26 September 2007

Lettera da Lhasa numero 85. Birmania. Per popolazioni lobotomizzate e corrotte, elezioni e governi civili non sono soluzioni

Lettera da Lhasa numero 85. Birmania. Per popolazioni lobotomizzate e corrotte, elezioni e governi civili non sono soluzioni
by Roberto Scaruffi

È facile, per i media, confezionare e far vivere emozioni che servono a presentare come naturali avvenimenti che rispondono ad interessi indicibili. Esistono delle centrali che cominciano e poi continuano a presentare inistentemente dei fatti, li fanno evento, li espongono nelle luci volute da interessi, sì che sembrino il problema mondiale del momento con tanto di soluzioni naturali, “buone”, a portata di mano. Quante volte v’hanno presentato soluzioni chiave, personaggi chiave, elezioni chiave, e poi è tutto continuato spesso pure peggio di prima? Dall’Afganistan, all’Iraq, alla Cambogia, ai mille leader messianici indonesiani, filippini, latino-americani, etc. poi tutti presto scomparsi nell’ignominia. All’improvviso, da salvatori, divenivano demoni, o semplicemente ladroni, con altri salvatori che subentravano radiosi. Ora, è il turno della Birmania e di quella Aung San Suu Kyi, pure con premio Nobel per la Pace che suona tanto bene ma che non significa nulla. Anche Rabin e Arafat l’avevano avuto e tutto è continuato come prima e loro stessi sono scomparsi, e non per naturale chiamata ai Cieli. I media vi presentano la foto, di solito ringiovanita, d’una 62nne sorridente che magari domani, o già oggi nella vita quotidiana di chi le è vicino, si rivela una pazza furiosa e pure del tutto inetta a governare e che porta a disastri rispetto all’attuale Birmania già povera. Tra i vari leader promettenti periodicamente venduti dai media per risolvere “drammi” mediaticamente prodotti, non sono ancora apparsi quelli che, volendo fare ma non riuscendo a fare nulla d’utile, a causa di circostante ambientali avverse, se ne vadano senz’arricchimento denunciando l’impossibilità di fare alcunché e le cause. In genere, o si trasformano loro stessi in “dittatori” oppure spariscono all’estero, quando non finiscono in galera e non per montature, pieni dei soldi sottratti mentre fingevano di governare “per la salvezza della patria”.

Non abbiamo il problema di stare con gli uni o con gli altri, sia perché non abbiamo preferenze, sia perché è senza senso, in genere, lo stesso schierarsi, e per giunta a seguito di condizionamento mediatico. Le considerazioni che svilupperemo qui sono puramente tecniche.

Il movimento attuale in Birmania, in pratica, scaturisce dalle decisioni governative del 15 agosto 2007. Il prezzo della benzina e del diesel è stato raddoppiato. Il prezzo del gas, usato dai bus, è aumentato cinque volte. Tutto lì. Vi sono stati aumenti dei prezzi determinati da questi aumenti con conseguenti malcontenti.

Tuttavia, in popolazioni lobotomizzate e corrotte, nessuno si lancia in movimenti collettivi di protesta, nessuno si mobilita per “la libertà” o per “la democrazia”, pur dietro lo stimolo dell’aumento dei prezzi a seguito dell’aumento dei carburanti. Di sicuro, altri interessi si sono inseriti e sono stati determinanti per la mobilitazione. La Birmania è ricca di materia prime, pur non sfruttate. C’è a chi sarebbero utili, anche nell’area. C’è a chi sarebbe utile sottrarle a chi sarebbero utili e volesse sfruttarle. Inoltre, la Birmania è il secondo produttore mondiale di narcotici, tra l’altro di ottima qualità, ed è area che fornisce schiavi sia per sfruttamento sessuale che per altro, oltre che essere centro di altre proficue attività illegali con cooperazioni anche oltre le sue frontiere. Nessuno, tanto meno in popolazioni lobotomizzate e corrotte, si mobilità contro il potere se non è spinto o se non si stente coperto da altri poteri che sono percepiti come più forti, non necessariamente migliori, del potere del momento.

Se si voglono vedere dei dati su alcune caratteristiche della Birmania li si possono travare, per esempio, qui:
https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/bm.html
http://en.wikipedia.org/wiki/Economy_of_Myanmar
http://www.sjsu.edu/faculty/watkins/burma.htm
http://www.atimes.com/atimes/China/II21Ad01.html
http://opennet.net/research/profiles/myanmar
http://www.atimes.com/atimes/Southeast_Asia/HH26Ae01.html

Il paese è ricco di risorse, per quanto largamente non ancora sfruttate. I militari mostrano una qualche capacità amministrativa che ha permesso sia di fronteggiare sovversioni (sottosviluppiste) “comuniste” che di trovare forme di coesistenza con gli interessi legati a traffici illegali, ma anche di esercitare su di essi forme di controllo.

Aung San Suu Kyi viene da famiglia di possidenti fanatici e sembra avere lei stessa tutte le caratteristiche della fanatica. Il padre, un nazionalista, che è stato pure tra i fondatori e primo segretario del Partito Comunista della Birmania, per poi passare ad altre avventure politiche, è stato ora alleato, ora nemico, ora in trattativa, un po’ con tutte le potenze d’area per finire infine ammazzato su ispirazione inglese. Aung San Suu Kyi è, invece, ora, promossa proprio dal lato anglo-americano.

Non è comunque tanto questione di Aung San Suu Kyi, che ha già riportato maggioranze elettorali, pur non essendole poi stato consentito di governare, e che potrebbe anche essere, impossibile saperlo ora, la migliore governante del mondo, per quanto, non essendo la Birmania la Gran Bretagna o gli USA, alla fine le capacità dei singoli non sono necessariamente valorizzate dalle strutture dello Stato e dall’ambiente circostante. Già, pure in GB e negli USA non è che il singolo, sia capace che incapace, possa fare quel che crede rispondendo solo o soprattutto agli elettori. Di certo, in contesti d’arretratezza, qualunque procedure democratica e qualunque leader “democraticamente eletto” non ha, solo per ciò, alcun vero potere. Spesso non ha del tutto alcun potere, se non di rubare quel che può mentre attorno a lui od a lei tutti fan lo stesso. I casi si ripetono nel mondo e tutte le “nuove speranze” vendute dai media finiscono sempre miserevolmente.

Una qualunque Aung San Suu Kyi, che arriva con partito politico con consenso maggioritario o plebiscitario, se nuove elezioni la promuovessero come già le passate nullificate, rappresenta inevitabilmente un assemblaggio di interessi famelici che vogliono mettere le mani sullo Stato per il proprio esclusivo vantaggio. O una qualunque Aung San Suu Kyi, conquistato il potere politico formale, si fa, nei fatti, generalessa e generalissima (delle FFAA già esistenti), o s’apre subito la corsa “civile” alla predazione dello Stato e del paese. Passata la festa per la vittoria elettorale, o d’incoronazione anche senza elezioni (i militari le lascessero il passo sulla base delle elezioni del 1990), non diminuiscono per magia i prezzi dei carburanti aumentati il 15 agosto 2007, ma s’apre la corsa dei sostenitori ad avere posti per predare.

Oggi come oggi, con un’economia che deve ancora decollare, la sovrapposizione d’un potere civile al potere militare (le FFAA non verrebbero certo soppresse da un’ evoluzione “democratica‘) porterebbe al proliferare dei centri di corruzione, alla proliferazione di milizie parallele cui l’area ha già propensione, eventualmente ad un collasso dello Stato che non è solidissimo senza che nulla di meglio lo rimpiazzasse e con parallelo collasso dell’ancora debole economia, traffici illegali (narcotici, traffico di schiavi, gioco d’azzardo) a parte che magari prospererebbero.

Le polizie e “servizi” dei vari Stati, anche “occidentali”, sono variamente copartecipi ai traffici delinquenziali dell’area (narcotici, schiavi, gioco d’azzardo). Dietro la copertura di “libertà e democrazia”, che non ci sarebbero comunque, si punta magari ad un collasso dello Stato birmano per incrementare proprio quei traffici. Chi interessato al benessere dell’area ed a proficui traffici legali con essa dovrebbe al contrario promuovere gli investimenti in sfruttamento delle risorse naturali della Birmania. Gli stessi militari birmani dovrebbero passare dall’amministrazione corrente alla modernizzazione radicale anche se ciò segnerebbe un domani, ma in contesti di sviluppo alla coreana ed alla taiwanese, il passaggio a governi più o meno civili e con regolari elezioni.

Embarghi di Bush a parte, che su aree scarsamente sviluppate non hanno grandi effetti e che, nel contesto dato, spingerebbero la Birmania ancor più verso una Cina che necessita delle sue materie prime, lo si vedrà nei prossimi giorni se il regime militare reggerà per sua forza interna. Si vedrà nei prossimi anni se la Birmania troverà ritmi di sviluppo quantitativo alla cinese, per cui le precondizioni strutturali potrebbero già esserci. Lo sviluppo cinese si fonda in gran parte sull’investimento estero. La Birmania è pure ricchissima di materie prime.

Con alto sviluppo quantitativo, oppure con economie mature, e con strutture dello Stato solide, la democrazia formale diviene un mezzo di responsabilizzazione dello Stato verso la popolazione. In Birmania, oggi si votasse e domani vi fosse un governo civile, la popolazione non ne avrebbe alcun vantaggio mentre si avrebbe l’immediata proliferazione dei centri di corruzione e predazione con possibile collasso d’un contesto strutturalmente già debole. Un collasso, oggi, delle FFAA di fronte alla protesta dei carburanti potrebbe essere l’inizio d’un collasso più vasto d’un area già poverissima, pur ricca di risorse non sfruttate.

Come ulteriore valutazione tecnica, possiamo dire che la repressione di piazza non è, in genere, segno d’una grande forza, di certo non d’un grande acume. Proteste pacifiche dovrebbero potersi sviluppare anche all’infinito, se i partecipanti credono e se non hanno di meglio da fare. Per quanto vi siano riflessi condizionati, in aree di masse lobotomizzate e dunque anche di classi dirigenti non particolarmente acute in cromaticità e profondità psicologico-spirituale, che possono indurre ad usare il bastone che magari è l’unico linguaggio masse lobotomizzate capiscono subito. È infatti quel che sta succedendo in Birmania. L’uso della repressione può dunque non essere necessariamente un segno di debolezza, se non altro certifica il consenso del momento dei manganellatori e massacratori, per quando non sia egualmente una soluzione di grande acutezza. Lo si vedrà presto per taluni aspetti, più sul medio periodo per altri, se i militari reggeranno e se hanno una qualche visione, anche solo d’autoperpetuazione attraverso un qualche sviluppo vero e radipissimo che crei un grande consenso attorno a loro. Già vincerla oggi, e non solo sul momento e di facciata, sui monaci, sarebbe, comunque, già un qualche deciso rafforzamento del potere militare.