21 February 2013

Letter from Lhasa, number 303.
Scrivere i propri traumi fa bene. E non è che l’inizio


Letter from Lhasa, number 303. Scrivere i propri traumi fa bene. E non è che l’inizio
by Roberto Abraham Scaruffi

Lo Iacono, G., Lo studio sperimentale della scrittura autobiografica: la prospettiva di James Pennebaker, http://goo.gl/xlfuz
Gabriele Lo Iacono


L’autore racconta di studi quantitativo-sperimentali di Pennebaker.

James Pennebaker “ha analizzato i benefici quantificabili derivanti dalla stesura di testi autobiografici centrati su esperienze stressanti.”

Il fatto di scrivere dei pensieri e dei sentimenti più profondi relativi ai propri traumi aveva indotto un miglioramento dell’umore, un atteggiamento più positivo e una salute fisica migliore.”

Dapprima si ha un più intenso turbamento, poi seguito da un netto miglioramento delle condizioni generali del soggetto. Scrivere di esperienze negative, o di esperienze in genere, ristruttura il pensiero ed apre alla comprensione. Sebbene non sia probabilmente la comprensione il meccanismo chiave del tutto. 

Si può chiedere al soggetto, genericamente, di scrivere di propri traumi, come si può proficuamente indurlo a focalizzarsi su eventi specifici come un cambiamento esistenziale o stanziale, per esempio un licenziamento, una sofferta rottura sentimentale o qualunque altra cosa.

Si può egualmente far scrivere e scrivere di traumi immaginari, di situazioni immaginarie. A questo punto siamo oltre il trauma. Ci si colloca a livello esperienziale. Esperienze vengono vissute scrivendole, dunque pensandole, in prima persona. Se ne hanno gli stessi, può essere anche maggiori, benefici che restando sul reale già vissuto.

Non credo sia tanto l’esplorazione delle proprie emozioni e pensieri quanto dirigersi verso nuove frontiere esistenziali, per quanto i due aspetti non siano disconnessi. Vediamo meglio.

Che cosa succede davvero?

Esiste una tecnica che consiste nel ripetersi, estremizzando, peggiorando all’estremo, qualcosa che si teme e con cui si vuole fare i conti. Fatto questo, il tutto appare molto meno drammatico di come appariva anteriormente. Se si può fronteggiare il peggio estremo, il male assoluto, anche il peggio con cui si ha a che fare riduce la sua negatività. 

Scrivere traumi o cose sgradevoli è una maniera di fronteggiarli. Si rivive il proprio timore. Più lo si fa, con ripetizioni ed estremizzazioni, più lo si relativizza. Per quanto qualcosa possa essere terribile, diventa meno opprimente. Diventata maneggiabile può eventualmente aprirsi la via ad una qualche soluzione o, comunque, a renderla meno devastante. Non tutto è risolvibile. Ma si può sempre cercare di minimizzare il danno, almeno per quanto dipenda da noi.

Esiste un altro livello di cui non si parla in questo articolo, o magari il riferimento è solo indiretto. La scrittura può divenire un valido sostituto di esperienze. Una persona, la sua psicologia, è le sue esperienze. In fondo, le stesse differenze tra persone, le differenze di percezione dunque di comprensione e comunicazione, sono differenze esperienziali. Due persone con esperienze differenti non possono realmente comunicare. Fingono di farlo. Comunicano realmente solo due persone cresciute nelle identiche banalità o situazioni, e con la stessa percezione di ciò hanno vissuto.  

Ci sono mille cose e luoghi che, per la ragioni più diverse, non avremo mai l’occasione di vivere, di sperimentare, di farne l’esperienza. Con la scrittura si può. Chi scrive si fa protagonista e parla di quello che sta facendo od ha fatto. Ha il pieno comando della propria vita. Può lanciarsi nelle imprese più rischiose, senza gli inconvenienti della realtà vera. Può commettere crimini o nobiltà, od entrambi mescolati (i due aspetti non sono necessariamente contraddittori, essendo i primi una questione di leggi e dipendendo le seconde dai propri valori). Quanto più intenso e realistico è ciò che si vive scrivendolo, e con piena partecipazione, percependo intensamente le emozioni con una totale immedesimazione, tanto più esso entra nel patrimonio esperienziale dell’autore cambiandone la personalità secondo il vissuto, vissuto letterario e psicologico allo stesso tempo.

Se la vita quotidiana è nettamente differente, probabilmente il soggetto necessita di continui rinforzi, perché queste esperienze-testi non si allontanino nel tempo. Anche uno sia stato in guerra e poi faccia il tranquillo impiegato, combinerà le sue esperienze eventualmente straordinarie del passato con l’ordinarietà del presente, per quanto sarà egualmente per sempre differente da chi quelle esperienze passate non le abbia avute/vissute. Rinforzi ed integrazioni necessariamente aggiornano e sviluppano quel vissuto passato (sia esso reale o ci si sia creato con la scrittura), cosa che si può fare letterariamente se si vive in prima persona quello che si narra quando lo si narra. Ci si deve ben immedesimare totalmente, come in trance, per affrontare/scrivere come protagonisti una storia di qualunque genere. Si può fare tutto, davvero tutto, nella narrazione, come se fosse vero, magari pure meglio che se fosse vero. 

Pericoli di schizofrenia?! Sono molte le persone che si creano mille schizofrenie quotidiane per meglio affrontare, credono, in realtà per evadere, le miserie della vita. Essendo la scrittura prospettata vissuta intensamente in prima persona, come protagonisti, una possibile tecnica per plasmare la propria personalità, anzi essa può servire a costruire un vissuto che eviti qualunque forma di schizofrenia. Nel momento in cui viviamo esperienze con totale coinvolgimento, come in auto-ipnosi, non ci immaginiamo personalità parallele, bensì sviluppiamo in qualche direzione voluta la nostra personalità.

Ecco che la scrittura, con totale coinvolgimento, diviene ben più che una semplice terapia. Non è il meccanismo dello spettatore o del lettore che si immedesima, si identifica, nel personaggio del film o della narrazione. Lì è solo un meccanismo di simpatia, un voler essere o voler credersi. Qui, nella scrittura, siamo noi, protagonisti che stanno agendo.


Lo Iacono, G., Lo studio sperimentale della scrittura autobiografica: la prospettiva di James Pennebaker, http://goo.gl/xlfuz