25 June 2007

Lettera da Lhasa numero 62. From red to gray, della World Bank 2007

Lettera da Lhasa numero 62. From red to gray, della World Bank 2007
by Roberto Scaruffi

Chawla, M., Betcherman, G., and Banerji, A, with Bakilana, A. M., Feher, C., Mertaugh, M., Sanchez Puerta, M. L., Schwartz, A. M., Sondergaard, L., and Burns A., FROM RED TO GRAY. The “Third Transition” of Aging Populations in Eastern Europe and the former Soviet Union, The World Bank, Washington, D.C., USA, 2007,
http://siteresources.worldbank.org/ECAEXT/Resources/publications/454763-1181939083693/full_report.pdf
(Chawla 2007).
Mukesh Chawla
Gordon Betcherman
Arup Banerji,
with Anne M. Bakilana,
Csaba Feher,
Michael Mertaugh,
Maria Laura Sanchez Puerta,
Anita M. Schwartz,
Lars Sondergaard,
and Andrew Burns


Questo Rapporto della Banca Mondiale sull’invecchiamento delle popolazioni nell’Europa dell’Est e nell’ex-Unione Sovietica analizza il fenomeno in un contesto di povertà diffuse, pur diversificate nei vari Stati. Le variabili economiche connesse all’invecchiamento sono varie, sebbene nulla sia semplicisticamente predeterminabile. La via d’uscita ai problemi creati dall’invechiamento viene indicata nell’accelerazione della riforma economica ed in specifiche politiche di lungo termine. Infatti, alla fine, la via d’uscita è nello sviluppo, o così si crede. Lo sviluppo crea ad ogni modo le precondizioni per soluzioni. Per quanto, lo stesso sviluppo, sia non è di per sé una soluzione a nulla, sia per essere di lungo periodo ed equilibrato, oltre che sostenuto, necessità di ambienti anche istituzionali favorevoli. La variabile istituzionale viene in genere ignorata. Anche questo Rapporto lo fa. Ne accenna in vari punti, ma solo in termini in genere generici di mercato, quasi bastasse avere delle sembianze di mercato per avere veri Stati e veri mercati. Non è questione di “istituzioni di mercato”, bensì di Stato forte e penetrativo (che significa pure, innanzitutto, flessibile, leggero, efficiente), senza il quale non ci sono vere “istituzioni di mercato”, da non confondersi con facilità di predazione per poteri forti internazionali.

Alcune semplici misure sono indicate dal Rapporto. Se la popolazione invecchia, diviene un imperativo prolungare l’età lavorativa. Facile a dirsi e facile pure a farsi, dove corporazioni predatorie e pulsioni autodistruttive non si mettano di traverso.

Se non c’è una adeguata popolazione attiva e realmente occupata rispetto alla popolazione complessiva, un minimo di benessere di base non è più sostenibile. Per quanto poi, in pratica, per mille ragioni, vi siano luoghi, come la penisola italica, dove la cosa sembra troppo difficile per i locali livelli di comprensione e d’azione. Né il sottosviluppo nel quale si è piombati, e di cui all’improvviso ci si rende conto, diviene superabile con eccesso di pensionati e pure in miseria, mercati del lavoro inefficienti e che respingono risorse, burocrazie ed oligarchie predatorie che bloccano qualunque prosperità comune minima. Infatti, non è neppure sufficiente la quantità della popolazione attiva ed al lavoro ma la sua produttività. Gonfiare la popolazione attiva con posti inutili, come succede nella penisola italica, nel settore pubblico, non crea vantaggi bensì svataggi, non crea ricchezza comune bensì la distrugge. La mentalità, anche a livello di classi o pseudo-classi dirigenti, dell’area già di dominazione sovietica e parasovietica è largamente simile alla mentalità italica. Per quanto, forse, prepensionare il personale eccedente nel settore dell’istruzione, oppure lasciarlo lì inutile, anziché trasferirlo, se necessario, all’assistenza degli anziani necessitevoli, potrà succedere solo nella penisola italica, finché esisterà, e portarla sempre più all’implosione mentre i parassiti burocratici, sindacali ed oligarchici prosperano. Infatti, la mentalità e capacità d’azione italiche sono peggiori di quelle dell’area ex-sovietica, dove, alla fine, pur magari in modo inefficiente, decisioni si sanno prendere ed attuare.

Comunque, nell’area ex-sovietica, esistono realtà estremamente differenziate, per storia e sviluppi concreti, pur accumunate dalla cappa statalista da caserma imposta per tenere l’est-Europa in mezzo secolo di regime di sottosviluppismo controllato e dunque sottrarlo alla potenza tedesca:
“The difference is the overlap with the yet incomplete economic transition. All of the region’s countries (except Turkey) face the lingering effects of the legacy of institutional disintegration that marked the transition. And all the countries, while experiencing rapid aging, remain immersed in the process of developing and strengthening the institutions needed for sustaining a market economy and developing the legitimacy of the state.
“Will savings and investment in these economies decrease with aging? Will smaller populations translate to fewer participants in the labor force, thus lowering the rate of growth? Will the economies become fiscally unsustainable as public expenditures on pensions and health increase rapidly, and public revenues are constrained following an economic slow-down?”
(Chawla 2007, p. xx).

Le risposte a queste domande non sono univoche, né lineari:
“This report finds, first, that some of the concerns about aging in Eastern European and Former Soviet countries are probably misplaced. For example, growth is unlikely to be significantly lowered by dwindling labor forces—if policies that promote greater labor force participation and, especially, greater labor productivity are adopted. The greatest positive impact can probably come from a combination of three factors: creating a business environment conducive to enterprise restructuring and innovation, investing in measures such as lifelong learning to increase the productivity and employment of aging workers in addition to bringing hitherto idle youth and adults into the workplace, and allowing migration of workers from the “younger” countries in and around the region.
“Second, the analysis in the report validates concerns about future fiscal strains in some of the region’s aging countries, but finds that many of the drivers of higher future public expenditures are unrelated to aging. […]”
(Chawla 2007, p. xx).

L’avere creato, nell’est, delle caserme pauperiste ha certo permesso nel momento delle privatizzazioni rapina e dell’apertura all’ovest di avere tutti i vantaggi di masse povere seppur non affamate, dunque una certa flessibilità e pur gestibile, seppur nelle rigidità lasciate dal regime precedente.

Si noti comunque, la frattura comportamentale, delle aree dove, per motivi culturali-religiosi, ma anche, inevitabilmente interconnesso, d’appropccio ottimistico alla vita, la popolazione continuerà ad aumentare e dove, per crisi esistenziali diffuse, un drammatico crollo delle nascite condurrà alla contrazione assoluta della popolazione, che è, tra l’altro, pure il trend italico. La riduzione delle nascite è spesso, seppur non sempre, connesso a maggior benessere diffuso. Il declino di popolazione obbedisce invece a pulsioni autodistruttive dalle cause varie.

“Rapidly aging populations, of course, are not as great an issue in some of the region’s countries—Tajikistan’s population is, for instance, projected to grow by over 40 percent between 2000 and 2025, and Turkey and Uzbekistan together will have gained an estimated 31 million people, equal to the population losses in Romania, Russia, and Ukraine combined over the same period. But even for these “younger” countries such as Turkey and those in Central Asia, the increased proportion of the elderly will still necessitate far-sighted reforms in pension systems, health care, and financial markets.”
(Chawla 2007, p. xxi).

“But the fastest aging countries over the next two decades will be in those of Eastern Europe and the former Soviet Union, the result of unprecedented declines in fertility and rising life expectancies. This region (not including Turkey) is projected to see its total population shrink by about 23.5 million. The largest absolute declines will be in Russia, followed by Ukraine and Romania. The Kyrgyz Republic, Tajikistan, Turkmenistan, and Uzbekistan, as well as Albania and Turkey, will still have growing populations. For most other countries in the region, the projected changes in absolute population size are expected to be less pronounced.
“The impact of the population decline will be much larger in some of the smaller countries, which will lose a significant share of their populations over the next two decades (figure O.2). Latvia (2.3 million people) and Lithuania (3.4 million) will lose more than a tenth of their populations. Poland will lose 1.6 million, or about 4 percent of its 38 million people.
“The economic impact of these changes will be felt most through the rising proportion of the elderly—those age 65 and older.”
(Chawla 2007, p. 5-6).

Il punto resta costruire Stati efficienti, per cui non vengono fornite ricette vere nei vari Rapporti od analisi delle varie organizzazioni internazionali od accademie, dato che è interesse di chi efficiente lo è, l’area anglofona, di non avere concorrenti. Per cui, semmai, si offrono ricette per esser sicuri di non [far] costruire Stati efficienti, o per “aprirsi” alle necessità d’affari delle poche, pochissime, potenze vere. Chi domina ha interesse a sviluppi altrui compradori, non a sviluppi altrui competitivi.
“Although almost all the countries have completed the political transition, if to different extents, much remains to be done in several key dimensions of the economic transition.
“Even after several years of economic growth since 2000, countries in the region are still at very low levels of income and institutional development.”
(Chawla 2007, p. 10-11).

Più vantaggio rifugiarsi nella luogocomunistica. Se l’economia d’uno Stato si sviluppa, almeno in apparenza ed almeno per un periodo, si dice che ha attuato vigorose riforme. Se non si sviluppa, o si sviluppa poco, si dice che o non ha realizzato riforme o che sono fallite. In realtà, conta di più la storia, ai fini di riprendere percorsi di sviluppo altri eventi storici, indotti dall’esterno, hanno interrotto. Per esempio, è evidente, anche solo ad una semplice ricognizione spaziale, la prossimità germanica, che non è solo prossimità geografica comunque, di aree si sono lanciate nello sviluppo od in esso si sono lasciate coinvolgere, dopo un lungo intermezzo. Superata l’interruzione sovietica della storia, voluta da Londra, con la realizzata sovrapposizione forzata d’un altra storia da caserma sottosviluppista controllata, ecco che il corso della storia riprende. In Romania, invece, area già ottomana, pur ricca di spazi e di risorse, dove s’è voluto mantenere, o addirittua aggravare, il corso sottosviluppista tradizionale, s’è provveduto a ciò con il golpe del 1989 e la successiva lunga fase di stagnazione con cambiamenti della struttura della popolazione dall’industria all’agricoltura (l’occupazione agricola passa dal 30% nel 1990 al 43% nel 2000, quella industriale dal 40% nel 1990 al 25% nel 2000; il trend si trova appena invertito nel 2002, con l’occupazione agricola che retrocede a meno del 37%, mentre quella industriale sale al 30% (Chawla 2007, p. 15); a ormai grande distanza dal “grandioso” golpe contro Ceausescu del 1989, la Romania resta uno Stato agricolo arretrato quale il golpe l’ha fatta ridivenire; molti si ricorderanno la “rivoluzione” del 1989, bella nelle menzogne ma dove il nemico non si vedeva, ...perché non c’era, a parte Ceausescu e pochissimi altri fucilati come [auto-]regalo natalizio da coloro che con l’omicidio si stavano riciclando; poi, milizie di minatori venivano periodicamente chiamate nella capitale a spaccare teste di si lamentasse dell’aggravamento, da ogni punto di vista, della già non florida situazione sotto Ceausescu, nel regime-Ceausescu-senzaCeausescu creato dai golpisti con larghi oppoggi operativi e mediatici occidentali ed orientali).

Caso particolare è la Turchia, Stato non sovietico ma incluso nel Rapporto per prossimità geografica e connessioni storico-culturali, oltre che ora, e da un po’, in avvicinamento alle UE con ambizioni di inclusione organica. Potenza con una modernizzazione di tipo nazista (seppur diretta dall’esercito, dunque con dinamiche non proprio identiche al corso hitleriano, tanto meno a quello mussoliniano) con Atatürk (1881..1938) è restata coi riflessi condizionati di potenza pur impoverita ma prossima geograficamente e come emigrazione operaia ed altri legami alla ora UE e soprattutto alla Germania (non è prossima geograficamente alla Germania, ma, non distantissima, intensi sono stati i flussi migratori che si sono aggiunti ad altri legami sviluppatisi nel corso di gran parte del ventesimo secolo). Nonostante la declassazione da Impero a semplice Stato è restata consistente di spazi e di popolazioni ed in localizzazione favorevole come materie prime energetiche ed altre, oltre che come comunicazioni. Inoltre, la stuttura statuale, derivante, almeno come ultimo sviluppo qualitativo, da una modernizzazione centrata sull’esercito, ha una certa solidità che resiste a consistenti pressioni islamiche che vanno nel senso di condurla ad uno scontro con l’occidente che non è detto sarebbe vantaggioso per la Turchia (mentre magari lo sarebbe, forse, per gli Stati islamici ed altri che cercano di includerla nella contrapposizione spesso piuttosto torbida nei mille giochi ed interessi che si intrecciano nella strumentalizzazione dell’Islam).

“Economic growth in the first decade of the transition was generally stronger in countries that made more vigorous economic reforms:
“• Following the initial economic collapse that affected the whole region, the Central European and Baltic countries recovered rapidly, pursued deep and pervasive market reforms, and pushed through integration with the European Union. Their challenge now is to further improve the business climate; address corruption and weaknesses in governance; maintain fiscal discipline and balance; and find solutions for their unsustainable health, social security, and pension systems—the lack of which is exacerbated by their aging populations.
“• Countries of the western Balkans experienced a disintegration that was significantly more violent and catastrophic than elsewhere in the region, but they are recovering and are beginning to integrate with the rest of Europe. They are still going through normalization, even as they prepare for EU integration.
“• Reform in the former Soviet countries has generally been slow. Some—such as Belarus and Turkmenistan—have not implemented meaningful economic reforms and are much further behind. Countries in the Caucasus have not fared well either, though recently there have been positive signs. Russia and Kazakhstan recovered rapidly from the initial disintegration and are looking to consolidate their positions, with mineral-led growth greatly helping their fortunes.
“• Turkey, though not a postcommunist state, has been going through its own transition since the 2001 financial crisis, which was preceded by uneven economic development through the 1990s. Privatization, banking and public sector reforms, social security reforms, and tight monetary and fiscal policies are at the core of its bold economic reforms. These changes are accompanied by a host of political and social reforms as the country progresses toward closer integration with the European Union.”
(Chawla 2007, p. 11-12).

Tuttavia il mercato del lavoro si addatta, in realtà, rapidamente ai cambiamenti di struttura demografica, se Stati sottosviluppisti non si frappongono, all’italica, per rendere difficoltosi e lunghi gli aggiustamenti. Se la popolazione diviene anziana, si tratta di cercare di non sprecare risorse pur non più giovanissime, se esse sono, ed in gran parte lo sono, disposte a continuare ad essere attive. Solo in situazioni perverse, come nella penisola italica, s’ama forzare gli anziani nell’ozio forzato. Pure pensionamenti non gonfiati negli importi (minimi sociali a parte), cioè corrispondi secondo criteri assicurativo-contributivi, non sono d’ostacolo all’occupazione dei pensionati, se non si frappongono quadri normativi e fiscali che la scoraggino od impediscano, magari coi soliti miti falsamente giovanilistici (in realtà burocratico pauperistici) per cui si dà “lavoro ai giovani” solo se si contrae al massimo il mercato del lavoro, ...sì da non dare lavoro né “ai giovani” né ai meno giovani. Politiche di sviluppo e di flessibilità, che non sono opposte a politiche davvero sociali (si può invece vedere che più forti sono i partiti comunisti e massimalisti, più bassi sono i salari e peggiori le condizioni dei lavoratori: gli schiamazzi sul “sociale” li fanno per coprire corruzioni-predazioni burocratiche ed oligarchiche cui il personale politico e sindacale “comunista” e massimalista partecipa da coprofittatore oltre che da sbirraglia contro lavoratori con propensioni al pecoronismo), sono sempre soluzioni dinamiche anche nel caso di cambiamenti di struttura demografica. Politiche di sviluppo non vuol dire prefigurarsi società perfette nè futuri personalmente auspicabili. Anzi, significa intervenire il meno possibile se non per garantire quadri concorrenziali certi e veri. Gli investimenti “per lo sviluppo”, lo dimostra anche la penisola italica, si sono sempre tradotti in sprechi di investimenti che hanno solo prodotto sottosviluppo, soprattutto dove lo Stato non abbia burocrazie credibili. Dove lo Stato ha burocrazie credibili, queste non si sognerebbero mai di “investire per lo sviluppo”. Lo sviluppo competitivo si produce se burocrazie efficienti garantiscono il quadro normativo di mercati concorrenziali e se non pretendono loro di farsi imprenditori, cosa che non sanno né possono fare in modo efficiente. Anche perché, se burocrazie producono direttamente, è improbabile possano sviluppare la loro altrimenti naturali ed essenziali attitudini di controllo. I regimi di Stato direttamente interventista del presente e del passato, anche lontano, sono in genere campi di concentramento o caserme di regimi militari pesanti e costosi, oppure aziende con padroni-schiavisti [faraoni, etc] eventualmente illuminati come imprenditori. È sempre imprudente generalizzare troppo, in queste cose. Né dobbiamo qui dimostrare alcunché. Esistono contingenze d’area, “culturali” e temporali, sebbene criteri d’efficienza o meno non abbiano poi logiche diverse in epoche differenti ed in posti differenti del mondo, a tecnologie date. Lo stesso militarismo efficiente, “liberale”, all’inglese, segue altre vie dalo statalismo “faraonico”-schiavistico. Lo “schema” liberale (che non ha nulla a che fare col solo assonate libertarismo) non è necessariamente minore intervento dello Stato. Tutt’altro. È solo qualitativamente differente. Lo stesso mercato del lavoro con le differenze tra schiavismo e regimi competitivi, può ben evidenziare la differenza tra statalismo economico e liberismo economico. Il regime competitivo necessita dello Stato come garante della riproduzione della forza lavoro (oltre che dei mercati), Stato che, però, se pretende di governare la forza lavoro come sotto lo schiavismo di Stato, o quasi, finisce per creare sia inefficienze economiche che danni agli individui, senz’alcun vantaggio collettivo.

Del resto, secondo visioni ideologiche e ideologizzate non si governarno realtà inevitabilmente in movimento e non necessariamente conformi a visioni dell’uno o dlel’altro genere.
“[...] In labor markets, the reality is more complex and less demographically deterministic than conventional wisdom suggests. Although the region’s aggregate labor supply will decline over the next 15 years, the declines will generally be modest. The greatest challenge will be for countries that will have large declines in their working-age populations but already have high participation rates.
“But changes in labor markets are not immutably determined by demographic legacies. First, productivity improvements are the core predictor of growth, so measures taken to improve labor productivity would swamp any quantity effects of smaller labor forces. In fact, growth decomposition exercises show that in most of the region’s countries in recent years, the growth in labor productivity has been the single greatest contributor to increases in per capita income (figure O.5). Second, the impact of aging on the labor supply can be at least partially offset by increases in the low labor force participation rates. Third, if political resistance is overcome, intraregional migration from younger countries can augment the labor forces of the aging countries.
“Despite good reasons to believe that demographic trends in the region do not inevitably mean problems for the labor market, policy makers need to carefully monitor and manage the situation over the next couple of decades, enacting appropriate policies to counter the effects of aging. Managing the situation will require labor market, pension, and education and training reforms, as well as better management of migration.”
(Chawla 2007, p. 14-15).

Le migrazioni, difficilmente arrestabili sia in entrata che in uscita, e qualitativamente differenti a seconda delle etnie e delle qualificazioni professionali che si attirano e che si respingono, sono un’ulteriore complicazione che mal si conforma a “visioni”, oltre a poter produrre sia benefici che sconvolgimenti nel medio e lungo periodo. Sono governabili, ma non sono davvero resistibili. Se c’è la pressione ad entrare si entra. Se c’è la pressione ad andarsene ci se ne va. Muri e pattuglie servono a poco.
“Migration, which was tightly controlled before the transition, loosened afterward. It has been marked by two sorts of flows, driven primarily by differences in economic opportunities. First, there have been flows from aging countries to other aging ones—most recently, with accession to the European Union, flows from the aging countries of Central and Eastern Europe to other aging countries in Western Europe. Second, in the years of transition, there have been continued flows from the young and poorer countries of the Commonwealth of Independent States (CIS) in the Caucasus and Central Asia to aging and richer CIS countries, particularly Kazakhstan and Russia. Younger countries with growing working-age populations already have negative net migration, while the reverse is true for most aging and old countries, with some exceptions.”
(Chawla 2007, p. 17).

Non è comunque affatto detto che massicce migrazioni verso le aree di sviluppo, o comunque di maggior benessere, significhino, sul lungo periodo che i “giovani” ed anche meno giovani stranieri siano disposti a mantenere i vecchi pensionati indigeni in cambio del solo fatto sia stato consentito loro di immigrare. Dipende dal tipo di immigrazione, così come dipende dal contesto statuale le migrazioni trovano. Una cosa è l’immigrato negli USA, altra l’immigrato islamico nel sud-Europa, per sempio. Ma anche negli USA, massicce migrazioni latine o da altre aree, dunque non linguisticamente e culturalmente assorbili o comuque integrabili in un qualche ordine preesistente, cambiano, alla fine, l’ordine linguistico e culturale precedente, anche eventualmente con situazioni di rottura che possono ad un certo punto prodursi. Lo scontro degli USA contro l’Islam ha rilevanti valenze (“metaforico”-militari) rispetto a sconti interni agli USA possono nel futuro prossimo prodursi tra white-British ed altri virtualmente maggioritari come numero. Differenti flussi migratori in relazione a contesti differenti producono risultati finali differenti. Oltre certe dimensioni e caratteristiche non c’è semplice integrazione nel quadro legale e statuale preesistente. Nondimendo, resistere a flussi migratori non ha gran senso, soprattutto se si rivela impossibile.

Se si osservano le strutture della popolazione e le previsioni sulla loro evoluzione, si vede come si tratti, per i vari Stati, più di essere in condizioni di adattarsi flessibilmente ai cambiamenti che di grandi complicazioni guidate da pre-giudizi o da pre-visioni o pre-ideologie. Tuttavia, la flessibilità è proprio ciò che manca in percentuali rilevanti di Stati. Se varia l’“assistenza” alle varie fasce d’età, ciò che conta è essere in grado di fronteggiare rapidamente ogni cambiamento, incluse le assunzioni e dismissioni di personale, e le inevitabili riconversioni professionale. Ci saranno variazioni, per esempio, nel personale insegnante come in quello d’assistenza sociale e sanitaria, oltre alle variazioni connesse all’evoluzione economico-tecnologica. Con le variazioni della struttura demografica devono necessariamente variare le concezioni passate e presenti di “vecchio”, “anziano” e “giovane”. Stati non efficienti, dunque con poca o nessuna dimestichezza con gestioni manageriali mancano proprio di flessibilità sia culturale che operativa. Per chi conosca una realtà tuttora “sovietica” come l’italica non avrà difficoltà a vedere cosa significhi e quali problemi crei la mancanza d’una cultura e d’una pratica della managerialità e della flessibilità. Anzi, “flessibilità”, così come “efficienza”, viene considerata una parolaccia.

Il Rapporto si articola in 6 parti principali (1. The Demographic Transition in Eastern Europe, 2. Demographic Change and Labor Markets, 3. Aging, Savings, and Financial Markets, 4. Aging and Pension Expenditures, 5. Aging, Long-Term Care, and Public Expenditures, 6. Aging and Education) con abbondanza di analisi, grafici, proiezioni, considerazioni. L’economia tende ad essere la “scienza” dell’intervento statale, per quanto lo stesso intervento statale dipenda poi nella realtà dalle strutture burocratiche degli Stati, dunque da fattori istituzionali e manageriali o meno. In taluni Stati, le strutture burocratiche sono più o meno manageriali. Nella maggioranza sono parassitarie quando non adirittura predatorie. Più uno Stato interviene direttamente nell’economia, tanto più i suoi interventi sono vani e dannosi, pur necessitando di strutture burocratiche che si pletorizzano progressivamente. Stati davvero capaci di regolare e controllare hanno, al contrario, strutture efficienti, flessibili e leggere, dunque poco costose pur procurando grandi vantaggi e benesseri collettivi. Se si garantiscono i mercati non si interviene sui mercati se non in modo limitato e non diretto. Se si interviene direttamente nella produzione con la proprietà e la gestione, si perde ogni capacità di regolazione efficiente del quadro delle regole, e pure la capacità di ben gestire la produzione se mai s’era avuta.

Per esempio, diminuire i costi e tempi d’aggiustamento, e fornire assistenza vera a fasce di popolazione necessitevoli e per il periodo necessario, oltre a quadri normativi certi (dunque non troppo complicati, né ambigui) di riferimento, costa meno e rende di più a tutti. Per tante ragioni, gli Stati preferiscono ingerirsi in cose non sanno fare con grandi costi e grandi danni. Più si ingeriscono, meno sanno controllare. Dunque il “servizio” che forniscono è spesso un danno per tutti, a parte taluni profittatori, burocrati corrotti inclusi.

Un’analisi delle necessità professionali, può indurre Stati corrotti e predatori a pianificare “grandi” riconversioni di masse di lavoratori, oppure prepensionamenti di talune categorie e massicce assunzione di altre, sussidi, etc.. Al contrario, è magari decisamente più vantaggioso per tutti, incluse le categorie professionali direttamente toccate, che uno Stato sia in grado, per ciò cui ad esso compete, di facilitare il licenziamento e le assunzioni chessò di maestre e di infermiere, eventualmente con indennità limitate nel tempo, od anche forme di sussidio permanente a chi resti fuori dal mercato del lavoro (per quanto nessun sussidio sia neutro rispetto ai comportamenti individuali e collettivi che induce), che ad impegnarsi direttamente ed in dettaglio nel processo d’aggiustamento. Uno Stato interessato a standard, in tutti i settori, deve saper controllare con corpi ispettivi efficienti e leggeri, che è antitetico all’ingerenza diretta nella gestione. La penisola italica è un ottimo esempio di Stato che gestisce tutto, sulla carta, senza controllare nulla. Ciò si traduce in costi enormi e fuori controllo, con danni anziché benessere collettivo, non essendovi alcun controllo sui risultati. Lo Stato che gestisca tutto è davvero il regno dello speculatore privato anziché essere il regno del consumatore con diritti alla qualità dei servizi. Anche nella riconversione o formazione professionale, quanti soldi vengono dati per corsi che non servono a nulla e che non portano da nessuna parte, o che magari servono come copertura, in talune aree, ad ulteriori sussidi ai partecipanti? Se uno Stato queste cose le sa fare, e ne verifica l’utilità, possono avere un senso. Se le si fanno solo per gettare soldi al vento, si contribuisce di più alla vitalità economica e del mercato del lavoro risparmiandoseli per ridurre il debito pubblico o la tassazione.

Non c’è nessuna conseguenza inevitabile, derivante dall’invecchiamento della popolazione, salvo l’illudersi che lasciare immutato il quadro normativo possa tutelare o proteggere “diritti” e standard preesistenti. In quel caso, la conseguenza inevitabile è il deperimento comune senza avere realmente tutelato nessuno. Ciò che diviene progressivamente non più compatibile inevitabilmente viene superato dalla realtà stessa, seppur in modo più faticoso e pasticciato che se si adeguano i quadri normativi. Se l’età del pensionamento resta bassa, si tradurrà in abbassamenti di fatto delle pensioni percepite. Se si manterrà il valore reale di pensioni percepite che pesano eccessivamente, si avranno scompensi ad altri livelli di spesa. Se la spesa statale complessiva è o diviene eccessiva, si amplierà l’economia in nero, oppure si deperirà tutti nell’ozio e nella disperazione, se per qualche ragione pure una vasta economia in nero divenisse impossibile. È un po’ come quando si aumentano le tasse a livelli che scoraggino il lavoro ulteriore. Od il sistema si ferma, o si sviluppa un settore in nero, o si mescolano variamente astensioni da ogni attività ed attività in nero. Si può anche fingere di lasciare regimi pensionistici per varie ragioni non più sostenibili. Si produrranno solo danni a tutti, mentre se comunque ci saranno forze imprenditoriali esse tenderanno ad esprimersi non visibili oppure se ne andranno altrove. Per fingere di “tutelare i deboli” (la classica scusa per proteggere le predazioni di burocrazie ed oligarchie corrotte) o per fingere di tutelare gli iscritti a corporazioni demenziali, si saranno solo danneggiati ancor più i poveri che se le corporazioni “di difesa” non fossero esistite. I “sindacati dei lavoratori” avranno solo difeso la consistente minoranza di superpensionati delle burocrazie predatorie.

Non c’è dunque nessuna “inevitable consequence” dell’invecchiamento rispetto alla spesa pensionistica che debba incrementarsi per adattarsi o far fronte all’“increased number of elderly people” (Chawla 2007, p. 151). Dipende tutto dal quadro di pensiero e comportamentale che si assume. Basterebbe, per esempio, darsi una norma generale, anche molto “rozza” che un sistema economico-sociale, dunque un sistema pensionistico di Stato, possa reggere una certa percentuale di pensionati o sulla popolazione complessiva, o sulla popolazione al di sopra di una certa età (i 18 anni, od i 23, ad esempio), oppure una certa percentuale sul PIL o sul PNL per spesa “pubblica” per pensioni, e poi adeguare il sistema di conseguenza. Stabilito il vincolo, si adegua la normativa a seconda dell’evoluzione demografica o del reddito. Per esempio, si stabilisce che i pensionati totali (d’invalidità inclusi) non possano superare il 20% della popolazione complessiva (in Italia ora s’approssimano al 30% della popolazione totale). Considerare il reddito può creare la possibilità di trucchi statistici, più difficili o comunque minori se si considera la quantità della popolazione. Ecco che si adegua l’età pensionabile di conseguenza. Certo, la sopportabilità d’una certa quantità di pensionati dipende anche dalla spesa per pensioni e dall’esistenza o meno di altri sussidi a senza reddito per cause varie. Se la vita media si sposta verso i cent’anni anziché essere sui sessanta è evidente che le età pensionabili minime non possano essere le stesse nel tempo. Tutela dei diritti e delle libertà individuali vorrebbe che la pensione non fosse un obbligo né una prigione, per cui il pensionato fosse libero di lavorare in modo del tutto regolare se crede e se trova, magari senza neppure decurtazione della pensione. Se la pensione è salario differito per cui si sono pagati dei contributi, e pure le tasse per la parte che consiste in sussidi di Stato, non si vede perché si debba essere disincentivati a lavorare se pensionati; il lavoro contribuisce al reddito collettivo, anche se nelle aree a mentalità “sovietica”, Italia inclusa, ogni posto di lavoro viene considerato sottratto ad un bisognoso di lavoro! Tutelare diritti di libertà e di benessere è l’esatto contrario delle tecniche all’italiota di “svuotare” il mercato del lavoro con la scolarità inutile e coi pre-pensionamenti. Il tutti più poveri non è vantaggioso per nessuno, burocrazie ed oligarchie predatorie escluse che la povertà diffusa rende onnipotenti e ricchissime.

Certo, un assetto di una qualche razionalità e flessibilità del mercato del lavoro e pensionistico rispetto alle variazioni demografiche in relazione al sistema pensionistico, non garantisce, di per sé, né la produttività del lavoro, né sviluppo, né l’ordine pubblico. Sono sepre tante le variabili in campo. Tuttavia, Stati che non siano neppure capaci di soluzioni semplici a problemi semplici, ancor meno sanno intervenire su punti ancor più più delicati per d’interesse collettivo. Ottimo esempio, l’italico, con i “difensori dei lavoratori” storicamente e tutt’ora esperti nel mantenere bassi salari e povertà diffuse, con costi del lavoro altissime. La differenza tra il poco che va ai lavoratori ed il tanto che deve pagare l’impresa se ne va in predazioni burocratiche e private (alle oligarchie con la mediazione di Stato; vedasi tutto il sistema dei finanziamenti apparentemente un po’ a tutti, corporazione per corporazione, per rendere tutti più poveri arrichendo davvero solo qualcuno, seppur fingano sia “redistribuzione sociale”).

Seppur i numeri aggregati dicano sempre poco, oggi la media della spesa pensionistica è del 12.7% del PIL nella UE. In Italia, è del 14.2%. L’Ucraina (che non è nella UE, e neppure area ricchissima, né particolarmente concorrenziale) spende il 15.4% (Chawla 2007, p. 157-158). Naturalmente se Stati UE che sono al di sopra della media si conformassero alla media, la media stessa si abbasserebbe. Se uno Stato della popolazione dell’Italia si conformasse a quel 12.7%, quell’ora 12.7% si ridurrebbe. Comunque, più che la spesa complessiva pesano negativamente tutte le politiche per scoraggiare il lavoro per “creare posti di lavoro per i giovani”, anche se, invero, a nessuno interessa creare posti di lavoro, altrimenti non si opererebbe per ridurre l’occupazione complessiva e per preservare rigidità a tutti i livelli, da politiche della casa che “tutelano” l’immobilità della forza lavoro ad aiuti non, eventualmente, per cambiare azienda ma per restare nella stessa (se grande [di qualche oligarca predatorio], dunque assistita dallo Stato) magari a far nulla (vedi la Cassa Integrazione che s’allunga all’inverosimile, per anni, in certi casi e poi con pre-pensionamenti ad hoc). Sono logiche del tutto demenziali, dove ogni demenza si “spiega” con altre demenze connesse. Il tutto per il comune impoverimento, o riduzione dell’arricchimento, strenuamente perseguito.

In effetti, se affrontato con un minimo di razionalità, l’invecchiamento delle popolazioni, non contiene nessun elemento insuperabile né di complicata soluzione, purché non si perseguano soluzioni cervellotiche, immobilismo coperto da “grandi” discussioni incluso (si vedano le continue trattative governo-sindacati d’Italia sul nulla dove si sa quel che si dovrebbe fare ma ci si copre dietro sindacati [che lo stesso Stato finanzia lautamente] per non far nulla, o sempre meno di quel si dovrebbe ed in ritardo considerevole). Forse, nel non cercare soluzioni sta la chiave, purché non si frappongano ostacoli agli aggiustamenti che la realtà spontaneamente crea: lo Stato agevolatore ...anziche predatore. Vanno semplicemente rimossi ostacoli al dispiegamento delle forze produttive che dappertutto esistono ed operano purché lasciate interagire. “Le riforme” non sono altro che quello, nell’Europa dell’Est ed aree connesse, dove le si son fatte davvero.
“The good news, then, is that policy reforms can successfully mitigate the impact of aging on future pension spending. This news is especially encouraging given that the region faces two additional problems that have implications for financing incomes for the elderly. The first is the provision of old-age assistance to individuals who are not covered under the social insurance programs. This assistance will require additional expenditures from governments, so they will need the fiscal space to accommodate these expenditures. Moreover, some of the countries with pension systems that will be fiscally sustainable in the future have achieved that goal through considerable current or future lowering of benefit levels. At some point, these benefits may not be adequate, and social assistance may need to augment them, in addition to covering the elderly who fall outside the contributory system.”
(Chawla 2007, p. 162).

Il Rapporto evidenzia l’importanza di sistema di persioni volontarie non essendo sostenibile un unico sistema pubblico onnicomprensivo, in un’economia di mercato:
“Regardless of whether they have a publicly administered, earnings-related benefit or a flat social benefit, all countries in the region should put in place a supervision mechanism for voluntary pensions. In an environment of reduced public benefits, middle- and high-income individuals will want to supplement their old-age income in some manner, and financial institutions will begin offering products to satisfy this need. Thus, whether or not it is regulated, a voluntary pensions market will arise. Once such a market appears, it will be better to regulate and supervise the products being marketed than to leave individuals at risk. The regulation may be as basic as indicating that pension products fall under the saving provisions of banking products or that they will be regulated as insurance products. But some regulation is required to prevent the pension products that will be offered in the market from falling through regulatory cracks. Governments can use the lure of tax-advantaged pensions to grant licenses to providers that follow the regulations, where pension products already exist.
“In countries that opt to follow the basic social pension approach, the supplemental pension is even more necessary, because middle- and high-income individuals will clearly want to receive higher benefits than the basic benefit and will be willing to pay for them. Ideally, these pensions should be provided by private pension fund managers on a defined-contribution basis, resulting in no government liability. However, the financial market structure in each country would need to be evaluated to determine whether sufficient financial market instruments exist to support a defined-contribution system and whether it can be sufficiently regulated. The incomplete financial markets in the region were discussed in chapter 3. In low-income and some middle-income transition economies, it may be determined that the financial market infrastructure is insufficient to support such a pension system, even on a voluntary basis. Governments would then face three choices: (a) allow such pension systems, but insist on overseas investment as a means of protecting the assets of workers; (b) begin a new publicly managed pension system that explicitly excludes the use of government subsidies; or (c) provide no tax-advantaged supplemental pension at all. “In countries that opt to follow the basic social pension approach, the supplemental pension is even more necessary, because middle- and high-income individuals will clearly want to receive higher benefits than the basic benefit and will be willing to pay for them.”
(Chawla 2007, p. 171-172).
Lo Stato deve proteggere dalle truffe creando e sorvegliando mercati finanziari sani oppure orientando le contribuzioni pensionistiche private verso mercati finanziari sicuri all’estero.

Dove il sistema finanziario è restato sovietico come in Italia, per esempio i fondi pensione non decollano per assenza di mercati finanziari concorrenziali ed il sistema pensionistico di Stato è sempre meno sostenibile pur assorbendo risorse ingenti. Inoltre, la predazione di Stato s’è nel tempo mangiata del tutto la capitalizzazione previdenziale. Mangiarsi la capitalizzazione previdenziale, che oggi, in larga misura, o del tutto, non esiste più, è stato un mezzo per occultare il debito pubblico reale che è varie volte quello già enorme ufficiale, che è oltre il 100% del PIL (è drammaticamente cresciuto durante il golpe presidenziale del 1992 ed anni seguenti, e non è ancora tornato al livello del 1991-92) e, dopo una prima contrazione, dopo un vero balzo (sotto Scalfaro ed i suoi governi presidenzial-“giudiziari”), non dà segni di rientro progressivo. La capitalizzazione previdenziale in passato esistente è stata progressivamente elargita ai clienti di regime, oltre che spesa per far fronte ad interventi “sociali” di Stato da esso non finanziati. Gli enti previdenziali pagano ora le pensioni con le entrate di cassa. Non hanno più vere riserve. I contributi pagati dai lavoratori sono stati in pratica rubati, seppur per spese clientelare anche a pioggia. Insomma, si sono distrutte sviluppo ed occupazione, però, si sono distribuite elemosine, e per farlo s’è pure mangiata la capitalizzazione pensionista, innanzitutto quella INPS: il modello di sottosviluppo DC-PCI-sindacatiConfederali-Confindustria. Il patrimonio immobiliare degli enti previdenziali è stato distruibuito a sindacalisti e ad altri clienti e profittatori di regime. Immobili risidenziali, per esempio, già affittati in genere su base clientale sono poi stati ceduti agli affittuari a prezzi largamente al di sotto i prezzi di mercato. Se fatta un po’ di cassa per spese clientelari e si sono svuotate le riserve previdenziali. Con oltre il 100% di debito pubblico, un sistema finanziario concorrenziale non decolla, in Europa. L’Italia non è il Giappone, che ha uno statalismo efficiente, grazie ad oligarchie sviluppiste (in Italia le oligarchie sono predatorio-sottosviluppiste). Il risparmio va, in un modo o nell’altro, nel debito pubblico e nella finanza protetta di banche non concorrenziali. La borsa è dominata da cartelli finanziari. Rientrare dal debito pubblico, tagliando spese burocratiche (cioè dismettere burocrazie) e clientelari, vorrebbe dire avere uno Stato un minimo sano che fa terrore a burocrazie e doligarchie predatorie. Siccome non si vuole colpire con l’accetta la burocrazia predatoria (si preferisce lasciarla predare e con predazione in aumento graize alle vaste coperture politiche ed istituzionali), resta il debito pubblico, resta uno Stato corrotto e corrutttore, restano la predazione burocratico-oligarchica, resta un sistema finanziario non di mercato e non concorrenziale, restano mercati del lavoro, ed altri, pervertiti da interventi per farli malfunzionare e così giustificare altri interventi corporativi che permettano rendite sindacali e politiche sul finto allievamento dei problemi gli stessi sindacati e la stessa politica hanno creato e creano in continuazione.

Con la capitalizzazione previdenziale sottratta dal sistema oligarchico-burocratico-sindacale per distribuita ai vari clienti e profittatori, e senza processi di rientro da un debito pubblico enorme, i fondi pensione non possono decollare.
“A move to a funded system usually involves transition costs: all or part of the contribution of today’s workers is invested in their own funded accounts, leaving less or no revenue to finance today’s pensioners. Such a move can be financed only if the pension costs have been reduced. Privatization revenues from the sale of former public enterprises have often been earmarked to help finance these pension reforms.
“As already noted, the financial market infrastructure in the middle- to low-income transition countries is unlikely to be able to support mandatory funded pensions, although it needs to be evaluated on a case-by-case basis. In these countries, the financial imbalances in the inherited pension systems tend to be greater, making it fiscally more difficult to move to a funded pension system right away—especially because many of the middle- to low-income transition countries have not successfully privatized large public enterprises, ruling out this additional source of revenue.”
(Chawla 2007, p. 173).
Stati a spesa “pubblica” fuori controllo, come è il caso dell’Italia, per esempio, non possono permettersi di sottrarre liquido per ripristinare un’accumulazione previdenziale in precedenza mangiata “dallo Stato”. Se si pagano le pensioni con le entrate di cassa, se queste non ci sono più perché si riprende ad accumulare per pensioni future, bisogna che uno Stato con qualche capacità di gestione finanziaria faccia uscire da qualche altra parte per 10% o 12% o 15% sul PIL che viene speso in pensioni. Non certo aumentando la tassazione dove questa sia già alta, perché ciò deprimerebbe lo sviluppo dunque le stesse entrate fiscali complessive.

L’Italia, pur con la continua illusione d’essere una “potenza”, è al livello dei “middle- to low-income transition countries” anche se nessuna transizione verso una sana economia di mercato è visibile in Italia. Pur di non ristrutturarsi drasticamente, già ha distrutto più di 1/3 di PIL [col golpe quirinalizio del 1992] per “entrare in Europa” di fatto con moneta supersvalutata. Un anticipo, con supersvalutazione secca, di altrimenti impossibili successive svalutazioni per mantenere il modello sottosviluppista di concorrenzialità estera attraverso continue svalutazioni del sistema-Italia, dunque della sua valuta. Che è differente, appunto è sottosviluppista, da una valuta temporaneamente svalutata per creare industrie nazionali concorrenziali e che s’espandono internazionalmente. L’“entrata in Europa” non s’è accompagnata ad alcuna vera ristrutturazione. S’è avuta anche una destrutturazione ulteriore dello Stato con la distruzione parziale ma rilevante della politica (golpe quirinalizio del 1992, e poi golpismo quirinalizio permanente) per permettere a burocrazie ed oligarchie corrotto-predatorie di operare ancor più fuori controllo. Si può vedere ogni giorno come tutti sappiano ciò che si dovrebbe fare rispetto al mercato del lavoro ed al sistema pensionistico e tuttavia facciano l’opposto, perché forze potenti operano proprio perché si faccia all’opposto e solo l’opposto, sì che tutto perisca purché si preservi la predazione burocratico oligarchica. Tutta la lotta continua nel governo Prodi tra ciò che non si può davvero fare ed i massimalisti (inclusi quelli di centro alla Prodi che vogliono rifarsi una propria IRI) che pretendono si faccia almeno un po’ di impossibile (in senso sottosviluppista) riflette questo scontro tra gruppi predatori compatibili nella visione sottosvilupppista ma incompatibili nei loro specifici interessi materiali dato il carattere limitato delle risorse per le predazioni d’ogni singolo gruppo predatorio, se tutti predassero nella misura ciascuno volesse. Uno vorrebbe rifarsi la propria industria “pubbblica” di coska. Altri se la fanno davvero a livello locale. Altri vorrebbero mettere dappertutto pannelli solari. Altri vorrebbe tutti dipendenti pubblici e parapubblici e tutti in pensione presto. Altri vendono per quattro soldi patrimoni immobiliari e finita la predazione voglioni ricostruirli sì da poterli ridistribuire a clienti e poi, in futuro, poterli loro, e a sé e ad altri, quasi riregalare.

L’assistenza sanitaria agli anziani sembra un problema enorme solo se si pretende di adattarsi semplicemente agli sterotipi sull’età e sulla vecchiaia, e pure sulle malattie da benessere come la sovra- e cattiva alimentazione:
“There are widespread concerns that rapidly aging populations in many countries in Eastern Europe and the former Soviet Union will have significantly higher health care requirements, simply because the elderly have a high demand for ambulatory, inpatient, and chronic care. Another critical issue is long-term care for the very old. Such care becomes costly as the availability of informal (family-based) care declines, and it can have large opportunity costs if younger people spend time caring for the elderly that they would otherwise spend in the labor force.
“There is, therefore, a real potential for medical and health costs to rise as populations age, especially in countries where levels of health spending are already higher than available resources, though the magnitude will depend crucially on whether longer life spans mean more healthy years or added years of illness and dependency. Indeed, there is increasing evidence that older people already are healthier than their counterparts of a few decades ago and have healthier lifestyles relative to previous generations, with the result that the threshold for frailty and disability is being pushed later into old age.”

Se si contraggono le necessità d’istruzione ed assistenza alle fasce basse d’età, mentre aumentano le necssità delle fasce d’alte, è una questione di flessibilità della mano d’opera da allocarsi dove necessario con le eventuali riconversioni professionali, quando le qualifiche necessarie non esistano già sul mercato. Non è vero che figure professionali eccedenti in un settore restino disoccupate, in un mercato del lavoro flessibile. Le rigidità dei mercati rendono i movimenti difficili ed impossibili. Lo stesso rapporto evidenzia come l’allungamento della vita s’accompagni a migliori condizioni di salute.

Tuttavia c’è un vasto mercato, con interssi giganteschi, che profitta sul fabbricare malattie per specularci poi ulteriormente sopra

Un problema enorme, che si preferisce non affrontare per ragioni commerciali, dunque di interessi fortissimi, è quello della salute della popolazione, che influisce sia sulla produttività lavorativa che intellettuale, oltre che sui costi sanitari: l’alimentazione. Si mangia troppo e male. L’obesità, con mille patologie connesse, è la malatia dello sviluppo. Si passa, come per incanto, dalla denutrizione all’obesità. La stessa dietetica non suggerisce soluzioni perché, se le suggerisse, apporterebbe colpi mortali ai mercati del commercio alimentare come a quelli, speculari, dei farmaci e delle strutture sanitarie. Tanto meno le varie macrobiotiche che vendono fumo, per fan finta di nutrirsi bene spendendo di più ...per nulla. Che la popolazione stia male rende. Sebbene possa anche divenire una strozzatura dello sviluppo vero. Perché se lo sviluppo se ne va in obesità, e simili, ed in farmaci per compensare la spesa eccessiva e dannosa in alimentazione, sia lo sviluppo è in larga parte fasullo, sia la produttività del lavoro ne risente oltre che la felicità individuale. Se il lavoratore sta male da eccesso di ctativa alimentazione, ne risente sia la sua vita lavorativa che quella extralavorativa. Del resto, i supermercati, come tutto il commercio alimentare, prospera sulla cattiva ed eccessiva alimentazione. Vai in un supermercato ed esci pieno di cose inutili che ti fanno male. È lo stesso nei mercati, se si pretende di “mangiar bene”, quando il vero mangiar bene è il mangiare povero e scondito. Egualmente, il settore sanitario prospera sulla cattiva ed eccessiva alimentazione. Una fetta rilevante dell’economia si basa sul malessere. Poi, ci sono gli interventi chirurgici magari inutili fatti solo perché il servizio sanitario paga bene chi li fa e contorno, dal cesareo alle valvole cardiache. Quanti posti di lavoro e profitti sparirebbero, sia nel settore alimentare che farmaceutico-sanitario, se si abbondasse in riso e pasta o polenta sconditi? O se si sopprimessero le mille merendine per bimbi, e non solo, così buone ma che li rovinano fin da piccoli? Eppure, quanto ne guadagnerebbe la salute individuale e collettiva. Certo, l’“economia” “deve” occuparsi solo di ciò che produce profitti, occupazione, redditi anche se poi i redditi se ne vanno in costi connessi allo star star male, però il PIL sembra di molto maggiore. Del resto anche chi venda, chessò, telefonini deve creare una cultura dell’essere sempre “on line” viva voce, sebbene per qualche categoria può essere importante ed essenziale mentre per la stragrande maggioranza si riduce a patologia. ...Ma se il mercato dell’assistenza psicologica ne guadagna, e magari pure la super alimentazione da ansia e depressione (cui il telefonino contribuisce), ecco che il PIL aumenta ulteriormente e l’“economia” “va bene”!
Non è questione di star dietro a verdastri bugiardoni, profittatori e finti coi loro finti pauperismi da vendere ai creduloni per guadagnarne loro. È solo questione di cercare di star bene.

Ad ogni modo, l’invecchiamento delle popolazioni libera risorse prima impiegate per occuparsi della fasce più giovani:
“The transition to a market economy and political liberalization have presented major challenges to the education systems of Eastern European and former Soviet countries. Reforms have been initiated throughout the region to meet these challenges, but the reforms are by no means complete. The demographic changes taking place are now imposing additional stresses on the region’s education systems. Lower fertility levels in general are reducing the demand for preschool, primary, and secondary education and are shifting demand toward higher education. To the extent that they have already affected education systems, these changes have exacerbated the problem of redundant capacity of staff and facilities at the primary and secondary levels and the problem of shortage of capacity in higher education. Only at the preschool level have education systems adapted themselves to reduced demand, and this adjustment occurred for entirely extraneous reasons.”
(Chawla 2007, p.217).
Esistono anche le [non-]”soluzioni” all’italiota: inventarsi lavori inutili per il personale eccedente, o lasciarlo senza far nulla, e poi pre-pensionarlo.

È sulla base delle soluzioni o non-soluzioni trovate nel settore statale, pur senza statalismi opprimenti, che aree deperiscono mentre altre prosperano.

Il Rapporto è dell’ordine delle 300 pagine, con analisi, valutazioni, previsioni, tabelle, grafici. Quanto sopra non ne è un riassunto.


Chawla, M., Betcherman, G., and Banerji, A, with Bakilana, A. M., Feher, C., Mertaugh, M., Sanchez Puerta, M. L., Schwartz, A. M., Sondergaard, L., and Burns A., FROM RED TO GRAY. The “Third Transition” of Aging Populations in Eastern Europe and the former Soviet Union, The World Bank, Washington, D.C., USA, 2007,
http://siteresources.worldbank.org/ECAEXT/Resources/publications/454763-1181939083693/full_report.pdf
(Chawla 2007).