21 February 2013

Letter from Lhasa, number 302.
Se volete scrivere, fatelo!


Letter from Lhasa, number 302. Se volete scrivere, fatelo!
by Roberto Abraham Scaruffi

Cotroneo, R., Manuale di scrittura creativa per principianti, http://goo.gl/3ZlQR .
Roberto Cotroneo


Il libro, ora in distribuzione gratuita in file .pdf, è un utile testo per vedere che cosa si insegni, o taluni insegnino, nel campo, cosa gli allievi, o taluni allievi, si facciano insegnare e, magari, per cercare di riflettete su cosa non fare, pur insegnato e consigliato da esperti.

Non è affatto vero che si scriva necessariamente per gli altri. Si scrive perché si scrive e le ragioni possono essere le più differenti. Per esempio, nella scrittura come auto-terapia, la terapia è insita nella scrittura non nel fatto di essere o meno letti. Si interpretano personaggi, si vivono situazioni, come fossero reali, si sceglie cosa interpretare e vivere. Queste esperienze, pur solo simulate, possono cambiare la personalità nella direzione voluta dall’autore.

Comunque, se potete, scrivete in modo da potervi piacere ed ammirare, e da farvi piacere ed ammirare mai qualcuno vi leggesse.

L’immaginarsi un pubblico, od averlo, anche se limitato, come accade in siti e forum letterari, è un limite gravissimo perché non siete più liberi di scrivere come volete e vi chiedete costantemente come quel vostro critico od ammiratore reagiranno. Il vostro mondo viene chiuso e condizionato da chi vi ha apprezzato o disprezzato.

Non scrivete per gli altri, anche quando abbiate un pubblico. Scrivete per voi, senza dover compiacere nessuno. ...A meno che non siate editorialisti del Corsera per cui vi pagano perché piaciate al committente e perché trasmettiate i contenuti vuole trasmettiate e nel modo stabilito. A volte, per immaginarvi quello che potrebbero pensare di voi un paio di lettori attivi ve ne precludete milioni silenti.

Scrivete per voi stessi. Cancellate il pubblico, quando scrivete. Intanto, se trovate un editore, vi fa riscrivere e banalizzare tutto da altri. Vi rovina quello che avete scritto secondo un presunto gusto di un immaginario lettore medio. Se pubblicate da voi in siti dove ciò si può fare gratis, anche quando si voglia vendere l’opera, vi evitate di farvi rovinare il frutto del vostro lavoro.

Si suppone ovviamente che sappiate usare dei codici espressivi ed in modo che un lettore più o meno capisca almeno la lettera di quello avete scritto. Se vi capite voi, è possibile vi capiscano pure gli altri, altri comunque da sopprimere dal pensiero nel momento della scrittura. Anche se scrivete diari sperate nessuno mai legga, vi capirete, se mai li rileggerete, solo se sono scritti secondo un qualche criterio standard. Un po’ di scienza (cultura, istruzione) non guasta mai. Grammatica e sintassi si possono violare, ma quando le si sappiano maneggiare.

A volte si sentono persone che dicono di avere idee ma necessitano chi le scriva loro. Non sono sicuro che la cosa funzioni. Se non siete capaci di usare la punteggiatura, a cominciare dai punti, idem le maiuscole, avete bisogno di una maestra o di un maestro. Il linguaggio degli sms, o molto linguaggio usato on-line, non va bene per farsi comprendere davvero. Spero che taluni scrivano strambo per atteggiamento. Ma sospetto che molti proprio non sappiano scrivere.

Tutto cambia se siete una penna in affitto per cui dovete scrivere secondo un contratto formale o meno. In tal caso, scrivere per un padrone che deve essere soddisfatto del vostro lavoro.

Se scrivete per piacere, per necessità psicologica, scrivete dunque per voi e solo per voi. Il pubblico non esiste. Anche se scrivete per diventare qualcuno, chi vi dice che un certo supposto gusto medio porti più lettori del vostro estro originario?

Cotroneo scrive per sedurre il mondo, dice lui. Speriamo lo abbia sedotto. Chissà quale sia la via per sedurlo meglio. Non abbiamo ricette. Qualunque cosa vogliate fare, cercate la vostra via. Scienza dello scrivere, alias tecnica, e cultura certo non guastano mai. Anzi, possono solo aiutare.

C’è anche chi scriva più libri di quanti ne abbia mai letti. Non so se qualcuno dicesse che Montanelli fosse di quella categoria, sebbene una generale cultura umanistica e di vita certo non gli mancasse. Non tutto è necessariamente libresco, così come l’arte della parola non è necessariamente scritta. Guardate un D’Alema che mi sembra parli in modo più o meno corretto. Non ha letto nemmeno i libri pubblicati col suo nome come autore (glieli hanno scritti altri), e di livello culturale deve essere piuttosto bassino anche se si fa credere un pozzo di scienza. E voi volete farvi problemi a cominciare a scrivere, se ne avete voglia, perché magari maneggiate poco la lingua e pure altre cose?! Esiste anche il learning by doing che non sarebbe altro che una forma dell’apprendere facendo. Non è che se vi inventate di scrivere di filosofia impariate la filosofia ma magari imparate a, o migliorare nello, scrivere.

L’ansia della pagina bianca. Se avete delle cose da dire, vengono giù, parola dopo parola, riga dopo riga. Potete poi ampliarle o ridurle. Inutile, quando non si padroneggi ancora l’arte, imporsi di scrivere poche righe o migliaia di pagine. Un racconto od un pensiero può essere cortissimo o lunghissimo. Non potete sapere cosa uscirà fuori quando vi avventuriate nell’arte dello scrivere. Vi sono cose lunghissime che sono indigeribili. Quello che produrrete dipenderà da quello potrete e vorrete. Se proprio non sapete cosa scrivere, lasciate perdere. Magari leggete o pensate. Non che le sue cose siano antitetiche. Verrà fuori, poi, qualcosa che possiate gettare su un pezzo di carta, ...ormai su un video (in realtà sul disco fisso) di computer o simili.

Scrivere troppo non è un difetto. Se un giorno siete in vena creativa e scrivete per ore, od anche di più, non c’è nessuna ragione di fermarvi perché il tempo è scaduto, se avete la possibilità di continuare. Bene darsi degli obiettivi minimi, non dei limiti massimi. Strafare non è un difetto. C’è chi scrive opere a getto, in pochi giorni. Tutti di tanto in tanto possiamo averne l’impulso. Fatelo!

Quando avete delle idee, mentre state scrivendo altre cose, o siete occupati in altro, buttate giù appunti. Se non lo fate, rischiate di dimenticarvene. Una cosa è scrivere senza avere necessariamente una struttura predeterminata. Ma quando la struttura scaturisce, segnatevi dei possibili paragrafi o capitoli o parti, e nel punto in cui vorreste inserirli. Se fate un sogno e vi sembra utile od importante, buttatelo giù subito. Dopo, ve lo sarete dimenticato per sempre. Non è affatto detto che il metodo da ragioniere di Moravia fosse il migliore. Scrivete quanto volete e pure in stato semi-ipnotico.

Usate le buone idee altrui. Ma voi siete voi. Non dovete sottomettervi a limiti. Evitate possibili difetti, non i pregi.

Rileggete e correggete quando ne sentite il bisogno. A volte non serve, altre è utile per continuare meglio.    

C’è chi ha bisogno di concentrazione e silenzio, e chi di stimoli, oppure l’uno o l’altro a seconda dei momenti. Musica, audio, televisione, film sullo stesso schermo in cui state scrivendo, se ne sentite il bisogno. Meglio vi sentite, meglio scrivete. 
   
ESERCIZIO. Iniziate a scrivere. Se non vi viene nulla, cominciate  scrivere cose senza senso. È egualmente ottimo.

Una trama narrativa? Un racconto può svolgersi in tanti modi. Meglio le banalità della vita quotidiana e cose fanta che quelli che si immaginano il segreto [impossibile] che farebbe crollare la chiesa romana. Sfidate pure l’impossibile ma non le sue banalizzazioni. Anche lì, non è affatto detto. Esistono tante di quelle sciocchezze in circolazione che magari è quella la via per divenire famosi e far soldi. Tentate quel che preferite.

Si può anche partire con varie storie che poi possono fondersi. Così come si può partite con una storia da cui scaturiscano poi opere differenti. Non è affatto detto che si debba scrivere una cosa alla volta.

Inutile fingere conoscenze che non avete. O ve le fate, od evitate di bluffare. Romanzi storici, ed ambientazioni in luoghi o contesti che non conoscete, richiedono studio.

ESERCIZIO. Immaginate una storia con conoscenze non avete e fate una ricerca su quello che dovreste studiare per poterla scrivere.

Come si inizia una storia? Consultare varie opere, vari inizi. Poi fate come credete. Iniziate subito e senza tante storie. Se invece ne siete capaci, non è che i preliminari, quando evitino ogni affettatezza, non siano ottimi e gustosi. Lessi da qualche parte che “Era una notte buia e tempestosa” era l’inizio peggiore per un romanzo. Perché mai? Se fosse stata illuminata e tranquilla? O se si fosse raccontato che lui o lei procedevano nel buio e tra scrosci di pioggia e fulmini?

Non avete mai bisogno di un vero inizio. Come non vi necessita una vera fine. Le conclusioni aperte sono le migliori. Neppure una assoluta linearità tra inizio e sviluppo ha alcuna imperiosità. Anzi, la vita scritta, la narrazione, avvince di più con imprevisti. 

ESERCIZIO. Scrivete di preliminari di sesso, o di qualunque altra cosa (un dolce, un concorso, un evento di qualunque genere). Ma al momento di passare dai preliminari alla consumazione, ecco che il tutto viene interrotto da un altro evento. Può essere l’inizio di un romanzo, come può essere un corto racconto e sé stante.

Le descrizioni possono essere un rapido, sintetico e completo schizzo. Ci si può soffermare sui dettagli (possibilmente non con l’affettatezza falsa di un Eco) e sulla stessa descrizione costruire storie. Come si possono usare tecniche differenti.

A differenza del film, dove tutto deve essere formalmente perfetto, completo, nella parola scritta gran parte è lasciato all’immaginazione del lettore. Certo, essa va stimolata da chi scrive. Nel film, lo spettatore vede tutto e non coglie quasi nulla. Nel racconto, il lettore costruisce di suo, aiutato dalla parole dell’autore.

Il film impone cosa immaginarsi. La scrittura lascia molto al lettore.

ESERCIZIO. Descrivete quello che c’è a 20'000 metri di profondità, un dialogo tra due astronauti abbandonati su Marte, e quello che si possono dire un minatore congolese ed un accademico cinese.  

I dialoghi veri sembrano finti, se trascritti? Non ne sono sicuro, se trascritti nel modo giusto. Ed allora al cinema?

I dialoghi possono essere scarni oppure con descrizioni di contorno che portino meglio il lettore nella situazione. Si può usare anche la forma indiretta, quella senza le virgolette, dove si racconta quello che i personaggi si dicono. Si possono combinare le varie opzioni. 

ESERCIZIO. Scrivere il dialogo tra uno statista che ordina di commettere un massacro e un agente segreto che rifiuta. Potete sia usare le virgolette che riportare quello si sono detti. A voi la scelta.

Digressioni di primo e di secondo grado, queste ultime interne alla storia oppure secondo logiche in qualche modo esterne.

In pratica, con la digressione di primo grado, ci si ferma e si approfondisce un aspetto che si sarebbe anche potuto tralasciare. Una piccola storia nella storia. Un approfondimento.

Le digressioni di secondo grado sono inframezzi più netti, anche lunghissimi, che magari si riannodano alla fine, o dopo, giustificandosi nella interezza del racconto. Il lettore viene trasportato altrove pur non dimenticando, riprendendo più avanti, di che si stava parlando prima. Magari il lettore si chiede dove si voglia andare a parare e poi si aspetta che, se si parla per pagine e pagine di altro, il cambio di argomento abbia un qualche senso, e deve ben averlo. 

La digressione di primo grado integra e magari pure ventila la narrazione. Quella di secondo grado è un blocco apparentemente separato che poi trova una sua giustificazione narrativa.

Può essere uno dei tanti modi di dire cose interessa dire, anche se sembra non c’entrino nulla. Ad uno può interessare farsi una tirata politica. Ad un altro può piacere lanciarsi in ragionamenti filosofici, scientifici od esistenziali.

ESERCIZIO. In una descrizione di aperitivi inserire una digressione di primo grado. Poi cominciare a parlare a lungo di ravioli e ‘giustificate’ infine questa digressione di secondo grado nel racconto sugli aperitivi.

Gli stili sono un po’ come i cappelli di Edward de Bono. Si può usare sempre lo stesso. Meglio se se ne usano differenti a seconda delle situazioni o delle necessità.

Come già suggeriva il Leopardi, quanto più tutto scivola con naturalezza, tanto più ciò è prodotto di lunghi studi ed applicazioni. Quando vi sono inciampi, incertezze, goffaggini, l’autore non è ancora sufficientemente formato, se mai si formerà compiutamente.

Lo stile è qualcosa di più o differente, trasmettendo stati d’animo e valori. Al limite, esso può determinare accettazioni o reiezioni da comunità di intellettuali e scrittori. Può essere elemento di identificazione come di discriminazione. Un autore può usare stili differenti tratti da altri autori o movimenti o contesti etc., come può avere proprie marcate caratteristiche.

Gli stili sono differenti modi di scrivere, anche usi differenti di parole differenti. Confrontate come parlino dei muratori e degli avvocati. Per quanto nulla sia mai troppo originale sotto il sole. Può capitare di curiosare in fornite biblioteche e di scoprire un autore che pensiamo essere noi stessi, per come scrive, mentre altri non ci inducono neppure un po’ a tale identificazione. Ecco che sono stili differenti.    

Forse difficili da definire, si riconoscono subito stili, marchi, differenti. La cosa si complica con le traduzioni, dove lo stile del traduttore si combina variamente con quello dell’autore, o viene da esso sostituito. Per questo, v’è chi sostiene che si debbano leggere gli autori solo in lingua originale.

ESERCIZIO. Descrivete brevemente un incidente stradale, mettendovi, uno dopo l’altro, i cappelli del depresso, dell’allegro, dell’invidioso, del pietoso, del minimalista (elementare, asettico), del realista socialista sovietico o para-sovietico, e dell’ottimismo yankee. Gli ultimi due potrebbero forse essere identici, a seconda di come lo scrittore se li immagini. Si confrontino poi gli stili dei 7 differenti pezzi. 

Parlate, scrivete, di quello conoscete o potete conoscere, o studiare con cura. Se v'è qualcosa non conoscete e ne volete parlare, dovete prima apprenderla e ben padroneggiarla. Inutile mettere in bocca ad un personaggio disquisizioni, anche semplici, di equazioni differenziali, se conoscete appena la tabellina fino a 10x10. Inciampereste subito.

Ancora più complicato andare indietro nel tempo e pretendere di inserire riferimenti di cui non siete per nulla sicuri o che neppure immaginate. O si studia tutto con cura, e nei dettagli, come fa un Eco, anche se poi lui non grandeggia come narratore, o meglio lasciar perdere.

ESERCIZIO. Scrivere un racconto su un matrimonio azteco.  

La temporalità della narrazione la decide l’autore. Può raccontare al presente, come di eventi che si stiano svolgendo mentre li riporta, o come di una storia passata. In un caso o nell’altro, o come terza opzione, ci si può anche muovere su tempi differenti. Pur raccontando al presente, può essere inevitabile riferirsi ad eventi passati.

L’uso dei tempi grammaticali richiede tecnica. Meglio che sappiate usarli ma anche abusarli. Participi passati o passati remoti? Anche solo da ciò nascono stili differenti. Purché posizioniate la vostra narrazione nel tempo, ed il lettore capisca, non è affatto detto che non si possa usare il presente sia per il passato che per il futuro.

ESERCIZIO. Raccontare al presente un matrimonio inca in cui l’autore/autrice sia lo sposo o la sposa. Riscriverlo poi come narrazione di un evento passato.

Siate voi, ogni volta che potete, il protagonista e viviate voi quello che raccontate. Nel romanzo non avete limiti. Potete fare quello che volete. Non raccontate cose da voi fatte e per cui potrebbero incriminarvi. A qualcuno è successo. Raccontate e fate di peggio, semmai, ma solo nella narrazione.

Potete usare la prima o la terza persona. Se non vi piace, o se il contesto non lo rende possibile, parlate di vite altrui, senza identificarvi.

Ovviamente, non pagare mai per pubblicare un testo. Vedete cosa racconta Cotroneo.

Il business delle case editrici è una lotteria. Sono sempre alla ricerca di autori, anche se ora le nuove tecnologie stanno cambiando tutto, ...i modi, non che necessitino di autori. Ricevono masse immense di proposte/testi. Sono come quei selezionatori di CV che ne ricevono 500 per un posto e devono estrarne, in cinque minuti, cinque o dieci per approfondire che contengano ed eventualmente convocare qualcuno dei candidati per la decisione finale. Spesso scelgono pure la persona sbagliata ma, alla fin fine, se la fanno sembrare giusta se proprio non entri in rotta di collisione inevitabile con le esigenze dell’impresa. 

Se un editore vi sceglie, quello che poi pubblica sarà una cosa differente. Taglia e magari riscrive tutto. Cotroneo dice che in Italia non succede. Non siatene troppo sicuri, ma può essere che abbia ragione dato che lui ha pubblicato con editori.

Molto tempo fa, in una piccola esperienza non retribuita, io mi sono visto il raccontino tagliato, eppure era tutto vero anche se poteva sembrare inverosimile, o forse non fu capito quel che avevo scritto. Fu tuttavia rimaneggiato con tagli solo perché qualcuno o non capiva ad una lettura frettolosa o gli sembravano cose troppo stravaganti.

Non essendo nella vostra testa, dunque nella vostra logica della narrazione, se intervengono lo fanno secondo supposte convenienze loro. Magari fila tutto, ma al censore una certa cosa non piace.

Gli editori fanno rileggere il tutto (non solo per la correzione ortografica), per cui non siate sicuri di nulla. Il ‘censore’ non capisce, od una cosa non gli piace, per cui la taglia o la riscrive. Magari voi ci tenevate ed il lettore avrebbe apprezzato quel che voi avevate scritto.

Esiste anche un altro aspetto. Se qualcuno viene pagato per revisionare un testo, deve poi dimostrare di essere intervenuto su di esso. Se è pagato tanto, lo riscrive tutto. Se è pagato poco, dà qualche botta occasionale. Oppure esistono politiche aziendali per cui si riscrivono i testi o si aggiustano solo.    

Contratto di pubblicazione. Voi firmate. Loro firmano. Vi pubblicano. Però vi trovate pubblicata, col vostro nome, una cosa che non sentite più vostra a seguito dei loro interventi.

Cosa diversa è se voi avete il pieno controllo del testo e loro si limitano ad indicarvi quello che non si capisce, che non scorre, od uno stile tutto da rivedere. Ma se voi firmate che poi loro pubblicano quel che vogliono, di vostro può restarvi solo il nome su un’opera loro. Certo, se vi rende, la cosa può anche lasciarvi indifferenti.

Con internet è tutto differente.

Potete scrivere senza intenzione di far soldi, o non subito. Per cui pubblicate su un vostro sito, anche gratuito. Pubblicate quel che avete scritto, subito, senza burocrazie. Potete correggerlo o ritirarlo, se mai vi gira farlo. Potete pubblicarlo su vostri siti (per esempio un blog ma usato come raccolta di racconti, saggi, opere anche lunghe), così come potete pubblicarlo, in contemporanea, su siti letterari gratuiti. Ve ne sono. Non è detto che lo leggano centinaia, migliaia o milioni di persone, ma anche pubblicato da un editore, sono pochi poi gli autori di massa. Moltissimi sono pubblicati tanto per pubblicare e le copie stampate ritornano in gran parte invendute.    

Potete scrivere sperando di far soldi. Vi sono siti dove, senza costi, potete pubblicare subito, stabilire o viene definito un prezzo, chi vi vuole leggere paga. Voi avete la vostra percentuale. Invece che essere stampato e distribuito il libro, vi è solo una pubblicazione elettronica cui provvedete direttamente, senza burocrazia e senza costi. In alcuni casi, il lettore può volere la copia cartacea che, da parte di alcuni siti/imprese, viene stampata ed inviata ad hoc, con prezzo ovviamente considerevolmente più alto che per il solo file.

Se vi fate un nome, magari vi leggeranno milioni. Sennò solo qualche volenteroso. Come già detto, non è che con un editore tradizionale sia diverso, a meno che non decida di investire massicciamente in promozione su di voi. I libri di narrativa sono comprati perché se ne parla et similia, gli altri idem in un modo o nell’altro (o perché hanno qualche accredito: un certo editore, una certa collana scientifica), non perché il lettore li scopra in uno scaffale. In quest’ultimo modo, ne potete vendere cinque, dieci o qualche decina.

Se un editore vi pubblica, già è un problema/caso/fortuna che arriviate a trovarvi il libro in vetrina nella sua rete di librerie, se è un editore con librerie. La maggior parte dei libri viene pubblicata per andare “al macero”, che magari significa entrare nel giro dei bancarellai che comprano quasi per nulla libri che venderanno dopo venti anni per quattro soldi. Già va bene se vi pagano o vi pagate una presentazione con pasticcini, dove vendete cinquanta copie a cinquanta conoscenti, se avete una rete di conoscenti. Sarà un caso se ne venderete altre, se è solo narrativa. Soprattutto oggi, con quello che si può leggere on-line senza pagare nulla. 

Gli Umberto Eco sono operazioni commerciali indipendentemente dal valore intrinseco dell’opera. Ve ne sono di meglio che non vendono nulla solo perché nessuno investe in pubblicità, inclusa la pubblicità sottile come quotidiani e riviste che ne parlino. Penserete mica che ciò avvenga per caso?

I meccanismi della pubblicità in tutte le sue forme, premi letterari inclusi, sono governati in gran parte od in toto dal mercato editoriale. L’essere stato scelto da un editore, se non vi fa grandi pubblicità per farvi vendere milioni di copie, non vi garantisce di più che provvedere alla pubblicazione diretta ed immediata su questi siti commerciali ma per voi gratuiti. Il lettore paga a loro che vi accreditano la vostra percentuale.

Scoprite e verificate i vari siti. Ve ne sono alcuni grandi e rinomati in inglese, e che pubblicano anche in altre lingue, ma anche altri altrove.

Ve ne è almeno uno in italiano che fa le stesse cose, ma prima pretende di leggervi (cosa che richiede mesi), per cui seleziona chi pubblicare o meno. Non è garanzia di qualità. Si complicano solo la vita e la complicano allo scrittore o scrivente. Evitate chi crea ostacoli. Se scrivete un pastone illeggibile, sarà il mercato stesso a scartarvi, o lo stesso editore on-line vi escluderà se avete pubblicato x e y invece di un testo più o meno leggibile. 

Le maniere per farsi un nome, dunque per poter interagire profittabilmente con l’industria editoriale (sia tradizionale, o para-tradizionale, che on-line), sono varie, complesse e spesso aleatorie. Certo, se siete professore universitario siete in partenza meglio piazzato che se siete un muratore magari coltissimo e con studi in varie università di paesi differenti. ...Solo in partenza. Poi non è detto.

Farsi un nome non ha necessariamente connessione con la vostra qualità o prolificità. Non è neppure necessariamente connesso al numero di ricorrenze sul motore di ricerca di google.

Mi sono trovato ad avere sui 5 milioni di ricorrenze (con nome e pseudonimi). Poi, a seguito di un qualche cambio di algoritmi di google, sono crollate. Dopo, con piccole risalite, stanno riavvicinandosi ai 3 milioni, ...salvo nuovi cambi, ‘depressivi’, degli algoritmi di google che possono abbattere anche drasticamente il numero di ricorrenze. Infatti, alcuni giorni ad alcune ore si decurtano di un 80% per poi risalire ai livelli usuali. Ricorrenze non significa pezzi pubblicati. Vi sono meccanismi proliferativi per cui ogni cosa pubblichiate, anche poche parole di un commento, viene variamente intercettata e riprodotta. Per esempio, voi pubblicate un testo e le vostre ricorrenze balzano di qualche migliaio. Oppure restano ferme, anche a seconda di come un certo sito venga considerato dagli algoritmi di google.     

Milioni di ricorrenze non significa essere “un nome”, cosa che chi scrive non è (credo...), intendendosi con “nome” un qualche pubblico ed universale riconoscimento in qualche campo, campo con risonanza. Sennò, in piccoli ambiti, non è difficile auto-fabbricarsi come “nomi” o come piccoli guru. Ve ne sono a bizzeffe. Se vi basta...

Molti ambiscono ad essere “autori/scrittori riconosciuti”. La cosa può essere interpretata in vari modi. Vi sono associazioni di scrittori, i taluni paesi, che vi ammettono, previo pagamento, se avete avuto almeno un libro pubblicato da un qualche editore. Per altri, sentirsi riconosciuto può essere avere avuto qualche libro pubblicato da una casa editrice per cui con, inevitabilmente, qualche positiva recensione da parte di qualcuno che non vi ha letto, recensione che vi viene fatta avere (come incoraggiamento) dall’editore e che voi vi incorniciate.

Salendo, “essere riconosciuto” significa essere richiesto. Pubblicare, vendere, essere conosciuti e riconosciuti almeno in alcuni ambiti ufficiali o para-ufficiali, ricavarci un “salario” od anche più. È questione di auto-promozione e promozione.

Probabilmente esistono tonnellate di consigli su come arrivare a ciò. Procurateveli, se credete. Seguiteli o non seguiteli... Buona fortuna!      

ESERCIZIO FINALE.
Iniziate a scrivere e pubblicate subito senza curavi, poi, di adulatori né di invidiosi od accidiosi. Scrivete dove vi torna meglio e con che vi torna meglio anche se, in epoca di computers... tra l’altro utilissimi, con internet, non solo per pubblicare gratis (per chi vi legge, non solo per voi), o dove chi vi legge deve pagare, ma per controllare informazioni di ogni genere vi possono servire mentre scrivete.
Datevi degli obiettivi minimi di lavoro, ma non dei limiti massimi. Non è una colpa scrivere migliaia e migliaia di parole in un giorno, se se ne ha la pulsione, e senza preoccuparsi di orari e di pasti.
I tempi della correzione, e delle integrazioni ed estensioni (o tagli), variano da persona a persona. Magari, scrivete più testi nello stesso tempo e ciascuno con ritmi differenti. Magari, ora avete più voglia di produrre, ora di leggere e studiare. Usate anche più di un word processor, nel caso non abbiate un correttore ortografico su quello preferito. Ve ne sono di gratuiti e con opzioni di correzione ortografica, per quanto possiate preferirne uno non gratuito, magari senza la vostra lingua di scrittura, per il lavoro quotidiano.
Usare, nella revisione, un correttore ortografico non vi evita di controllare la sintassi, non vi passa i neologismi cui magari non volete rinunciare e che confermate pur formalmente errori, ma almeno vi evitate un mucchio di sviste banali.
Anche se scrivete solo per voi stessi, non siate tolleranti né soddisfatti di cose potete capire solo voi o di cose potete trovare belle solo voi. I periodi siano più corti, o meno lunghi, che possibile. Se sono lunghissimi e troppo faticosi, per quanto vi appaiano “intelligentissimi”, frammentateli senza ritegno in frasi leggibili. Non nuocerà alla complessità del pensiero. Lo renderà almeno accessibile.


Cotroneo, R., Manuale di scrittura creativa per principianti, http://goo.gl/3ZlQR