20 March 2007

Lettera da Lhasa numero 53. L’impatto del colpo di Stato sulla Tailandia del Sud

Lettera da Lhasa numero 53. L’impatto del colpo di Stato sulla Tailandia del Sud
by Roberto Scaruffi


Southern Thailand: The Impact of the Coup, Asia Report, 129, 15 March 2007
http://www.crisisgroup.org/home/index.cfm?id=4697&l=1

Sebbene il colpo di Stato del settembre 2006, che ha rovesciato il Primo Ministro Thaksin Shinawata, non avesse relazione diretta coi fenomeni insurrezionali nel sud islamico della Tailandia, la situazione al sud, sei mesi dopo, non è migliorata.

Sia il leader del colpo di Stato, Generale Sonthi Boonyaratglin, che il nuovo Primo Ministro del governo ad interim Surayud, avevano espresso la volontà di superare politiche giudicate erroneamente repressive del precedente governo e di fronteggiare positivamente le richieste del sud islamico. Ciò non si è realizzato, nonostante alcune aperture iniziali, e la situazione su terreno resta di tensione solita tra le forze di sicurezza e le comunità locali del sud.

Alcune misure di apertura culturale, come l’introduzione della lingua patani malese, la lingua dei malesi islamici del sud della Tailandia, nelle scuole e la promozione del suo uso negli uffici pubblici non hanno potuto essere poi realmente implementate. Alle aperture riformatrici del governo centrale è comunque corrisposta la risposta violenta dei militanti islamici con la solita logica di avvitamento violenza-repressione.

I militanti islamici sono giudicati ben armati e defficienti. La legge marziale nell’area è ancora in vigore, dal 4 gennaio 2004. Le forze di sicurezza continuano a godere di assoluta impunità.

Secondo il Rapporto qui presentato, l’unica risposta è una qualche forma di autonomia sostanziale. Gli ostacoli citati sono che il governo non è riuscito ad identificare la direzione dell’insurrezione, né se vi sia davvero una direzione unica, che la popolazione tailandese è contraria a negoziati, che negoziati richiedono un governo con mandato democratico. Il nuovo governo è, del resto, stato assorbito anche da altre impellenze e nuove elezioni sono annunciate tra sei mesi.

Il Rapporto raccomanda al governo tailandese di identificare i gruppi di insorti con cui dialogare e di condizionare la popolazione tailandese perché accetti l’idea di negoziati, di creare forme di sicurezza per tutte le comunità nelle aree di attività insurrezionale e con certezza del diritto per tutti, di introdurre la lingua patani malese nel sistema scolastico e professionale per le comunità interessate, in parallelo con forme di superamento di esistenti forme di segregazione etnica nel sistema scolastico.

Né il governo, né gli estensori del Rapporto, sembra sappiano chi siano gli insorti né perché insorgano. Vi è, evidentemente, una totale incomprensione delle logiche insurrezionali e d’espansione islamica e dunque nessuna vera risposta che delinei delle vere soluzioni, qualunque esse siano.

Il governo tailandese persegue vie puramente ed indiscriminatamente repressive, mentre il Rapporto indica soluzioni astrattamente ragionevoli ed umanitarie.

In genere, in tali situazioni, il sostegno esterno, anche dalle parti più differenti, è decisivo. Nel caso specifico, si tratta di un tipico problema di confine dove popolazioni thai si sono trovate combinate a popolazioni islamico-malesi, oggi maggioritarie nelle tre province del sud coinvolte nei fenomeni insurrezionali.

Se, comunque, con una comunità che si muove verso la secessione, si crea un’inimicizia totale, o si concede la secessione, o si induce la comunità ribelle alla sottomissione, o si rimuove (anche in modo del tutto pacifico) la comunità ribelle stessa. Oppure si va avanti coi massacri reciproci come sembra sia la situazione si sta “stabilizzando” lì.


Southern Thailand: The Impact of the Coup, Asia Report, 129, 15 March 2007
http://www.crisisgroup.org/home/index.cfm?id=4697&l=1