06 June 2013

Letter from Lhasa, number 319.
Le boiate della Turchetto

Letter from Lhasa, number 319. Le boiate della Turchetto
by Roberto Abraham Scaruffi


Non che l’autrice si distingua dalla vulgata marxista solita. Ci è capitata. Ve ne sono a centinaia così.

Non abbiamo nulla contro Karl Marx, personalità complessa ed autore variegato, di cui qui non discuteremo realmente. Coloro che hanno usato il suo nome con -ismo, sono quello che sono e per fini che sono quelli che sono. Partiti e sindacati di parastato e di Stati, sovversioni di potere, Stati etc ne hanno usato l’etichetta, spesso con contenuti radicalmente differenti tra di loro, per ragioni di marketing. 

“Che cosa significa “scienza della storia”?” La Turchetto si muove in maniera catechistica e la risolve con “una teoria materialista della storia” per individuare “come oggetto della storia le “formazioni sociali”: ossia insiemi di relazioni sociali relativamente stabili (capaci di auto-riprodursi) strutturate “in ultima istanza” a partire dai “rapporti di produzione”, cioè da quelle relazioni sociali che si instaurano nel ricambio organico con la natura.”

La cosa non si ferma qui. Con un netto salto logico, “la storia” diviene, per la Turchetto, non differentemente dalla scolastica cosiddetta ‘marxista’, “una storia dei rapporti sociali conflittuali”, ““storia di lotte di classe””.

Se fosse storia dovrebbe includere tutto, non darsi il programma di scovare e rappresentare le “lotte di classe” che, ovviamente, possono esserci come non esserci. Od anche assunte sempre, possono pur essere o non visibili, o non deducibili, o non rappresentabili. Diviene il gioco dei cappelli, indossare il cappello materialista e rinvenire sempre lotte di classe, ed indossare il cappello non-materialista e rifiutare aprioristicamente qualunque lotta o conflitto di classe o categoria. Ovviamente, sia coprirsi dietro alle lotte di classe od inventarsele, che negarle e cercare altro o solo altro, apre la via alla storia favoletta di parte o di partito. In realtà, qualunque limitazione della ricerca storica al servizio di storielle opportune od opportuniste conduce a rappresentazioni del tutto fantasiose e di convenienza.

Invero, nella visione della storia come lotta, non è affatto detto che al ‘conflitto’ dialettico-teorico debba poi corrispondere una lotta di una classe contro un’altra. Lo stesso conflitto non è affatto necessario, indispensabile, perché vi sia combinazione di fattori produttivi e produzione. Un’opposizione o differenza concettuale non è detto sia conflitto o conduca a conflitti. Gli stessi conflitti od attriti sono fattori di aggiustamento o di rottura per generare altre combinazioni. Le propagande sul punto hanno fatto dare per scontato cose che non lo sono per nulla quando si esca dalla formuletta ripetuta ed inculcata.

L’ auto-organizzazione di sistemi caotici, per esempio, rappresenta la realtà meglio di una aprioristica assunzione di lotte di classe. Ad ogni modo, qualunque l’assunto, forse decisamente meglio non assumere nulla, la rappresentazione storica dovrebbe fondarsi su tutto quel che si scopre, che può tranquillamente contraddire eventuali aspettative. 
      
In una officina, anche grande, gli uffici non sono differenti, la maggior parte dei soggetti della classe salariata andrà tranquillamente a fare lecchinaggio relativamente alle impersonificazioni della parte padronale, sempre che altri non appaiano più forti, e di certo lo appariranno se sostenuti, magari sotterraneamente o mediatamente, dal padrone fingono di avversare. A quel punto, il lecchino, ed il leccato, lo farà il sindacalista od altro intermediario.

La storia reale delle organizzazioni ‘proletarie’ è molto meno fantasiosa della favoletta dei proletari che si organizzano per opporsi alla classe od alle classi suppostamente avverse. Nella storia reale, lo Stato, “la polizia”, eventualmente pure quella di Stati avversi o meno, crea organizzazioni operaie contro “i capitalisti”. Sono meccanismi di controllo sociale e statuale. È il divide et impera di chi abbia il potere reale. Certo, anche lo Stato di classe si autonomizza dalla classe dominante rappresenta, od almeno dai singoli componenti di essa. Lo Stato è di classe proprio perché va oltre gli interessi immediati se lo comprano, ma fino ad un certo, seppur spesso grande, punto.

Gli esecutori burocratici interagiscono sempre in qualche modo con chi li comandi. Il servo dipende dal padrone. Ma anche il padrone dipende dal servo, dall’esecutore, tanto più esso lo serva. È per questo che corpi militari o con poteri speciali possano divenire più forti chi, civile, li comandi. Oppure no, se un cassiere esterno possa annichilirli non pagandoli. La proliferazione burocratica relativizza molto di quel si possa dire a livello teorico di cosa sia uno Stato. O si ricostruiscono e seguono le catene di comando, e come il comando sia eseguito, o si fantastica su cose immaginarie. Se non esistono forti oligarchie interne o padroni esteri che guidano uno Stato, esso vive di forze e debolezze proprie, essenzialmente burocratiche, magari avvitandosi verso l’autodistruzione.

È vero che lo Stato sia, nella sua essenza, una banda di soggetti armati. È meno semplice definire chi e cosa serva, o se serva solo sé stesso. Solo con analisi specifiche lo si può definire.

Per esempio, l’attuale crisi fiscale dei molti Stati sviluppati riflette eccessi rilevantissimi di proliferazione burocratica e macchine statuali fuori controllo. Non è tanto che lo Stato spenda troppo ma che spende soprattutto per sé stesso. E quando si tenta di tagliare costi, sono di fatto le stesse burocrazie pubbliche che tagliano flussi ad altri ma non costi propri. Alla fine non si taglia nulla a livello di uscite complessive ma solo a livello di servizi resi. Che tali macchine statuali possano essere davvero funzionali alle classi suppostamente dominanti è davvero un assunto arduo. Nel contempo, generalizzazioni eccessive sono del tutto fuori luogo, perché per esempio il Regno Unito sembra godere della sua solita flessibilità burocratica per cui è capace di liquidare fette di burocrazie. Licenzia. Gli Stati Uniti, dove lo Stato sembra in espansione, fanno pagare loro costi ad altri mentre altri pagano costi altrui. Altri ancora, come i tedeschi, usano la crisi fiscale per aumentare la propria egemonia sulla Grande Germania, alias la UE, soprattutto la UE-euro. Inoltre, una cosa sono macchine burocratiche costose ma di una qualche efficienza nel senso che rendono i servizi sono state create per produrre, altra sono macchine burocratiche all’italiota dove i costi aumentano pur con i servizi, già scarni e scarsi, tagliati ulteriormente. Tali Stati, o molti di essi, servono realmente supposte loro classi dominanti o loro rilevanti classi dominanti sono loro stesse caste burocratiche?

Assumere una filosofia della storia, e pure di partito, è la negazione dell’analisi onesta e dettagliata degli eventi. Si tenderà a cercare di far vivere la propria visione dunque addomesticando la realtà che si rappresenta. Si rappresenterà solo quello che è funzionale alla propria filosofia della storia. Un metodo scientifico è altro, per quanto tutti i metodi siano forieri di trappole euristiche.      

Il proletario, tanto più è tale, tanto più obbedisce al potere. Esiste solo nelle fantasie interessate che tanto più vi sia oppressione tanto più vi sia rivolta. La rivolta inizia quando vi sia una qualche eccedenza di tempo e di denaro. Chi non abbia il sufficiente per vivere non è affatto detto che si rivolti, o se lo fa lo fa individualmente come delinquere et similia. È quando si abbia una qualche eccedenza che sorge il desiderio di avere ancora di più o magari tutto. Non a caso, definito il proletariato teorico, Marx quello reale non lo trova pressoché in nessun luogo. Tra aristocrazia operaia e sotto-proletariato, il proletario perfetto (quello che non abbia né più né meno dell’altro proletario ‘perfetto’) sfugge e gli sfugge. Engels invece se lo immagina e si convince di averlo trovato, nella sua visione idealistica della storia.    

Capitale e lavoro si combinano e reificano nel prodotto. Se c’è lotta non c’è prodotto. Il prodotto è la reificazione della cooperazione. Se lotte vi sono, vi sono al di fuori del processo produttivo. Possono verificarsi prima e dopo, od interromperlo, intervallarlo. Ma senza cooperazione non v’è prodotto.

Il plusvalore è immanente, nella storia universale. Se si produce meno delle energie immesse nella produzione, meglio far nulla. Solo producendo di più si riproducono sia lavoro che capitale e si ha un qualche margine di sicurezza. Non solo. La riproduzione diviene allargata, per cui si ha sviluppo. Se il proletario deve almeno riprodursi come tale, pure il capitale lo deve. Tra l’altro, con la teoria e la realtà del lavoro composto (e retribuito come tale), ecco spiegate materialisticamente pure le differenziazioni dello stesso proletariato. Non è solo il proletariato ad essere differenziato. Neppure i capitali sono tutti identici quando si passi dall’astrazione monetaria all’investimento concreto.   

Cosa siano “le classi” non è cosa per nulla assodata, quando si passi dalle generalizzazioni e semplificazioni, o complessificazioni, teoriche alla materialità e varietà, o a volte semplicità, della realtà. Magari facile definirle con una formuletta teorica, esistono poi nella pratica grandi diversificazioni che dipendono da tanti fattori che possono determinare livelli di reddito familiare molto differenti, dunque auto-percezioni ed identificazioni diverse, anche tra proletari omogenei nel momento del lavoro e della retribuzione formali.

Il proletariato puro lo creano proprio, per via burocratica, gli Stati “proletari”, alias economie di guerra e casermoni alla sovietica. Creato il proletariato puro, vari strati burocraticamente regolati, o meno, lo sfruttano e per fini non solo interni. Ma al di fuori dell’area ‘socialista’, quando esisteva o dove tuttora esiste, dove sono gruppi di proletari di una qualche omogeneità? Quando poi esistano ‘socialismi’ alla cubana, con corruzione generalizzata e dove tutti s’arrangiano, il proletario puro è solo qualche raro fesso.      

Nella realtà, le formazioni economico-sociali teoriche (o suppostamente teoriche), non sono così nettamente distinte, né si susseguono con linearità temporale, e si trovano in epoche molto distanti tra loro. Per esempio il rapporto di lavoro salariato, la combinazione di capitale e lavoro, non è per nulla tipico della sola cosiddetta “società borghese”, ma è immanente nei millenni ed in differenti aree del mondo. Lo stesso feudalesimo, una volta definitolo, nessun autore serio è poi sicuro quando e come, o dove, sia realmente esistito o se magari esista e/o coesista tuttora. 

Quando si parla di società borghese, si fa una rappresentazione molto europea e molto feudale e post-feudale di una realtà di progressiva urbanizzazione. “Borghese” deriva da borgo. La “società borghese” è la società delle città. In realtà, in altre aree del mondo sono esistite anche in epoche molto anteriori grandi concentrazioni urbane. Ovviamente la tecnologizzazione dell’agricoltura permette la crescita delle città e lo spopolamento delle campagne. Vi sono anche fattori demografici. Per quanto la facilità di comunicazione, dunque di interazione, potrebbe rifavorire ora la disseminazione della popolazione, che ora non necessariamente richiede più la concentrazione in grandi borghi/città per stare assieme e per interagire produttivamente e socialmente.

La concentrazione virtuale, di comunicazione, rende in parte inutile la concentrazione fisica, per quanto, ovviamente, le grandi e grandissime città continueranno ad esistere se non altro per i “costi di aggiustamento”, i costi di uscita e movimento/variazione dalla situazione attuale, e per fattori demografici. Inoltre, settori che funzionano per prossimità comunicativa continuano a coesistere con attività dove la prossimità fisica è necessaria ed indispensabile. 

E se si fosse sempre riprodotta la stessa “formazione sociale” con solo evoluzioni e salti tecnologici? I rapporti di dominazione tra individui sono grandemente cambiati nei millenni, idealizzazioni engelsiane a parte? Engels, da committente dello, e forse intermediario di altri interessi con lo, studioso Karl, quando voleva farsi teorico non è che necessariamente eccellesse. Il comunismo primitivo se lo inventa, come una grande castronata che non regge a nessun esame storico, psicologico e logico.

Marx è uno che tenta, prova, sperimenta, studia, revisiona, le spara (quando le spara) prima in un senso e poi in uno del tutto differente. Marx distingue tra le sparate di scritti propagandistici e scienza, ricerca, riflessione. Engels è il catechista. Ha una missione, sua o con altri. Non con Marx che è da lui messo sotto, a salario, a fare il topo da biblioteca per dar copertura teorica alla militarizzazione del proletariato. Engels ha sue patologie che lo mettono a disagio di fronte al suo mestiere di industriale dunque di sfruttatore di operai. Come tutti i filantropi, sogna altre caserme per l’oggetto dei suoi sogni filantropici.

Quanto alla “lotta di classe”, per esempio i sindacati, o simili, nascono come irreggimentazione promossa, e/o rapidamente fatta propria, dalla stessa classe suppostamente avversa, la capitalistica o borghese, o dallo stesso suo Stato. Gli stessi partiti ‘proletari’ hanno tutt’altra classe dirigente ed ispirazione. Il marchio ‘proletario’ o ‘operaio’ è imposto e venduto. Vendono il paradiso futuro per rendere sopportabile l’oppressione presente. O vendono servizi, o miti interni ed esteri. Il Comintern vende l’URSS. Altri centri lo copieranno, magari in piccolo.  

Le ideologie “proletarie” sono invenzioni, imposizioni sul proletariato. Sono ideologie militaristiche, di irreggimentazione, propinate con la giustificazione di un benessere futuro, di un futuro che mai s’approssima. Pensate in uffici militari e/o di altre burocrazie, sono poi appaltate, nella loro elaborazione complessa, ai numerosi intellettuali, prezzolati o meno, di cui il mercato prolifica in tutti gli angoli del mondo. 

Ovviamente, le mitologie sono copertura di meccanismi clientelari, di servizi che il cliente ha o pensa di avere. È per quello che il gruppetto senza potere non recluta nessuno, o solo transitoriamente, mentre i partiti reclutano. Reclutano in quanto appendici dello Stato, o di Stati, del potere, o di poteri. Le ideologie sono immagini inessenziali. Non quando abbiano altri fini ancora, come il creare e diffondere culture sottosviluppiste. Quello che fece il PCI, su delega Alleata. In tal caso, l’ideologia è immagine ma anche realtà, a seconda del perché sia prodotta e da chi.    

La prima “‘rivoluzione’ ‘proletaria’” è un colpo di Stato tedesco per liquidare un nemico di guerra. Successive evoluzioni portano le Russie a costruire un’economia di guerra alla fine usata contro la Germania. Un caso di blowback effect. Un forte ed aggressivo militarismo, pur con forti caratteristiche compradore (dall’attacco alla Germania – prevenuto di alcuni giorni dal disperato attacco difensivo tedesco –, chiaramente compradore anglo-americane), che si sviluppa libero da uno zarismo debole, seppur esso stesso minato ed alla fine distrutto da una burocrazia elefantiaca ed inefficiente.

Liquidata l‘URSS, le Russie continuano senza grandi variazioni ma di nuovo con un settore formalmente privato. Da sovietica, la retorica diviene liberal-democratica. Da un colpo di Stato di un manipolo di russi al servizio tedesco e con supporto tedesco, con liquidazione burocratica della proprietà privata d’impresa, i propagandisti avevano montato la retorica della “rottura rivoluzionaria” e dunque del cambio di “natura sociale” dello Stato. V’è una banale guerra civile dove i pro anglo-francesi si scontrano coi pro-tedeschi. I pro-tedeschi vincono. Per la follia dell’economia di guerra trotzkiana, realizzata da Stalin che liquida Trotzki ma non il suo folle programma militarista-burocratico Grande Russo, le Russie necessitano di tecnologie occidentali. Per cui, gli anglo-americani si reinseriscono nel gioco e si coltivano l’URSS che si presta poi come loro carne da macello per la guerra in Europa e frigorifero per il post guerra per tenere sottosviluppata una fetta rilevante del continente. Lo stesso giochetto è replicato in Asia, con aiuto russo, dove puntando sul maoismo, altra creazione dell’Intelligence militare, ma qui anglo-americana, per tenere in frigorifero gran parte del continente per un altro mezzo secolo.

I teorici del salto rivoluzionario, della rottura rivoluzionaria, per passare da un ordine sociale ed uno differente, chissà come avranno giustificato che l’URSS ‘involve’ per dinamiche superiori ed esterne, e per debolezza interna. Nessuno necessita di massacrare “l’eroico proletariato” per passare dal ‘socialismo’ al ‘capitalismo’! Già che si debba e si possa passare al capitalismo dopo più di ottant’anni di ‘socialismo’ conclamato come superiore e dunque irreversibile... ‘Rivoluzioni’ e ‘controrivoluzioni’ erano e sono solo etichette mistificatorie distribuite secondo paradigmi propagandistici per altri usi. Esse non esistono ma esimono dall’analizzare che cosa sia avvenuto, e ne permettono ricostruzioni di comodo.    

Nelle Russie sovietiche è successa un’altra cosa. Dall’economia di guerra permanente si passa a quella non di guerra. Il nuovo ordine permette la proprietà privata d’impresa, sebbene lo Stato resti onnipotente. La liquidazione dello Stato militarista divenuto insostenibile, che implode, porta alla liquidazione dell’Impero Sovietico. Il congelatore si è rotto e la vita riprende all’Est con la Germania che si riespande in quella direzione.

A vedersi in modo materialistico, od anche solo non propagandistico, la storia, se ne scoprono delle belle. Le storielle sul proletariato, non differentemente da quelle sulla libertà e democrazia, ne hanno coperte di cose! 

Purché suonino bene, basta che le favolette ‘proletarie’ servano la militarizzazione delle masse. Non si dica che i partiti, sindacati ed altro ‘proletari’ abbiano funzione differente. O lo si dica, mentendo.  

Per quanto esistano conflitti tra categorie, classi, centri di interesse, rilevantissimi sono piuttosto i conflitti tra Stati e loro emanazioni. Un’evoluzione e trasformazione del tribalismo. Lo stesso proletariato è, facilmente o meno, militarizzato dallo Stato che lo usa per suoi fini a seconda delle caratteristiche specifiche di una certa entità statuale.

Tutto ciò è molto materialistico, per quanto negato o giustificato con voli pindarici, o semplicemente evitando il punto, dagli sloganisti del ‘materialismo’ e della “lotta di classe”. Devono presentare come alternativo ciò è che tutto interno al sistema dato e ad esso funzionale. Questioni di marketing politico e politicantico.

Se si analizzano materialisticamente le ‘rivoluzioni’, si troveranno facilmente operazioni di polizie segrete, cioè di entità statuali, interne od esterne, che comprano e manipolano intellettuali e masse, che a loro volta si fanno facilmente manipolare da burocrazie alias dal potere o dai poteri, ...o si auto-manipolano per altri fini che supposti interessi di classe o gruppo. Meccanismi arrivistici, che sono la stessa negazione della categoria o classe, vengono creati o si auto-creano come forma di auto-organizzazione delle realtà più differenti. Sono auto-organizzazioni, sia materiali che di idee, attorno al potere od ai poteri non contro di esso e di essi. Come se l’opposizione, o differenziazione, dialettica capitale-lavoro si risolvesse nella loro fruttuosa combinazione pratica, che è poi quel che succede. 

Capitale e lavoro sono concettualmente distinti. Si combinano per originare prodotti attraverso processi produttivi. Perché dovrebbe poi generarsi una invidia proletaria che dia vita ad una irriducibile contrapposizione col fine di appropriarsi, come classe (senza gerarchie o con nuove differenziazioni di comando dunque salariali, di reddito?) di ciò che ora è di taluni? 

Si rimuovono, dalla narrazione, altri interessi. Si evitano i  comportamenti concreti dei soggetti del cosiddetto proletariato. Ecco che si possono confezionare raccontini ‘classisti’. La storiella fa presa, più o meno, finché non la si metta in discussione nei suoi fondamenti, nelle sue derivazioni e nella sua praticità od impraticità/impraticabilità. Come tutte le storielle, la si può blindare con la fede. La fede funziona finché si abbia l’interesse a credervi. C’è chi si irreggimenta col parroco o pastore, chi col partito, chi con altri, qualcuno con nessuno. 

Alla fin fine, etichette di rivoluzioni e contro-rivoluzioni, di proletariato e di non-proletariato, vengono distribuite secondo apparenze ideologiche, propagandistiche, in realtà secondo convenienze di Stati/governi, senza alcuna considerazione per analisi materialistiche. Si trovano meno proletari in movimenti ‘fascisti’ o religiosi o ‘militari’, che in movimenti ‘comunisti’? Improbabile. Semmai è vero il contrario. Supposte ‘coscienze’ per individuare i ‘buoni’ e liquidare i ‘cattivi’ hanno una qualche base materialistica o siamo a livello di meccanismi propagandistici usati senza scrupoli da qualunque Polizia Segreta o non segreta, centro di interessi, agenzia di marketing?

Le risposte sono ovvie. Interessi mistificatori fanno inventare storie-storielle suadenti quanto false.

Perché allora insistere con questa catechistica della “teoria materialista della storia”? Non stiamo dicendo che una visione materialistica non sia utile e prolifica. È solo che qui si lancia il materialismo senza usarlo se non come slogan per coprire altro. Cosa? Si vende come “teoria materialista della storia” una visione del reale come razionale e pure dell’ideologia come copertura della predefinita razionalità del reale. Che il reale sia apoditticamente razionale, o razionale perché esistente, lo si può assumere. Ma allora lo si racconti od analizzi. Le ideologie di copertura d’esso restano tali. Non sono strumenti euristici. Sono ideologie, ideologie di copertura.


Sì, il ‘marxismo’ ideologia di copertura del reale è una boiata, a livello euristico. È invece utilissimo, assieme alle altre ideologie, come appendice ideologica, come aspetto del marketing, dei meccanismi pratici di dominio. La “scienza della storia” è cosa nettamente differente dalle storielle di copertura. I o le Turchetto vendono lo slogan. Sotto o dentro di esso vi è il nulla. Anzi vi è molto ma solo di inganni. Nulla di materialistico. Nulla di analitico. V’è propaganda per altri usi.