30 September 2012

Letter from Lhasa, number 284. Noi


Letter from Lhasa, number 284. Noi
by Roberto Abraham Scaruffi

Veltroni, W., Noi, Rizzoli, 2009. 
(Veltroni 2009).
Walter Veltroni


Tre citazioni di autori come ad appropriarsi di una supposta scienza esterna e farsene belli. Una dedica “A Vittorio Foa” (perché non ad un altro od a nessuno?). Nei ringraziamenti, alla fine, nel file .pdf, il racconto dell’idea del libro venutagli a Cracovia quando, con alunni delle scuole di Roma di un viaggio ad Auschwitz, si erano intrattenuti con sopravvissuti, e la dedica del libro pure a loro (sia ai sopravvissuti che ai ragazzi). Una lunghissima lista di ringraziamenti. Quanti obblighi che si hanno quando si è importanti! In tutto ciò, Veltroni non esce mai dall’ovvio.

1943 L’estate, a parte qualche ridondanza retorica, ha ritmo. È serrato ed avvincente. Vi sono precisione storica e capacità narrativa. 

In 1963 La primavera, l’incedere è meno serrato, per quanto sostenuto ed interessante. È che il Veltroni politicante (uno dei tanti scrittori servili e luogocomunari avrebbe fatto lo stesso) deve incensare il tutto di retoriche resistenzialiste, equilibrate e moderate ovviamente!, e di sensati inni al progresso del momento (qui il 1963), o immaginandosi un pubblico di piccolo-borghesi ...o, se non si prefigurava lettori specifici, immaginandosi sé stesso od Il Partito lo avrebbe poi giudicato anche dalle sue operare letterarie.

La filosofia veltroniana è semplice. Se perdi e ti fanno il culo è solo colpa tua. ...Giusto! ...Ma non dire che sono venuti a liberarti! I nuovi occupanti erano solo dei burattini forzosamente coscritti agli ordini di oligarchie prosperavano e prosperano sulla guerra. Sennò nessuno si sognava di andare a fare la guerra per il mondo per ‘liberare’ il prossimo. Non è che facessero i liberatori dell’umanità, come si vede ogni giorno nel mondo. Ma Veltroni è così. Deve seguire sempre i conformismi imperiali. Gli manca la dimensione storica, la cultura, delle cose. Quello che, con luogo comune, lui attribuisce ‘alle dittature’, lo si ritrova dappertutto. Non può dirlo. Si è pre-censurato, lobotomizzato, reso cieco per essere accettato.

La sequenza di questa parte (1963 La primavera) è tipicamente cinematografica. Per una banale viaggio in auto Milano-Roma, ai due protagonisti ne capitano di tutte. Potevano entrare nel casello più prossimo a Milano ed uscire in quello più prossimo a Roma... Nei film, mai nulla è così semplice. Veltroni concentra avvenimenti, accadimenti. Patetico il gerarca che tradito, nel 1943, poi telefona al padre dalla Spagna per perdonarlo e coinvolgerlo, come autista di consegne in Italia, nella sua impresa di trasporti, ed il padre che muore sotto casa accasciato sul clacson un giorno al ritorno da uno di quei viaggi. 

...Suspense cinematografica. La moglie malata che lui sta raggiungendo a Roma per vedere se sia guarita e pronta per essere riportata a Milano, sparisce mentre padre e figlio maggiore stanno raggiungendo Roma. Appunto, capitano tutte a loro in quel banale viaggio in Volkswagen.

Il suo filosofeggiare su Dio sono davvero quattro cazzatelle da sacrestia. Banale e risibile quel: ‘Anche Dio può perdere.’ ...Se tale è il livello dei suoi personaggi, cioè dell’autore... Veltroni non conosce il dubbio. Risolve sempre tutto con vaneggiamenti che sembra suonino bene. Ed il bimbo che, al livello di quelle sciocchezze, conclude che, ad (lui dice ‘durante’) Auschwitz, Dio pregasse... Aspettava chi vincesse?! ...Al peggio non v’è mai limite. 

Ecco che ritrovano la moglie-madre fuggita, che si rianima quando il marito le fa vedere un ritratto lui le aveva fatto quando si erano conosciuti nel 1943. Pennellate strappalacrime per una immaginaria sotto-storiella a lieto fine.

In 1980 L’autunno, siamo al figlio Andrea, il figlio del bimbo del 1943, quell’Andrea ancora bimbo nel 1963, che sta chiedendo ad una lei, la moglie, perché lui non le basti. La prole si restringe. 3 nella famiglia del 1943, due in quella del 1963, 1 ora (‘prodotto’ durante un’occupazione d’università).

Ed ecco che Veltroni, ligio impiegato di partito, deve fingere che le persone abbiano idee. Mentre di solito vi sono solo circostanze. Guadate lui... Per cui, lui imbastisce dialoghi sulla sua ortodossia. In fondo, la politica gli ha dato da mangiare e pure in abbondanza. Coi soldi ti danno pure la linea.

Famiglia in crisi. Lui che fa il cronista a salario da fame per qualche radio di movimento. Lei che guadagna bene come pubblicitaria. Figlio undicenne che sa tutto ma loro si illudono di tenerlo lontano dai loro problemi. Lei che non sopporta più il marito ma che, per ora, invece che trovarsi altri, si è trovato uno psicoterapeuta. Lui che vorrebbe tutto fosse come prima e che non si capacita che lei si sia stufata.  

Intanto il padre, il bimbo del 1943, poteva non ricevere una lunga lettera strappalacrime da un bimbetto che aveva incrociato dopo il bombardamento alleato di Roma e che aveva scaricato ad un prete, restando pentito di averlo ‘abbandonato’? Non, non poteva. La riceve. Lunghissima. E con seguiti ulteriori. Veltroni ha sempre bisogno di far chiudere i cerchi, di far incontrare e rincontrare i suoi personaggi.

La moglie del bimbo del 1943, Giuditta Anticoli, effettivamente esistette, ma nata il 20 luglio 1936, deportata ad Auschwitz e mai tornata. Idem i familiari. Nessuna clemente famiglia romana la ospitò per sottrarla alla deportazione. ...Quella di Veltroni sarà un’altra... I tedeschi avevano liste dell’anagrafe, per cui andavano ad indirizzi precisi... Non è che trovassero ‘gli ebrei’ per strada, come nei film. Ma ai Veltroni fa sempre comodo tacere i dettagli. Si etichetta il male e si srotola tutto da solo.

Dei 1024 ebrei di Roma deportati il 16 ottobre 1943, ne tornarono 16. Altrettanti furono arrestati dopo, a Roma. La RSI esisteva già. In precedenza erano stati liquidati, a Roma, i CC, almeno quelli, molti, che non erano confluiti nella GNR.

Senza cooperazione italica nessuno poteva avere le liste degli ebrei italici, la stragrande maggioranza dei quali riuscirà comunque a sopravvivere coperta e a non essere deportata o ammazzata in loco, sebbene nelle statistiche sulla questione si debba considerare che la macchina tedesca dello sterminio opera nelle aree non ancora occupate dagli alleati. Dove si fideranno dei rabbini, non avranno molte possibilità di sopravvivenza.

Per cui, gli ebrei italici sopravvissuti sono meno se si considerano quelli in pericolo, non coloro che erano magari al sud già occupato dagli alleati. Nel Regno d’Italia, le persecuzioni non si erano tradotte in sterminio. Nel Regno d’Italia, gli ebrei, di qualunque nazionalità formale fossero, erano protetti rispetto alla macchina tedesca di deportazione sterminio. Mussolini (quello del Regno d'Italia) si inframmetteva, dove fossero in pericolo. La RSI è uno Stato fantoccio.

Eppure, nonostante tutti questi pentiti e convertiti del dopoguerra, qualcuno (un impiegato, un dirigente) dà le liste dell'anagrafe ai tedeschi, invece di farle sparire. Non che fosse semplice. La realtà non è mai eroismo cinematografico. Eppure... Erano solo fogli... Anche all'estero, c’è dove cooperano e dove non cooperano con la macchina del concentramento e sterminio. Basta dire di sì e far sparire le liste.  Quando i tedeschi chiedono il pegno di oro, a Roma, è chiaro che è l'estorsione prima di deportarli. Chi si illude li sta ad aspettare, sebbene anche lì non è che fosse sempre facile fuggire. Eppure, sempre meglio in marcia per il fronte e fuori Roma, che stare ad aspettare lo sterminio quasi sicuro.  

Ovviamente, Veltroni, lui che pretende conoscere il bene ed il male, non può dirvi che Megele passò al servizio anglo-americano e che continuò i suoi esperimenti negli USA, negli UK ed in giro per il mondo, ovunque i nuovi padroni gli offrissero possibilità. Lui vi parla di quello cattivo. Sapete come siano gli ‘specialisti’, anche ‘criminali di guerra’. Un po’ se li sono presi gli anglo-americani. Altri i russi... Così va il mondo. Non può esservi spazio per ciò nelle sue storielle strappalacrime da vecchio scribacchino di partito. Lui stesso, avessero vinto gli altri, sarebbe oggi ardentemente nazifascista.    

Tra mellifluità ed ortodossie varie (Veltroni non potrebbe mai lavorare di vera introspezione, nell’analisi dell’altro), ecco che si arriva alla suspense finale di questa parte. Suspense che chiude. Dove inizia l’azione, Veltroni tronca. Troppo pericoloso. E se poi qualcuno presenta come suo qualche pensiero od espressione non eterodossa di un personaggio? Tronca e poi, in altra parte del libro, ti dice veloce come s’è conclusa la cosa. 

I figli dei bimbi del 1943 si ritrovano uno radiocronista di sinistra più o meno ortodossa e l’altro... Ecco il fratello maggiore, il radiocronista, trova la voce del fratello minore in una rivendicazione della Walter Alasia ed altri indizi in effetti lo riconducono ad un assassinio proprio sotto casa sua, sua di lui fratello maggiore. Dato che lui, il fratello maggiore, Andrea, si era espresso, a caldo, con toni feroci su quell’assassinio, di cui era stato più o meno testimone, riconosciuto il fratello, che pur nega, che fa? ...Lo denuncia? Scopriamo poi che lo avrà fatto e già se ne hanno rapidi preliminari.

Oh, che caso. Di lì a pochi giorni, ecco che negli USA viene ucciso John Lennon. Su tutto ciò, dopo molto tempo di separazione di fatto, lui e la moglie, bellissima e sanamente cinica, si fanno una sana scopata. Veltroni butta proprio tutto in politica, o quel che a lui sembra politica. Che c’entra? Lei ha disgusto di lui, ma... Veltroni è un familista... Dopo di lui lei non avrà più nessuno di suo, solo chiavate da qualche settimana in continua successione.

Oh, sempre il caso! ...Quel pomeriggio, alla radio, in una specie di dibattito BR sì-BR no, ecco che il fratello Alberto telefona confessandosi come il protagonista della rivendicazione. A quel punto non basterebbe la retorica. Occorrerebbe analisi dei personaggi e delle loro interazioni. Troppo rischioso, anche ad esserne capaci. Meglio passare ad una nuova parte del libro.

Ed ecco una nuova parte, la finale, 2025 L’inverno. Qui ci sono i bimbi del 1980. Anzi, il bimbo di quella famiglia Noi, Luca, che ha fatto in tempo a sposarsi, fare una figlia ed andarsene via di casa. In questa parte, il lettore apprende che poi Alberto si è fatto dieci anni. Se l’è cavata bene anche se aveva solo curato l’inchiesta e la rivendicazione dell’omicidio. Cosa da ergastolo, soprattutto di quei tempi. Naturalmente perdona ed anzi ringrazia tutti di averlo denunciato.

Questa parte finale, nella parte futuristica è costruita come per uno schermo, ottima per farvi un film, dove le immagini catturino l’attenzione dello spettatore. Per il resto, è un misto sdolcinato nostalgico. Precisamente quello che l’autore voleva trasmettere. Fede positivistica nel progresso e nostalgia per quello che si perde. ...Non è che sia così semplice.   

Ad ogni parte di questo libro, il ritmo declina rapidamente, per lasciare spazio a visioni desolate, dove diversi mondi coesistono, ma senza suscitare mai veri dubbi allo spettatore ...perché se il censore ti mette nel mirino poi uno come vive. Grandezza per chi coesista con le censura esplicita. Fariseismo per chi conti e si conti di operare in una inesistente libertà. Se ad un lettore non piaci... Ma se la macchina di partito, comunque ora si faccia chiamare, ti mette di mezzo per qualche eterodossia in relazione alle sue idiosincrasie ed ai suoi stereotipi...


Veltroni, W., Noi, Rizzoli, 2009.