06 October 2006

Lettera da Lhasa numero 31. Per superare l’etaismo (o discriminazioni d’età) sul mercato del lavoro

Lettera da Lhasa numero 31. Per superare l’etaismo (o discriminazioni d’età) sul mercato del lavoro
by Roberto Scaruffi

L’etaismo [in inglese ageism], o discriminazioni d’età, è ogni forma di discriminazione [negativa] tra individui basata sull’età. Le discriminazioni possono essere rispetto ai più giovani come rispetto alle persone di mezza età od anziane. Gli stessi concetti di mezza età, anziani, vecchi, sono inevitabilmente approssimativi perché non esiste alcuna definizione precisa di che età, o fascia d’età, sia giovane, di mezza età, anziana, vecchia. Sono inoltre definizioni sempre più relative con l’allungamento della vita e l’evoluzione delle condizioni di salute.

All’allungamento della vita, ora corrispondono, ora no, migliori condizioni di salute. Così come, sotto la pressione di industrie varie (alimentare, pubblicitaria, delle mode, il mercato della malattia) le condizioni dei giovani sono mutate con drastici incrementi dei giovani per esempio in sovrappeso che non è certo, di per sé, un elemento di maggiore salute né per giovanissimi, né per giovani, né per meno giovani.

Prescindiamo qui da tutele e protezioni varie relativamente a infanti e giovanissimi che è giusto ci siano. Prescindiamo pure dalla questione dell’età pensionabile che, con la vita che s’allunga, è inevitabile, anche solo per semplice sopportabilità economico-sociale, che o si sposti in avanti l’età pensionabile, eventualmente con forme di non obbligatorietà e flessibilità della stessa, oppure che le pensioni divengano proporzionalmente inferiori ed in molti casi davvero misere.

Ciò che invece è qui rilevante sono le discriminazioni supplementari, sul mercato del lavoro (ed eventualmente su quello formativo), che si collegano all’essere pensionato. Si potrebbe opinare che chi è pensionato debba essere disincentivato a lavorare perché ha già una fonte di reddito. A parte che, nella grande maggioranza dei casi, le pensioni sono davvero misere, per cui di fatto molti cercano di rimediare con attività varie, una tale motivazione presupporrebbe il collegare la possibilità di lavorare alle condizioni di reddito. Se si opina che il pensionato non debba lavorare perché ha già un reddito, allora si dovrebbe pure, ed ancor più, discriminare sulla base della ricchezza, per cui il povero dovrebbe essere legalmente facilitato a trovare lavoro mentre, tanto più si è ricchi, tanto più si dovrebbe essere ostacoltati ad accedere al mercato del lavoro dipendente. Sarebbe una sciocchezza. Eppure la stessa sciocchezza viene ripetuta come naturale rispetto al pensionato.

La questione delle discriminazioni basate sull’età è tuttavia più generale e ricca di conseguenze negative sia economiche, che sociali, che rispetto alla felicità individuale e collettiva. C’è chi è felice d’essere mantenuto, se trova chi lo mantenga, oppure pensionato. C’è chi, indipendentemente dal percepire una pensione, è felice di lavorare finché ne abbia desiderio, sempre che lo possa fisicamente e mentalmente e che trovi chi dia lavoro. Tuttavia è tutta l’economia e la società che sono più povere se il mercato del lavoro è ristretto, non solo da pregiudizi, ma da discriminazioni di legge, per cui, a chi potrebbe e vorrebbe lavorare, il lavoro viene negato.

Le discriminazioni basate sull’età non solo riducono l’efficienza del mercato del lavoro, dunque il complesso della ricchezza prodotta e, di conseguenza, l’occupazione, ma sono un attacco alle libertà ed alle opportunità individuali. L’etaismo distrugge potenziale ricchezza individuale e collettiva oltre che negare opportunità all’individuo ad a tutta la società.

Non si tratta si introdurre quote sulla cui efficienza ed utilità è sempre bene essere scettici. Gli stessi che vogliono le quote per le donne, difendono poi che vadano in pensione prima sebbene vivano più a lungo. Inoltre nessuno può impedire, né avrebbe un vero senso, che vengano assunte segretarie graziose anziché altre o segretari, né che per mansioni di guardiani vengano di fatto preferiti gli uomini, per quanto cambiamenti dei costumi mutino inevitabilmente le composizioni di genere dei vari lavori e professioni. Comunque, discriminazioni di genere che di fatto esistono nel settore privato sono state rimosse nel settore pubblico.

Non avrebbe senso introdurre quote sulla base delle fasce d’età. Semmai, innanzitutto per legge, in attesa che cambino i costumi (che le stesse leggi, se applicate, influenzano), si dovrebbero eliminare tutti gli ostacoli e discriminazioni basati sull’età per porre al centro la funzione da svolgere da attribuirsi a chi è atto a svolgerla.

Non ha molto senso, se non fosse che il datore di lavoro guarda all’età pensionabile o è da essa influenzato, che si pongano ostacoli d’accesso basati sull’età, per cui dopo talune età è difficile o pressoché impossibile anche solo tentare di trovare un lavoro dipendente e non in nero.

Hanno invece senso tutti i criteri di selezione rispetto al lavoro da svolgere, dunque funzionali, di salute etc. Gli individui hanno attitudini e capacità differenti che devono calzare con la funzione lavorativa loro richiesta. Così come la funzione lavorativa richiesta deve trovare il giusto lavoratore. Non è affatto detto che l’età, a parte lavori molti specifici, abbia davvero un qualche rilievo per ottimizzare la combinazione tra domanda ed offerta sul mercato del lavoro. Ci sono caso in cui l’età può essere uno svantaggio, mentre in altri è un vantaggio ed in altri ancora del tutto irrilevante. Invece, oggi, l’età è in genere assunta come uno svantaggio. Basti vedere le offerte di lavoro e la disoccupazione per fasce d’età.

Tassi d’occupazione per età, in Italia.
anno 2000

15-1910.8%
20-2438.6%
25-3465.0%
35-4473.6%
45-5465.0%
55-6427.7%
+6503.2%

Questa breve tabella significa che la probabilità di lavorare aumenta fino alla fascia di 35-44. Successivamente inizia la fuoriuscita dal mercato del lavoro. In Italia, se si resta disoccupati a quell’età non si lavora più, o si lavora in nero, anche se magari non si figura nelle statistiche sulla disoccupazione. Al contrario, in gran parte, non ci sono veri motivi razionali perché ciò debba avvenire, se non la pensione come obbligo (con gli ancor più diseducativi pre-pensionamenti per settori “garantiti” in crisi, o supposta crisi) ed i pregiudizi sull’età. Altri fattori, dal vigore fisico ed intellettuale all’esperienza, sono variamente combinati nel singolo lavoratore con risultanti non necessariamente contro i più anziani. Il meno atto ad uno specifico lavoro può essere divenuto più atto di più giovani ad altri. In Italia, la sclerottizzazione del mercato del lavoro crea distorsioni tra cui una diffusa assenza di incentivi al miglioramento professionale.

Andrebbero rimossi, per legge, tutti gli ostacoli basati sull’età. Tutti gli ostacoli verso l’alto. Per cui, ogni età massima dovrebbe essere rimossa da tutte le richieste di lavoro sia private che pubbliche. Soprattutto con l’evoluzione demografica ed economico-sociale, discriminazioni o selezioni a priori basate sull’età sono dannose per lo stesso datore di lavoro.

La libertà di licenziamento, nel pubblico come nel privato, che in pratica significa libertà d’assunzione, evitarebbe sia truffe da parte del lavoratore (sia anziano che giovane), sia opportunità per tutti, se volenterosi e capaci, ma anche se meno volenterosi e meno capaci, di trovare e ritrovare occupazioni [o dipendenti, se s’è datori di lavoro] ottimali. Mentre il mercato del lavoro bloccato, oltre alla discriminazioni d’età che lo bloccano ancor di più, significa, per troppi, bassi salari oppure disoccupazione permanente se si perde il lavoro ed ancor più già attorno alla mezza età ed oltre.

Spostare i fondi oggi sperperati per le casse integrazioni e gli altri mille sussidi (pre-pensionamenti inclusi) per i garantiti, per assistere tutti i disoccupati realmente desiderosi di ritrovare un lavoro potrebbe sia essere equo socialmente che favorire l’efficienza economica. I meccanismi oggi esistenti, invece, favoriscono solo le oligarchie parassitarie e le burocrazie connesse, senza essere né equi, né economicamente produttivi, né davvero assistere gli stessi lavoratori oggi garantiti cui sono garantite spesso solo pensione da fame e o obbligati all’ozio oppure spinti ai lavori neri.