26 November 2007

Lettera da Lhasa numero 97. Why Putin Wins di Sergei Kovalev, ne The New York Review of Books del 22.11.2007

Lettera da Lhasa numero 97. Why Putin Wins di Sergei Kovalev, ne The New York Review of Books del 22.11.2007
by Roberto Scaruffi

http://www.nybooks.com/articles/20836

L’interesse dell’articolo, o del saggio, è l’interrogarsi dell’autore sulle ragioni del successo di Putin e del perché lui, o quel tipo di personaggio, sia o sembri indispensabile. Ne ripercorre dunque la carriera di statista, la costruzione della figura, mettendola in relazione col sentire russo, o supposto tale.

La risposta alla domanda iniziale, perché Putin vince?, potrebbe essere, alla fine, che Putin vince perché è rassicurante. Quel tipo di personaggio è rassicurante. Certo, in tali tipi di conclusioni, c’è sempre da interrogarsi su chi sia rassicurante e lo sia per chi.

Tuttavia, l’autore sembra limitarsi al lato “popolo” o elettori, col Presidente “forte” ed il popolo che lo vuole così. In realtà, se le istituzioni sono deboli ed inefficienti, la società non vitale, il Presidente “forte” è un’immagine deviante. Non è forte. Magari è solo brutale. Per cui, “le masse” vogliono il capo brutale, e lo deve essere qualunque siano le sue propensioni personali, perché tale è il contesto sistemico. Sono immagini e situazioni da canili e peggio, in effetti.

Le istituzioni russe, come quadro Costituzionale formale, non sono deboli La Russia è una Repubblica Presidenziale quasi “americana”, dove il Presidente, quadriennale rieleggibile per un secondo mandato consecutivo, in pratica si designa il suo vice che è il capo del governo, del governo del Presidente. Il Presidente lo nomina ed il Presidente lo revoca o lo cambia. La nomina del Primo Ministro deve essere approvata dalla Duma, che tuttavia non ha poteri di revoca. Anche i poteri della Duma di rifiutare un Primo Ministro sono limitati. In effetti, sarebbe valso fare un sistema “americano” perfetto, cioè tale e quale, ma evidentemente hanno preferito dei bizantinismi da spazio burocratico.

Il Parlamento, bicamerale non paritario, si compone di una Duma e di un’Assemblea Federale, con prevalenza della Duma. La Duma quadriennale è di 450 seggi. I deputati sono eletti su liste di partito con sistema proporzionale con soglia del 7%. L’Assemblea Federale quadriennale, non elettiva, è designata dalle varie unità amministrative della federazione. Ognuna delle 89 unità amministrative della federazione si designa la sua rappresentanza tra i 178 seggi della stessa, dunque due per unità amministrativa. La Duma può sfiduciare un governo, ma il Presidente non è vincolato ad adeguarsi. Se la Duma conferma la sfiducia entro tre mesi dalla prima sfiducia il Presidente può sciogliere ...la Duma! Il meccanismo è curioso e dà in pratica poteri “americani”, sul governo, al Presidente. Appunto, la Duma, invece che essere vera Camera di controllo e di contropotere d’eventuali stravaganze presidenziali, ha poteri un po’ bizantini quanto fasulli. Legifera in tutta libertà, ma, per esempio, Camera “americane” fanno molto di più che il solo legiferare.

Se le istituzioni formali russe non sono deboli, sebbene i vari bizantinismi già indichino qualche patologia, l’amministrazione russa è corrotta ed inefficiente. Ciò significa che nessuno, politicamente responsabile, la controlla, o non, comunque, per renderla efficiente. Uno Stato è la sua amministrazione, la sua burocrazia. Presidenti che facciano discorsi o che assumano decisioni di fondo senza poterne davvero controllare l’esecuzione e Parlamenti che legiferino senza che le leggi raggiungano i fini si prefiggevano, non si sa bene a che servano se non a far credere (a chi?) che “istituzioni moderne” siano quello. Ecco, allora, che un Putin, o chiunque altro, divenga insostituibile non è perché sia “l’uomo forte che ci vuole” (come potrebbe dire quelche popolano; le virgolette sono una citazione immaginaria) né perché sappia governare tale burocrazia allo sbando, ma proprio perché il livello di anarchia burocratica e disgregazione sistemaica rispetto alla funzioni uno Stato dovrebbe assolvere è tale che al vertice occorre qualcuno che goda la fiducia di burocrazie feudalizzate e ne sappia essere la sintesi. Non sintesi per fare qualcosa per il comune benessere, ma solo per far sì che l’anarchia burocratica non si autodistrugga nei reciproci conflitti. A tali burocrazie corrotte e predatorie occorre “l’uomo forte” che le copra e ne impedisca la dissoluzione e l’uomo debole da potersi manovrare com’esse credono. Lo schema è molto italiota in questo. Tale “uomo forte” è, rispetto alle masse (se mai esistono “masse” indistinte), la garanzia che non possa succedere di peggio che la predazione solita ed i soliti abusi del potere e dei poteri.

Al contrario, in Stati in culture orientate alla soluzione dei problemi e che abbiano istituzioni efficienti ed egualmente efficienti amministrazioni statali e pubbliche, il politico che ne prenda la testa è facilmente sostituibile da chiunque altro. I politici usa e getta all’americana, almeno a livello di Presidenza, indicano proprio un sistema dove il Presidente dà davvero la linea (pur sottoposto a mille pressioni, inclusa quella d’essere ammazzato se interessi troppo forti lo trovino ad essi particolarmente disfunzionale), ma dove il singolo statista di vertice, che non necessita di brillare per visioni o qualità intellettuali od organizzative (potendosi dotare di staff ed avendo delle amministrazioni d’una qualche capacità), è facilmente sostituibile da chiunque altro. Tali sono sistemi istituzionali ed amministrativi efficienti, non quelli dove l’individuo ha importanza eccessiva. Una cosa è dare il proprio segno, in sintonia o meno con gli elettori che hanno sosttoscritto una certa immagine di candidato, altra divenire indispensabili, cosa, in quadri d’efficienza, non è mai. I criteri americani, come anglofoni in genere, soino manageriali. Lo Stato è come una società per azioni dove gli azionisti sono gli elettori. Non è il caso della Russia.

V’è un’aspetto ulteriore dei sistemi anglofoni, dove appunto il singolo l’individuo, come succede in tutte le organizzazoni manageriali, non è insostituibile. L’individuo è essenziale come massa di individui produttori, creatori e competitori, ma ogni singolo non è mai insostituibile. I sistemi anglofoni sopravvisono ai disastri, prosperano addirittura nei disastri. Se un giorno il tale od il tal’altro crollerà non sarà per il singolo disastro o per il singolo leader. Gli USA sono sopravvissuti al Vietnam, anzi sono con quel disastro prosperati. Succede ora con altri disastri. Se il dollaro ha problemi non sappiamo se ancora risolvibili, le cause sono altre, ma non è neppure detto che un crollo degli USA come militarismo e potenza finanziario-valutaria mondiali sarebbe un crollo di tante sue eccellenze locali e globali. L’URSS non è sopravvissuta all’Afganistan, come non ha davvero profittato del suo Impero (creato loro dagli inglesi, in realtà, proprio per sterilizzare aree altrimenti di rigoglioso sviluppo), rapine del momento a parte. È sempre arduo fare questi paragoni ed esistono sempre larghi margini di indimostrabilità, tuttavia, nel sistemi manageriali, la managerialità dell’organizzazione sopravvive alla visione errata od improduttiva o dannosa del leader del momento. Dove il capo insostituibile è tale perché lui è il sistema ed il sistema è lui, ecco che il sistema non prospera né con visioni brillanti né con visioni scadenti del capo insostituibile, anche perché il capo né il suo staff ha visioni d’alcun genere, che non potrebbe comunque attuare, se non l’arrivare a fine giornata (cose alla Prodi e simili!). Certo, può esserci il vantaggio del momento della tale rendita da materia prima a prezzi alti o da investimenti esteri per manodopera a prezzi bassi, ma se il sistema non diventa altro da burocratico predatorio non c’è vero decollo qualunque siano i tassi di sviluppo annui, magari elevati, per qualche periodo. Che un Putin debba trovarsi, o debba esser lui trovato, un successore clone è dunque sintomatico di serie carenze sistemiche.

Kovalev si augura che dalla democrazia e dalle libertà formali si passi a quelle sostanziali. Non è, in realtà, questione di elezioni davvero competitive tra singoli che, nel contesto russo, non è detto siano possibili o proficue. Dove le elezioni sono davvero competitive, non ci sono mai nette o eccessive differenze di consensi tra i due competitori principali, in genere, che non sono mai davvero differenti rispetto ai destini dello Stato. Anche visioni radicalmente differenti non sono un pericolo per nessuno. Per esempio, come sopportabilità ed anche come produttività sistemica, gli USA possono permettersi l’assistena sanitaria per tutti così come lasciar morire i poveri per strada. In fondo, qualunque le loro visioni su vari punti specifici, i capi di Stato-governo devono, in un contesto d’efficienza, solo fare gli Amministratori Delegati d’una SPA competitiva. La questione russa è quella d’una società che esista davvero ma anche d’uno Stato che esista come amministrazioni efficienti. Oggi non esistono. Il secondo (uno Stato come burocrazie efficienti) è ancora più importante, perché la prima (la società viva) può essere fenomeno spontaneo, mentre uno Stato (amministrazione, burocrazie) efficiente occorre davvero qualcuno o qualche meccanismo che lo crei e lo preservi tale. Una società viva non necessariamente crea uno Stato efficiente. Anzi, senza oligarchie modernizzatrici, ne è ostacolo. Al contrario, uno Stato efficiente è la cornice entro cui una società viva si stabilizza e s’arricchisce e diviene vantaggiosa per tutti.