22 March 2007

Lettera da Lhasa numero 54. Acque

Lettera da Lhasa numero 54. Acque
by Roberto Scaruffi

Human Development Report 2006, Beyond Scarcity: Power, poverty and the global water crisis, United Nations Development Program,
http://hdr.undp.org/hdr2006
http://hdr.undp.org/hdr2006/pdfs/report/HDR06-complete.pdf

Hassan, F. A., Water and Ethics. A historical perspective, UNESCO International Hydrological Programme & World Commission on the Ethics of Scientific Knowledge and Technology, 2004,
Fekri A. Hassan
http://unesdoc.unesco.org/images/0013/001363/136341e.pdf
(Hassan 2004).

http://www.unesco.org/water


Di terra, acqua, aria, fuoco, forse il fuoco (ma non la luce) è l’unico elemento ridondande ai fini di forme di vita elementare. Al contrario, senza acqua, aria e la produzione che deriva anche solo spontaneamente dalla terra, non è possibilile vita umana. Arduo dunque affermare che l’acqua si l’elemento principale o centrale dei tre. Nelle cose non esistono mai davvero gli elementi principali o centrali. Siamo spesso noi a crearceli. Ognuno di questi tre elementi ha sue peculiarità. La terra, nella sua estrema varietà di composizione, necessita di un qualche trattamento, senza o con intervento umano, o talvolta animale, di cui le acque sono elemento chiave ai fini della produzione di un qualche cibo per la vita umana ed animale. L’aria è l’elemento meno immediatamente identificabile e meno controllabile. Diviene noto ed oggetto di vero intervento quando l’inquinamento lo rende visibile e percettibile. È riproducibile ed inscatolabile, sebbene, tuttavia, di gran lunga meno, di fatto e fino ad oggi, dell’acqua, per quanto sia ad essa simile per vari aspetti funzionali. Se ci si avvolge un sacchetto attorno alla testa e lo si sigilla, si capisce come sia più essenziale l’aria dell’acqua, sebbene senza entrambe non si viva. Dopo poco tempo, giorni o settimane, gli stessi due elementi non permettono di prolungare l’esistenza senza la “terra”. Del fuoco si può fare a meno, a meno che sotto “fuoco” non si faccia cadere la luce, altro elemento che sembra irrilevante ed invece essenziale per vari processi chimici che concernono la possibilità di produrre o meno cibo per organismi, siano essi umani o meno.

Sfuggendo l’aria, almeno quella si trova spontaneamente in natura, alla controllabilità individuale e statuale, ed essendo la terra data o acquisibile, è sulla acqua potabile o potabilizzabile che si è costruita una vera e propria geopolitica.

L’acqua è elemento di sussistenza e di produzione di mezzi di sussistenza, così come veicolo di trasporto. Ciò vale indiffentemente, pur con differenti caratteristiche di localizzazione, per le acque salate come per quelle non salate.


I due testi sopra citati, il terzo è invece un portale, aprono due differenti prospettive sull’acqua.

Su 440 pagine, fino a pagina 260 il Rapporto sullo Sviluppo Umano è dedicato all’acqua, uno degli elementi chiave dello sviluppo, oltre che essenziale per la vita stessa. Il Rapporto esamina la questione da una molteplicità d’angolature.

In (Hassan 2004), l’autore si muove, almeno queste sono le sue intenzioni, in una prospettiva di ampio respiro: “We are thus faced not only with a water crisis, but with a managerial crisis as well. The disintegration of ‘conventional’ integrative social mechanisms threatens to undermine the political stability of both rich and poor countries alike. The institution of a global managerial strategy cannot be achieved without the adoption of the enduring principles of justice and hope. In the past, the oppressive and tyrannical monopolies of the ruling elites were tempered by notions of social justice, compassion, and morality. From 500 BC to 700 AD, such notions became incorporated in world religions that still serve as the basis of ethics for the majority of the world. The moral principles of justice have also led in modern times to humanistic notions of equity and human rights. No society is sustainable if its integrative ideology is based on threats, coercion, or deception, and no society is viable if the masses who are the producers of wealth to the elite are bereft of hope.”

Tuttavia, nel voler centrare il progresso presente e futuro su principi morali, si inventa la realtà. Si legga il passo precedente, pensando alla civilizzazione cinese. È una civilizzazione senza religione e basata proprio su “threats, coercion, or deception”, senza vere relazioni umane, dove le masse sono proprio “bereft of hope”. Il singolo, sia monarca o suddito, è pidocchio inserito in una casella precisa in cui deve solo riprodursi come tale, salvo necessità del potere di cambiare le proporzioni tra caselle o, talvolta, le caselle stesse. Chessò, nella civilizzazione romana il diritto, la legge, è uno degli aspetti centrali. Vi si trovano diritti dell’individuo. In quella cinese, centrale è il pidocchio nella propria casella. La chiamano “armonia”. Quando qualcuno, là, s’è voluto inventare una pseudo-religione, non ha inventato Dio e gli esseri umani, bensì il rito. Il rito è la routine della macchina, la routine del pidocchio nella propria casella immutabile. In Cina e nelle Cine, non esistono relazioni umane, solo relazioni di potere. Tutto è basato su “threats, coercion, or deception”, anche nella famiglia che nelle Cine più che altrove è una istituzione ossesso-maniacale. Certo, spesso, anche la tanto conclamata “civiltà occidentale” è, molto, troppo, cinese o cinesoide.

Si guardi piuttosto con interesse, secondo noi, sia la questione dell’acqua come problema economico e da affrontarsi con criteri di economicità, dunque con un’etica economica (anche se, in qualunque funzione di economicità, l’ottimo dipenda delle variabili si considerino: non esiste dunque un criterio oggettivo ed unico, indipendente dal contesto definito), che le considerazioni storiche presentate dall’autore.

L’autore cerca di ripercorrere la nascita dello Stato e ne dà una spiegazione funzionale: “The need to overcome food shortages induced by variations in rainfall or riverine water flow led to the emergence of a complex system of food storage, food exchange, and food processing.”

In quest’ambito, critica, alla luce dell’evidenza storica, la teoria di Wittfogel: “The recurrence of large floods and droughts threatened food security and hence necessitated several developments which included, in addition to food exchanges between communities, local cooperative ventures to strengthen earthen banks, build dams, drains, and dig wells. With the emergence of state-level organisation some of the rulers undertook large-scale irrigation projects. However, there is no evidence that the emergence of centralised government was due primarily to co-ordinate irrigation activities on a national scale. Wittfogel’s theory of ‘Oriental Despotism’ (Wittfogel, 1957) which claims that the civilisations of China, India, Mesopotamia and Egypt depended on large-scale irrigation which led to the rise of despotic, bureaucratic, centralised states is untenable (for criticisms see e.g., Haas, 1982).” [...]
[...]
[...] “The great empires of China, for example, were not so much a result of works of irrigation under centralised management, as the result of a machinery of bureaucrats and scholars, as well as powerful armies.”

In effetti, la sistematizzazione di Karl Wittfogel sulle società idrauliche aveva le virtù, ma pure i difetti, dei grandi sistemi. Offriva uno schema universale per spiegare, o così sembrava, l’inevitabilità del dispotismo in talune aree del mondo. In verità, in epoca in cui aveva fatto comodo inventarsi guerre fredde tra sistemi supposti inevitabilmente irreconciliabili, bastava tralasciare che gli Stati Uniti ruotavano, o potevano ruotare, attorno al governo delle acque non meno di Cine e Russie, o di India, Egitto, Mesopotamia. Grazie a questa “dimenticanza”, si era creata una schematizzazione del tutto ideologico-opportunistica mascherata da generalizzazione scientifico-storica. Non solo le società rurali, pure le grandi città dipendono dal governo delle acque. Non solo l’eccesso di acque, anche la loro scarsità necessità di interventi umani, qualora comunità umane vogliano vivere e lavorare in specifiche aree, magari attrattive, o d’interesse, per altre ragioni. Gli acquedotti romanici sono davvero differenti dalle opere di regolazione della sovrabbondanza d’acque di grandi fiumi dell’Africa o dell’Asia? Il governo di grandi fiumi è davvero l’elemento chiave per spiegare le forme statuali di talune civilizzazioni oppure è solo uno degli elementi? Le piogge non sono meno importanti, per esempio. Il fiume ne è collettore e trasporto a distanza. Tuttavia esistono zone di piogge abbondanti, o moderate ma regolari e sufficienti, che rendono sia possibile la vita umana ed il suo sviluppo che l’esistenza di forme statuali per governare le acque piovane oltre ad altri aspetti del vivere in comune. Non solo in montagna, od in montagne impervie, piove.

La teoria delle società idrauliche generalizza aspetti dell’esistente di periodi storici ergendo questi aspetti a spiegazione primaria od unica. Le cause primarie od uniche non esistono mai, se non in forzature del pensiero. L’autore, in (Hassan 2004), contesta comunque che il governo delle acque sia anche solo una delle cause della nascita di strutture statuali nelle aree indicate da Wittfogel.

Ad ogni modo, (Hassan 2004) tratta vari aspetti. È interessante tutta l’operazione dell’autore di svolgere una storia delle forma statuali, con approccio storico economico, e con attenzione alla questione dell’acqua, elemento primario sia storico-economico che vitale.


Human Development Report 2006, Beyond Scarcity: Power, poverty and the global water crisis, United Nations Development Program,
http://hdr.undp.org/hdr2006
http://hdr.undp.org/hdr2006/pdfs/report/HDR06-complete.pdf

Hassan, F. A., Water and Ethics. A historical perspective, UNESCO International Hydrological Programme & World Commission on the Ethics of Scientific Knowledge and Technology, 2004,
Fekri A. Hassan
http://unesdoc.unesco.org/images/0013/001363/136341e.pdf
(Hassan 2004).

http://www.unesco.org/water