28 June 2007

Lettera da Lhasa numero 64. Sulla relazione PCC-contadini nella RPC

Lettera da Lhasa numero 64. Sulla relazione PCC-contadini nella RPC
by Roberto Scaruffi

Bello, W., The End of the Affair? High-speed Industrialisation, the Party and the Pesantry in China, Focus on the Global South, 23 February 2007
http://www.tni.org/detail_page.phtml?&lang=en&page=archives_bello_peasantryinchina&lang_help=en
(Bello, 23 February 2007).
Walden Bello


L’articolo è sulla relazione tra PCC e contadini cinesi, e sul cresente scontento delle masse rurali cinesi rispetto alle politiche attuate in Cina.

L’autore evidenzia subito come il rapporto tra maoismo e contadini non abbia avuto nulla della tranquilla relazione descritta dalle agiografie correnti:
“Indeed, it may be more aptly described as tumultuous.” (Bello, 23 February 2007).

L’economia da campo di concentramento e di guerra maoista ha ripercorso schemi sovietici, nelle campagne, pur senza vera industrializzazione pesante alla sovietica. La predazione dell’agricoltura non ha condotto alla formazione d’una vera base sociale solida del regime nelle città egualmente in condizioni miserevoli e senza che se ne vedesse un senso, che in effetti non v’era se non tenere la Cina sottosviluppata perché così voluto a Londra.
“Agrarian transformation managed by the party took the form of requisitioning the grain surplus to fulfill Mao's industry-first policy. Peasant freedom was curtailed further when production was collectivized in the mid-fifties.” (Bello, 23 February 2007).

Secondo l’autore, la demolizione del partito, in cui Mao era divenuto minoranza, conseguente alla “rivoluzione culturale”, lasciando quasi abbandonati i contadini rispetto alle “attenzione” statali, ne migliorò le condizioni. Pur misere, erano almeno un po’ meno aggravate dalla predazione statale precedente. Non a caso, la produzione agricola aumentò dal 1966 al 1976. Con Deng Xiaoping, con appezzamenti di terra dati ai contadini poi tassati, la situazione dei contadini migliorò decisamente rispetto al regime delle comuni. Con uno schema, secondo l’autore, nel 1978-84, nella RPC, del tutto simile a quello della riforma agraria degli anni ’50 a Taiwan. Come a Taiwan, l’età dell’oro dei contadini ebbe termine con l’adozione di un’industrializzazione cittadina ed orientata all’esportazione. Nella RPC, questa è la linea lanciata col XXII Congresso del PCC nel 1984. L’accumulazione primitiva del capitale prese la forma di requisizione del surplus agricolo attraverso la pesante tassazione dei contadini. L’incremento del reddito dei contadini passò da una crescità del 15.2% l’anno dal 1978 al 1984 ad una crescita del 2.8% l’anno dal 1986 al 1991. Si ha qualche recupero nei primi anni ’90 e stagnazione per il resto del decennio. Mentre il reddito urbano, già superiore a quello contadino a metà anni ’80, era, col 2000, in media sei volte il reddito dei contadini. Nelle campagne sono proliferate le tasse, e pure in modo del tutto caotico ed arbitrario. Il numero di differenti tipi di tasse veleggia ora verso l’ordine delle 300. Il tutto senza alcun ritorno per i contaidni sempre più oppressi da elefantiaci apparati burocratici. Per cui la super-estrazione fiscale ottenuta dai contadini se ne va, in parte, in rilevanti sprechi.

L’autore cita sintomi di crescente resistenza aperta contadina all’estrazione fiscale, per quanto nulla sia davvero decisivo a questo livello. Potrebbe anche solo derivare da una repressione meno barbara o meno organizzata, per quanto repressioni barbare continuino ad essere diffuse nella RPC.

L’autore cita proposte di democratizzazione e di libero associativismo nelle campagne, con le quali lui sembra assentire, per quanto non sembra che la soluzione di problemi di oppressione fiscale e di burocrazie predatorie sia nella libera discussione. La libera discussione è sempre ottima, ma non è la soluzione a nulla. La soluzione alla rapina fiscale è che essa cessi. La soluzione a burocrazie predatorie è la loro eliminazione. Per quanto, con un 300 milioni di urbanizzati contro un 1,000 di campagnoli, per quanto solo il 45% dell’occupazione sia nel settore agricolo (e l’11.9% del PIL, nel 2006), un rovesciamento del rapporto risieda in una rivoluzione agraria, con delle strutture statali capaci di reggerla, oltre che di promuoverla. La macchinizzazione e tecnologizzazione dell’agricoltura non avvengono per caso né da sole. Il punto è se possa ancora avvenire e che succederebbe e succederà se non avvenisse. Per il momento, nella RPC, si costruisce, più che produrre macchine agricole moderne ed altra “strumentazione” (chimica, biotecnologie) per il settore agricolo. Negli USA, gli occupati nel settore agricolo sono lo 0.7% del totale e contribuiscono allo 0.9% del PIL (nell’UK, 1.4%, 1%). Ecco, le percentuali da Stato davvero moderno! Nella stessa Francia, con un’agricoltura largamente sussidiata, le percentuali sono 4.1% occupazione e 2.2% PIL. In Giappone, egualmente con “sindromi francesi”, forse con la giustificazione d’essere un isola seppur grande anche se popolatissima, e con preoccupazione strategico-militari, si è al 4.6% e 1.6%.

Il punto, per la RPC, non è neppure la preservazione del PCC, quanto il suo superamento con forme più forti. In fondo, anche nelle campagne, il PCC è stato una forma di sbrirraglia predatoria prima al servizio d’un regime pauperista, ora che deve tenere quieti contadini che dopo avere contribuito all’industrializzazione non ne stanno avendo alcun ritorno. Una struttura parallela partito unico-Stato formale non è mai un gran regime strutturalmente forte, neppure permette forti poteri centrali e locali. I cinesi dovrebbero studiare l’Inghilterra della rivoluzione industriale e precedente. Soprattutto nelle forma statuali e sociali. Non è detto ne siano capaci. Non è detto che non sia ora troppo tardi. Erano cose da fare all’inizio dello scorso secolo o subito dopo la guerra. Uno spezzettamento della Cina, per quando lascerebbe decine di entità statuali di dimensioni anche considerevoli, potrebbe rendere più gestibile il tutto, oltre che creare competizione fra Stati [cinesoidi] in uno spazio vastissimo quale è quello ora coperto dalla RPC. Bisognerà vedere che succederà quando lo sviluppo quantitativo presente avrà delle strozzature decisive. Ciò che già ora dovresse essere radicalmente cambiato, lo Stato burocratico predatorio, evidentemente non può essere cambiato né dall’alto né dal basse. Infatti, le burocrazie predatorie continuano a sperare nello sviluppo quantitativo in cui le costruzioni sembrano ora giocare un grande ruolo. Costruito tutto il costruibile, sia d’opere pubbliche, che nell’edilizia abitativa, si dovrà vedere quel che succederà.

Se, secondo i dati sintetici del WorldFactbook della Cia, nel 2006 il settore industriale (che include le costruzioni), si sviluppa, nella RPC, del 22.9% del PIL, ed esso contribuisce al PIL per il 48.1%, se l’aumento del GDP è solo del 10.5% ciò significa che gli altri due settori (agricoltura e servizi) hanno, o entrambi, o uno d’essi, uno sviluppo negativo. O dipende dai metodi di rilevazione statistica, o ci sono processi che si dovrebbero vedere in modo analitico. Del resto, dati macro, per una popolazione come quella della RPC, dicono poco su processi in corso, che sono inevitabilmenti estremamente diversificati a seconda delle differenti aree. In un regime di competizione burocratica per ben figurare col centro, non c’è comunque da fare grande affidamento sui dati statistici. La RPC è sempre restata largamente feudalizzata, pur con le sembianze d’una grande centralizzazione. Il PCC è strumento primo della centralizzazione formale, quando della debole centralizzazione sostanziale e della inefficienza di tutto il sistema.


Bello, W., The End of the Affair? High-speed Industrialisation, the Party and the Pesantry in China, Focus on the Global South, 23 February 2007
http://www.tni.org/detail_page.phtml?&lang=en&page=archives_bello_peasantryinchina&lang_help=en
(Bello, 23 February 2007)