, nulla più e nulla meno. Sun Yat-sen, enunciato il principio democratico, chiarisce che il popolo ha forza e potere dunque c’è democrazia, forza e potere del popolo, se il popolo è unito come un sol uomo ai comandi d’un governo assoluto, indiscusso ed indiscutible. Per Sun Yat-sen, democrazia è dunque l’ubbidienza cieca. Problema della Cina che il mondo s’apre raggiungendola, ed ancor più problema di quella cosa vieppiù tragicomica che è Cina politica post-imperiale, e che non esiste più un governo, lo stesso governo è un sovrappiù rispetto a clan che neppure riescono a simulare d’essersi messi d’accordo su qualcosa. Non si pensi che neppure la stessa Cina maoista abbia restaurato un qualche forte potere centrale. L’insopprimibile bisogno di sudditanza del cinese s’adatta anche a poteri che non siano così centralizzati come si vorrebbe credere. Del resto, l’assolutismo non è mai esistito, né può esistere, se non come immagine, dipendendo ogni potere dagli esecutori che sono sempre quel che sono soprattutto più gli interessi confliggenti emergano e si impongano nella società. Sun Yat-sen, dietro a quello slogan di forza o potere del popolo, o di democrazia, sogna una immaginaria dittatura “comunista” o “fascista” o “nazista” da capeggiare. Gli sfugge che la vera “dittatura” è quando governi, pur in regime di democrazia formale, possano concentrarsi su poche cose e con strumenti veri per gestirle. Ma lui sogna l’economia di Stato senz’avere a disposizione una burocrazia né alla tedesca, né alla francese, e neppure alla cinese imperiale funzionante. I clan mafiosi variamente feudalizzati non possono sostituirla, né la Repubblica, come l’Impero in decadenza e disfacimento, può venirne a capo. Sun Yat-sen non s’interessa di diritti, che anzi detesta, né di democrazia come competizione, oltre che come democrazia politica formale. Nulla di tutto ciò. Sun Yat-sen è l’uomo dei clan mafiosi del sud e dei poteri internazionali che affondano progressivamente la Cina. Nel suo “pensiero” “politico” sarà “lo Stato” a prenderti, se esso ti vede o se tu riesci a farti vedere. Però, in concreto, c’è il clan mafioso locale. Taiwan, la pseudo-RoC, si svilupperà, nonostante l’ultima cinesizzazione che semmai opera nel senso di rovinarla, grazie alla previa colonizzazione giapponese ed a necessità di guerra degli USA nell’area. Lo stato predatorio cino-repubblicano non riesce neppure a rovinare Taiwan.
民生主義 / [mínshēng zhǔyì].
生 / [shēng] significa dar alla luce [alla vita], crudo, non cucinato. Il carattere racchiude i concetti di vita, vivo, nascita, allevare, crescere, produrre, creature, ma anche di acerbo, non familiare, strano.
民生 / [mínshēng] viene tradotto, dai dizionari, con the people’s livelihood, che è vita del popolo, mezzi del popolo, mezzi di sussistenza del popolo.
Per cui The Principle of People's Livelihood, Principio [dei mezzi] di sussistenza del popolo. Diviene improprio usare concetti come “benessere”, perché per benessere s’usano altre espressioni. In quel livelihood, c’è il concetto di dare da mangiare. Il dare il pane quotidiano al popolo.
La ricetta di Sun Yat-sen è semplice. L’economia di Stato. Che poi possa funzionare o meno dipende in realtà da altri fattori vengono prima di semplici ricette siano esse la ricetta-“Stato” o la ricetta-“mercato”. Sun Yat-sen non arriva a questo. Racconta che ha visto il mondo e preferisce la proprietà di Stato, la tradizione cinese, di fatto, ...anche se l’Impero millenario non esiste più da tempo! La Cina repubblicana opprimerà la società, sia nella Cina pechinese che in quella taiwanese, con forme di controllo sociale di tipo ossessivo-maniacale che sono sprechi sociali più che vere forme di disciplina di società di insetti da cui si vuole rimuovere l’individualità e l’individuo. Lo sviluppo economico non avverrà o avverrà nonostante ciò.
Nel pensiero politico cinese, nella filosofia cinese, l’individuo non esiste. Esiste, eventualmente, come entità da annientare. Il cinese, se incontra un individuo, deve distruggerlo. Oppure ne è distrutto. L’individuo è irriducibilmente antagonista alla concezione cinese di ordine.
Il confucianesimo è una filosofia da insetti. Normale fosse disprezzato in epoca di lotte e rivolte ed invece in auge in tempi di restaurazioni e di quotidianità. Il rito confuciano è l’algoritmo, il comportamento automatizzato della macchina, dell’animaletto elementare. Il governo è governo degli insetti con gli stessi governanti come insetti capi e null’altro. La stessa meritocrazia, grandiosa per la prosperità indivuale e collettiva, se invece burocratizzata diviene selezione di adatti a caselle d’una comunità d’insetti che mira solo alla propria autoperpetuazione sempre identica nella propria immaginaria perfezione. È ricerca della perfezione all’interno del predefinito, che porta alla fine alla catastrofe di fronte all”imprevisto ed all’imprevedibile, come è appunto accaduto col mondo che, pur temuto e rifiutato, non ha potuto non raggiungere la Cina e le Cine. La meritocrazia, inevitabilmente, in quel contesto, era centrata sulla lingua, una lingua (pur difficilissima) da insetti, sulla lingua scritta mezzo di trasmissione degli ordini da capire ed applicare con assoluta precisione burocratico-formale.
La tradizione politica e filosofica cinese disdegna le legge sia perché non necessaria in un ordine totalitario, sia perché il potere è la legge, potere che ha comunque gli strumenti di controllo totale per imporsi quando lo ritenga necessario alla sua preservazione ed alla preservazione dell’ordine. Le religioni come spiritualità, dunque individualità, in Cina, in tutte le Cine, sono definite spregiativamente superstizioni. Mentre il confucianesimo, lo stesso buddismo, così come qualunque altre gerarchia, anche se non lo possono dire apertamente (dalle mafie alle gerarchie religiose, tutte polizie parallele al servizio dei governi nelle Cine, per cui le stesse “superstizioni” sono in realtà ben utili, pur disprezzate in quanto potenziali forme di libertà dallo Stato), sono, quando asservite al potere centrale (e lo sono, ed allo stesso modo, nella RPC, nella RoC, a Singapore), “tradizioni” utili al dominio delle comunità degli insetti. Non davvero tradizione come individualità o comunità. La stessa tradizione è un mezzo di consacrazione del potere oppure è combattuta e distrutta.
Il carattere di clan, razza, classe, gruppo, 族 / [zú], si compone di tre “pezzi”. Quello a sinistra significa quadrato, posto/luogo. Quello a destra sopra significa persona coricata. Quello a destra sotto significa freccia, impegno (voto, giurare, pegno, promessa), mostrare. Si potrebbe dire che, per questo carattere, alla fine, la razza è la casella, sia sociale che spaziale, in cui l’insetto è collocato, dove dorme, e dove sta per via di un impegno-minaccia (la freccia è minaccia). Tutte le razze/etnie sono così. Qui neppure si tenta di dare, almeno nel carattere inventato per rappresentare la razza e giuntoci in questa sua evoluzione, una qualche spiritualità. Ma anche al di fuori del carattere, non v’è nulla d’altro. In effetti, quello che esiste come tradizione costante, nelle Cine, è il culto dei propri morti, spesso bruciando foglietti che sono i soldi si mandano loro nell’aldilà, un po’ come dare i soldi ad un detenuto o ad un ricoverato senza entrate. Nessuna estasi paradisiaca da raggiungersi come premio per le virtù dell’anima. Anche nell’aldilà, in cui in realtà non credono, v’è la posizione dell’insetto nell’ordine sociale, posizione simboleggiata dai soldi. Un successore arricchitosi può fare avanzare anche te, suo predecessore ora morto, si potrebbe pensare. In realtà, è il successore eventualmente arricchitosi che si vergogna del predecessore di casella inferiore, ed allora ora lo arricchisce per fingere sé, da sempre, come famiglia di provenienza, nella posizione sociale ora raggiunta.
Se non esiste razza e non esiste nazione esiste l’unità della maniacalità, il razzismo dei pazzi, dei perversi, furiosi pur lobotomizzati. Ecco quel che esiste nelle Cine.
Il modello del pensiero politico-istituzionale e della pratica politico istituzionale cinese è il dominio mafioso ipercentralizzato (iperecentralizzato nelle intenzioni, perché nella pratica è poi impossibile) dove tutto è regolato secondo criteri di gerarchia e servaggio. Lo spazio cinese è oggi, come in passato, un esteso spazio mafioso centralizzato, senza Stato moderno, solo con l’ordine mafioso centralizzato. L’unica razza o etnia è l’appartenenza mafiosa. L’unica democrazia è la democrazia mafiosa. L’unica vita possibile è la vita da insetto della grossa cosca mafiosa che tutto domina (almeno nelle intenzioni e nella azione pratica della stessa). Un’apparenza di Stato moderno è solo facciata di fronte al mondo. Ed è anche facciata di fronte a sé stessi dominati da complessi d’inferiorità e di paura verso il mondo esterno, “lo straniero”. In effetti i cinesi e cinesoidi son dominati da tali complessi ben più di altre popolazioni di altre aree del pianeta.
Si potrebbe obiettare che un po’ tutti gli Stati sono, in vario modo, e con vari livelli di efficienza sistemica, basati su un modelli d’ordine sociale ed istituzionale di fatto mafiosi. E tuttavia ciò che distingue nettamente gli spazi cinesi e cinesoidi è l’assenza dell’individuo. Esiste l’insetto. L’individuo non esiste ed è furiosamente combattuto se mai dovesse apparire. Le stesse ribellioni avvengono quando un potere più forte o giudicato più forte sembri coprire i “ribelli”. Negli spazi cinesi e cinesoidi, anche il “ribelle” è insetto che sfugge ad un ordine mafioso debole in nome della sua restaurazione sotto altra direzione forte ed assoluta.
L’unica difesa dell’individuo è mentite, mentire sempre, anche a sé stesso. Che è già una via d’autoannientamento più che di reale preservazione d’una qualche individualità.
Checché ne dicano studiosi di tradizione yankee o oxbridgista, non esiste una perfezione “occidentale” da contrapporre o cui si contrapponga l’altrui barbarie. Tuttavia, dove non esistano davvero individui, neppure occasionalmente, domina, assolutamente incontrastata, una particolare ossessione da insetto. Ottima nella fabbrica, dove esser può essere canalizzata nella produzione preordinata, essa ha tuttavia forti valenze autodistruttive in un ordine sociale centrato su di essa. Ciò è già stato, non appena il mondo ha raggiunto la “multimillenaria grande civilizzazione”, che infatti di fronte al mondo s’è disfatta, pur credendo di continuare pur sotto altre forme. Ciò sarà ancora, tanto più che il recente forte sviluppo quantitativo della Cina più grande, la RPC, ha esponenzialmente aumentato l’arroganza dell’ossessione da insetti. Che è solo supponenza, non inversione od interruzione delle forti valenze autodistruttive di quell’ordine sociale.
In pratica, la “multimillenaria grande civilizzazione” s’è voluta convincere di continuare ad esistere perché la lingua scritta continua ad esistere. La lingua scritta continua ad esistere, pur in versione semplificata [che è già un’autodistruzione] perché esiste un grosso Stato cinese. Crollato quello, piu verosimile si passi a tante lingue alfabetiche, ben più pratiche ed efficienti, con conseguente stesso radicale cambiamento delle lingue parlate, dei vari cinesi oggi parlati. La perpetuazione d’una lingua è un po’ poco per pretendere che una “multimillenaria grande civilizzazione” continui ad esistere, ed, appunto, la stessa lingua cinese non ha le capacità di difesa e proliferazione di lingue con alfabeti greco, latino, cirillico, arabo ed altri. La lingua è l’ultima illusione. Essa, contrariamente alle lingue alfabetiche, è parte della maniacalità autodistruttiva cinese e non sopravviverà al crollo dello spazio cinese. Un ordine maniacale si preserva nell’assoluto isolamento. Da quando le Cine sono state raggiunte dal mondo, e non hanno retto il confronto, sono cominciate a sparire. Sono state tenute in piedi proprio dagli stranieri che non sapevano come gestire il crollo d’uno spazio così vasto e popolato.
Non è invero questione di “democrazia”. Anzi, la democrazia, invece, ben esiste nelle comunità di insetti, e nel senso più pieno, come democrazia militante dei maniaci. È grazie ad essa che, ad ogni livello, tutti si impongono ed impongono agli altri di pensare e di agire come tutti ritengono gli altri ritengano si debba pensare ed agire. Altra cosa è la democrazia formale, ed invero un po’ “fredda”, degli a Stati ritenuti a più solida tradizione cosiddetta liberale o liberal-democratica. È questa democrazia fredda che può permettere, talvolta, l’emergere e l’affermarsi di individualità, così come è, al contrario, la democrazia vera alla cinese, la democrazia militante dei maniaci, che è al servizio della distruzione dell’individualità. Si veda Orwell, 1984, grande testo politologico.
Nelle aree europee e di influenza europea, le categorie politologiche e sociali hanno sempre più assunto valenze ideologico-propagandistiche. Già del tutto inadeguate in contesti “europei”, esse sono tuttavia ancor più inadeguate e fuorvianti dove l’individuo non esista, non sia mai esistito, dunque non possa neppure avere un ruolo occasionale. Tale è lo spazio cinese e cinesoide. Occorrerebbero ancor più concetti ed ancora più precisione linguistica per rappresentarlo.
[*] http://www.folkdoc.idv.tw/classic/p02/ba/ba01/a1.htm che è la versione del 1924. La date riportate subito prima delle varie parti del testo sono differenti, tutte comunque del 1924. Infatti, i vari sotto-testi rappresentano appunti di lezioni o conferenze.
[**] Io li definisco correntemente “maoisti”, perché esaltati da una supposta potenza della Cina di Pechino, potenza che loro evidentemente vedono e che subentra a paradigmi ideologici [“nazionalisti” contro “comunisti”] precedenti superandoli. Sono i cinesi che credono nelle Grande Cina, eventualmente da realizzarsi dopo che la RPC avrà rinunciato al “comunismo”, in realtà al più presto. Psudo-teorie oxbridgiste del una Cina, due sistemi, od anche una Cina, tre sistemi, a parte, col passaggio dal pauperismo da campo di concentramento maoista al cinesi arricchitevi, che nel campo di concentramento aumenta la differenzazione ma anche la forza di chi il campo di concentramento comanda, ora, ancor più di prima, lo slogan già insensato di “comunismo” (il cui senso era “inserimento nell’area sottosviluppista assegnata in gestione al secondino russo”) è questione puramente terminologica, soprattutto in Cina o nelle Cine. La Cina è da sempre fondata sull’onnipotenza [almeno nelle intenzioni] del governo centrale. Lo si chiami “comunismo”, “nazionalismo”, “fascismo” “nazi-comunismo”, “campo di concentramento”, “asilo psichiatrico”, “democrazia popolare”, o, più semplicemente, “Cina”, non c’è mai stata, né c’è tuttora, alcuna vera differenza tra i vari regimi delle varie Cine. Cambiano i metodi formali. Cambiano le facce, le cricche di personale politico e di potere. La sostanza è la stessa, ora più povera, ora più ricca. Non la “libertà”, che non c’è nelle Cine essendo una contradictio in terminus. Sono solo differenti livelli di sviluppo, che derivano da differenti tradizioni di colonizzazione subita. Non c’entrano nulla “i regimi”. Singapore e Taiwan hanno poggiato sulla precedente colonizzazione inglese l’uno e giapponese l’altro. La Cina di Pechino sull’opera distruttrice inglese con ausili vari da parte d’altre potenze e sottopotenze. Distruzione della Cina e promozione finale del campo di concentramento maoista per lasciare la Cina nel congelatore: ecco il prodigio inglese. Le etichette del momento sono al servizio degli interessi, interessi di chi può imporli ed imporsi su altri che subiscono.
[***] La scrittura senza ventilazione può creare a volte dei dubbi se per esempio due caratteri siano una stessa parola (quando esiste) oppure abbiano due differenti significati a sé stanti (soprattutto quando vi siano parole formate da caratteri che sono anche avverbi, od altre particelle, ricchi di significati specifici), sebbene il cinese sembri non avere mai questi dubbi. Dunque è evidentemente questione di pratica.