12 March 2007

Lettera da Lhasa numero 48. Antonio Labriola ed i suoi scritti sul Manifesto pubblicati nel 1895

Lettera da Lhasa numero 48. Antonio Labriola ed i suoi scritti sul Manifesto pubblicati nel 1895
by Roberto Scaruffi

Labriola, A., In memoria del manifesto, 1895
Antonio Labriola
http://www.marxists.org/italiano/archive/labriola/1895/inmemoriadelmanifesto.htm


Stupefacente, in questa raccolta di scritti di Antonio Labriola sul Manifesto Comunista, è il suo non nominare mai Mazzini. Rimmossa la storicizzazione del Manifesto, è facile dedicarsi ai giochetti di parole “filosofici”.

Mentre gli adepti dell’appena divenuta Lega dei Comunisti sono fuoriusciti dallo spazio germanico e stanno approndando o sono già approdati nel mondo, e a Londra, nel centro del mondo, ad essi s’impone di definirsi uno spazio rispetto a chi, nel mondo, domina il movimento rivoluzionario dell’epoca. O si emigra per adattarsi al mondo verso cui ci si muove, ed integrarsi, in qualche modo, ad esso, o si emigra per ricercare uno spazio dove far il possibile per ricreare il proprio mondo precedente. Chi vuole a fa scrivere il Manifesto ha, evidentemente la seconda intenzione. In piena apoteosi dell’Impero Britannico, che ben assorbe e si riadatta a secessioni come la statunitense, il movimento rivoluzionario, o supposto tale, è dominato da chi domina il mondo. Mazzini è organizzatore del terrorismo internazionale del tempo su investitura e finanziamento diretto dell’Intelligence Service britannico, che lo usa per i suoi interessi. Lì e la sua forza e la sua popolarità. E la debolezza degli altri.

Marx, Engels, i loro amici politici, resteranno degli isolati nel centro del mondo, Londra e l’Inghilterra. Non c’entra nulla la forza intrinseca delle idee che esiste o non esiste a seconda interessi materiali decidano di darla o meno ed esse. E le loro concezioni resteranno impopolari pure nelle periferie del mondo dove domineranno concezioni anarchiche. Nel mondo sviluppato, l’Inghilterra ed aree variamente prossime, dominerà un socialismo “infermieristico” all’inglese, mentre nel mondo meno sviluppato un socialismo nihilista all’anarchica. Chi s’è sviluppato vuole restarlo, mentre opera perché aree non sviluppate lo servano senza svilupparsi in modo autonomo. Marx ed Engels diverrano poi popolari, solo come nomi, non come concezioni da loro propugnate, in quanto tedeschi nello spazio tedesco, per tutta una fase. Nello spazio tedesco, il socialismo realmente dominante sarà un socialismo di Stato e di parastato, non un socialismo rivoluzionario [rivoluzionario, almeno nella forma apparente o percepita] alla Marx ed Engels. Poi, con la rivoluzione d’ottobre nelle Russie, Marx ed Engels saranno fatti divenire popolari in quanto già isolati rispetto alla socialdemocrazia tedesca reale che viene additata dai nuovi “rivoluzionari” del periodo come traditrice. Nemici dei traditori socialisti tedeschi, ecco che Marx ed Engels entrano nell’iconografia dell’era russo-sovietica. L’abbondanza dei loro scritti e la veemenza degli stessi li rende utilizzabili per le esigenze liturgico-simboliche del periodo e di quello spazio semi-asiatico.

In effetti , l’aspetto, simbolico, l’uso che delle idee viene fatto, illumina di più che fingere di prendere sul serio, come reali, le affermazioni degli autori. Se ci limitassimo alle affermazioni degli autori, qui Marx ed Engel, e Antonio Labriola che loro fa eco, ci si dovrebbe domandare di che parlino. D’indubbia coerenza e forza interna, le cose da loro scritte non hanno tuttavia corrispettivo nella realtà. Sono astrazioni filosofiche. Dunque, dette rispetto alla realtà che è del tutto differente, hanno una valenza puramente simbolica.

Rivendicare il proletariato come irriducibilmente antagonista e con una precisa missione che nasce dalla realtà storica e che nella stessa realtà storica non può non realizzarsi viene venduto, da Antonio Labriola, come affermazione e sviluppo del movimento proletario, o del proletariato. L’astrazione viene fatta divenire realtà (nelle idee), si finge sia realtà, e l’affermazione ideale esistenza di un movimento reale. Il proletariato del Manifesto in realtà non esisterà, e Marx ed Engels ne saranno ben coscienti a partire dalla stessa Inghilterra. È astrazione filosofica e simbolica.

Nel momento in cui i rivoluzionari tedeschi si trasferiscono in Inghilterra e nello spazio inglese, non solo si definiscono rispetto al Mazzini dell’Intelligence Service britannico. Si definiscono pure rispetto al nuovo mondo cui vanno incontro sulla base del vecchio da cui provengono. “Sei straordinario. Ma non ci piaci e ti annunciamo il tuo funerale prossimo. Noi saremo i tuoi becchini.” In linguaggio marxiano, l’operazione fatta col Manifesto è romanticismo economico, è reazione del piccolo borghese, dell’artigiano, dal mondo contadino e corporativo, al capitalismo che li disgrega e costringe a ripensarsi e ridefirsi oppure a deperire.

L’Inghilterra è in piena fioritura economica e di potenza sulla base dell’antagonismo, ma anche della cooperazione, tra capitalisti e lavoratori, borghesi e proletari. Marx ed Engels scrivono che il proletariato supererà il mondo borghese con un proprio differente e più avanzato ordine. Marx ed Engels scrivono, usando una metafora, che l’Inghilterra del momento sarà presto distrutta dalla classe antagonista ed universale da essa stessa creata fino a quel momento. Quel che dicono nel Manifesto può essere riassunto in “Tu Inghilterra hai raggiunto risultati straordinari. Nondimeno ti annunciamo la tua prossima distruzione ad opera del proletariato internazionale, cioè di noi che ce ne proclamiamo la guida.” La storia reale non seguirà quella via. Prenderà altre vie. Marx ed Engels con la loro Lega dei Comunisti dichiarano, pur in modo metaforico, guerra al mondo inglese, guerra che poi non viene combattuta per essenza della classe reale dovrebbe concretamente combatterla. Esiste l’astrazione filosofica, il proletariato, l’antagonista. Tuttavia, quello reale è differente. Non è antagonista. Rivoluzionari tedeschi vanno incontro al nuovo mondo sviluppato sulla base dei paradigmi del loro vecchio mondo che pur li espelle e sulla base dei paradigmi del loro vecchio mondo dichiarano la prossima distruzione del nuovo mondo cui vanno incontro. Lo dicono a loro stessi.

Antonio Labriola, da un’area come l’italica, e pur in epoca in cui s’è potuta verificare la realisticità o meno degli enunciati del Manifesto, se considerato come testo operativo-“realistico”, si limita a ripercorrerne la valenza futuristico-programmatica che lui come altri ad esso attribuiscono. Un precedente enunciato messianico, di indubbia forza letteraria, Il Manifesto, diviene il sostituto di un movimento reale che non ha seguìto, e neppure è certo seguirà più tardi (rispetto a quando Antonio Labriola scrive), le astrazioni di quello scritto, pur buttato giù e pubblicato in un contesto storico e storico-politico o storico-ideale preciso che tuttavia si preferisce non ripercorrere davvero. Antonio Labriola ripete una favoletta. Tutto è perfetto e rigoroso, ...purché si finga che ciò sia e debba essere. Il nuovo oppio “rivoluzionario” delle plebi è lì pronto, ogni qualvolta le si voglia consolare della loro miseria presente e loro siano così fesse, o così senza speranza, da doversi accontentare di tali oppi consolatori.


Labriola, A., In memoria del manifesto, 1895
Antonio Labriola
http://www.marxists.org/italiano/archive/labriola/1895/inmemoriadelmanifesto.htm