06 November 2007

Lettera da Lhasa numero 94. Perché devoluzione e sussidiarietà sono impossibili in uno Stato predatorio come l’italico

Lettera da Lhasa numero 94. Perché devoluzione e sussidiarietà sono impossibili in uno Stato predatorio come l’italico
by Roberto Scaruffi

Devoluzione non deriva, politicanteria a parte, dall’inglese devolution. Entrambi derivano dal latino devolvere, se si prende il verbo, oppure devolutionem, che viene dal participio passato devolutus, se si considera il sostantivo. Il latino devolvere, che in italiano resta identico, si compone di de e di volvere. De indica un movimento dall’alto in basso. Volvere indica movimento, passaggio.

Devolvere indica dunque un trasferimento dall’alto in basso o, che è lo stesso, da chi ha a chi, sottoposto, non aveva ancora e cui l’oggetto della devoluzione viene dato. Se è devoluzione di poteri “pubblici” è devoluzione da chi li ha, da chi ha poteri concentrati, il governo o lo Stato centrale, verso plurimi e più bassi, regionali o locali. Certo, in termini più generali, qualunque livello può devolvere all’inferiore.

La sussidiarietà è invece un principio generale su cui si fondano libertà ed autonomie. Secondo il principio di sussidiarietà, ogni cosa deve essere competenza del livello la può fare meglio a cominciare dal singolo individuo, dalla famiglia, da piccole comunità e così salendo. È un principio sociale, umano ed umanistico, così come di efficienza funzionale.

La sussidiarietà, entra nell’ordinamento italico, almeno a livello di enunciazioni, dalla cosiddetta dottrina sociale della Chiesa, sebbene solo dopo che viene citato e fatto proprio, almeno come enunciazione, dal Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992 e dopo circa un decennio da allora. In effetti, si conforma di più alla tradizione Costituzionale germanica di localismi progressivamente e naturalmente costituitisi in Stato.

Come pratica, oltre che come principio, la sussidiarietà la si ritrova invero un po’ dappertutto, in tutte le tradizioni, incluse certo tutte quelle che derivano dall’ebraismo e simili, quando non represso da crisi di socialità che vanno in parallelo con crisi di Stati. Stati malati derivano da società malate, dunque dove il principio di sussidiarietà s’è progressivamente ritirato e deviato, o comunque ridotto ad ambiti essenziali e particolari.

Senza che poteri prima centralizzati vengano devoluti a soggetti gerarchicamente inferiori, non ci se li possono attribuire. Al contrario, una volta sancito il principio di sussidiarietà, si può, almeno in teoria, fare tutto ciò che non sia fatto in modo migliore da livelli superiori oppure che non sia precisamente regolamentato. Il principio di sussidiarietà può permettere, quando entrato in un ordinamento, di creare almeno un contenzioso in taluni casi, sempre che in sistema giudiziario civile funzioni un minimo, cosa che non è davvero dato nella penisola italica dei nostri tempi.

In Costituzione, un’operazione di devoluzione è quella fatta nel 2001 con l’introduzione dell’art. 117, che devolve formalmente poteri alle Regioni, sotto la forma di una definizione Costituzionale di attribuzioni ai vari livelli dello Stato. Quanto al principio di sussidiarietà, esso viene citato nell’art. 118 e successivi. Anch’esso è introdotto in Costituzione nel 2001.

Nella pratica, è tutto differente da formalismi Costituzionali e legali. Per devolvere davvero poteri occorre uno Stato centrale forte, leggero ed efficiente. Del resto, ed è tautologico, uno Stato che non sappia e possa devolvere, neppure sarà mai forte, leggero ed efficiente. Non è un caso che operazioni di devoluzione siano State fatte in Gran Bretagna, dove nessuno vive come tragedie epocali eventuali secessioni dovessero verificarsi. L’Inghilterra è abbastanza ricca e potente da potersi permettere la secessione scozzese. Processi di devoluzione hanno aperto la via ad un’eventuale secessione scozzese, per quando non vi sia una correlazione necessaria tra devoluzione e secessione, come non v’è tra federalismo e secessione. Devoluzione è cosa diversa dal federalismo. Non è vero che la storia non conti. Nulla nasce mai a tavolino per pura decisione razionale. Devoluzioni e federalismi, e loro varietà, derivano da processi differenti di formazione d’uno Stato. Un esempio di Stato federale a secessione impossibile (forse, vista la storia) sono gli USA, dove, comunque, dato il processo di formazione già federale per quanto con rilevanti aspetti di centralismo, pur leggero ed efficiente, non si pongono particolari problemi di devoluzione. I livelli e le loro attribuzioni sono già definiti, per quanto vi sia inevitabilmente una contrattazione continua. Invece, in Gran Bretagna, dove, seppur leggero e con larghe autonomie locali, un vero regime di sussidiarietà, lo Stato è sempre Stato formalmente centralistico, solo di atti di devoluzione si potevano dare poteri decisivi, prima centrali, a automie regional-nazionali (nazionali, nel senso etnico) come la scozzese. La devoluzione britannica è stata rapida e senza le solite appiccicosità burocratiche all’europeo-continentale.

In Stati deboli tutto è differente. Infatti, la devoluzione, nel regionalismo italico, s’è tradotta in ulteriori incentivi ad un ente territoriale già inutile a creare burocrazie parallele alle già inefficienti e predatorie centrali, e non meno inefficienti e non meno predatorie. Dunque, non si sono devoluti veri poteri ma solo aperti ulteriori varchi alla proliferazione di centri di spesa e di predazione. Il risultato è stato ed è solo un’ampliamento dell’anarchismo burocratico predatorio. Nessuno burocrazia cede poteri. Nessun governo controlla le burocrazie. Nessun governo e parlamento possono decidere vere devoluzioni. Se formalmente le decidono, le burocrazie se le adattano alle proprie esigenze predatorie, moltiplicando ed ampliando la predazione burocratica.

Così, la formalizzazione Costituzionale del principio di sussidiarietà, nello spazio italico, come in tutti gli spazi a Stato, dunque a società, malato, non ha prodotto reali cambiamenti. Ha solo creato qualche discussione marginale. Le attività volontarie e private esistevano già, senza il bisogno le sancisse un qualche principio. Del resto, la sussidiarietà non è quello. Si fonda certo sull’iniziativa privata ed individuale, come di individui associati, ma in interazione con livelli statali e pubblici provvedano servizi che a livelli inferiori possano essere forniti meglio e in modo più efficiente. Oppure in contrario. Il livello superiore può fornire servizi un livello inferiore non sa o vuole fornire in modo efficiente. Nel concetto di sussidiarietà v’è pure quello di sostituzione, pur limitata all’opportunità ed al vantaggio. Il concetto di efficienza e di profitto sono indissolubili dal concetto di sussidiarietà. Nello spazio italico sono culture e comportamenti che mancano, o sono nettamente minoritari ed avversati un po’ da tutti. Inoltre, per il funzionamento del principio di sussidiarietà occorrerebbero amministrazioni statali e pubbliche efficienti e flessibili, cosa che assolutamente non è né mai sarà nel contesto dato. Non c’è sussidiarietà senza flessibilità amministrativa.

Nel contesto di Stati predatori, dunque irrimediabilmente malati, all’italica, devoluzioni, vere autonomie locali, federalismi, così come centralismi, vere sussidiarietà, non sono possibili. Non c’è soluzione, non c’è “alternativa”, non sono possibili riforme di ciò non funziona né può funzionare, se non la distruzione o la dissoluzione, senza sostituzione, di tutto.

Gli Stati falliscono a seguito di fallimenti Costituzionali [*]. I fallimenti Costituzionali si possono sviluppare al di là delle Costituzioni formali, per quanto mal fatte possano essere. Neppure basta imporre “buone” Costituzioni formali che, comunque, nel contesto di Stati in via di fallimento nessuno riesce, spesso, neppure ad “imporre”.

Qualcuno, nell’ambito del discorso pubblico (su media con un minimo, almeno, di risonanza), ha cominciato ad evocare, con desiderio, “dittatori” alla anni ’30. La dittatura quirinalizio-oligarchica c’è già, anzi s’è rafforzata con la Repubblica. Ci sarebbe semmai da preoccuparsi (nel senso di prestare attenzione), nel discorso pubblico, del perché non funzioni. Non si dimentichi mai che il fascismo italico è stata una manovra quirinalizia: Quirinale, oligarchie, carabinieri. Come tutto quello accaduto fino ad oggi, con periodiche promesse di svolte magiche, ...di CC-procure e propaganda sui media dell’oligarchia! Nulla cambia, nella struttura, se si va all’essenza delle cose. I “fascismi” sono stati, in taluni contesti (Germania, Spagna), fenomeni o di crescita o di ristrutturazione. Nello spazio italico, lo stesso fascismo (versione romanesca dei già vani giacobinismo ed illuminismo francesi) ha solo avuto un ruolo sia di evidenziazione di debolezze insuperabili che di dilazioni di dissoluzioni sarebbero già dovute avvenire da tempo con vantaggio di tutti. Con dissoluzione intendiamo la dissoluzione di questo Stato artificiale e compradoro che come unica caratteristica “unificante” ha l’essere sotto [nelle carte geografiche orientate] le Alpi. Decisamente poco, per dimostrarne, anche solo di retorica, una qualche utilità.

[*] http://www.ecsanet.org/conferences/ecsaworld2/leschke.htm